L’aracnide che ha saputo terrorizzare l’esercito americano

Prima di Facebook, prima di Twitter e degli ubiqui smartphone, prima della Playstation 4 e persino del Wii U, la gente inorridiva in maniera decisamente più immediata. Poteva bastare una semplice e-mail. A patto che superasse i filtri antispam e il recipiente, in barba all’intrinseco senso di prudenza, fosse così ingenuo da aprire l’allegato. Si trattava di una shock image di primissima categoria: due soldati americani in uniforme, in uno scenario desertico, che osservano molto da vicino… Una creatura. Sollevata dal primo, mediante la canna del suo fucile, a una certa distanza da terra, benché le zampe da ragno fossero sufficientemente lunghe da riuscire toccargli quasi le caviglie. Il testo d’accompagnamento poteva variare, ma generalmente descriveva le caratteristiche de “l’essere più pericoloso dell’Iraq” in maniera terribilmente vivida e spaventosa. “Il camel spider” esordiva il mittente “Non lascia scampo. Questa creatura che può avere la dimensione di un piatto da portata, corre alla velocità di 40 Km/h e salta come un campione di basket, per aggrapparsi al pelo dei cammelli e deporre le sue uova nei loro stomaci. Il suo veleno paralizzante impedisce alle vittime di reagire, mentre le divora letteralmente un pezzetto alla volta. Se dovesse capitarvi di d’incontrarne uno, iniziate a correre più veloce che potete. Perché lui, senz’ombra di dubbio, cercherà di afferrarvi…” Seguiva l’inevitabile richiesta di soldi, magari per “Inviare l’insetticida ai nostri coraggiosi ragazzi al fronte.” Ben presto la voce iniziò a girare e una sorta di timore reverenziale prese a diffondersi lungo le vie traverse del primissimo social web. Era l’estate del 2008 dunque, quando un soldato inglese di ritorno dal Medio Oriente nella sua città di Londra, si ritrovò uno di questi esseri nascosto in valigia a sua insaputa. Così che sul tardi, nella giornata del glorioso rientro, l’animale saltò fuori ed andò a nascondersi sotto al letto del figlio di nome Ricky. Il quale, mentre apriva la cassettiera, se lo ritrovò camminare su una mano, gridando per il terrore. La madre accorse, assieme al barboncino di famiglia, che iniziò ad abbaiare disperatamente per difendere il suo padrone. I genitori chiamavano Ricky, il bambino correva, il ragno cammello era letteralmente sparito. L’intera famiglia, terrorizzata, abbandonò letteralmente la casa con l’intenzione di fare ritorno soltanto quando fosse stato possibile ritrovare l’aracnide, cosa che per inciso, non avvenne mai più. Qualche giorno dopo, all’apparenza inspiegabilmente, il cane morì. In quel preciso momento, il mondo iniziò a chiedersi se non ci fosse del vero anche nell’e-mail che voleva regalarti una macchina in qualità di visitatore n. 100.000, o quella sulle “donne singles nella tua area” che aspettano solo te.
Ora io non conosco la prognosi del malcapitato cagnolino, ma una cosa posso certamente assicurarvi: ad ucciderlo non fu l’aracnide clandestino. Poiché il ragno cammello (che non è un ragno, né un cammello) detto talvolta scorpione del vento (benché non sia neppure uno scorpione) semplicemente non possiede un veleno. Non avendo mai visto ragione di evolversi, nel corso della sua lunga storia, per possedere un simile ausilio alla cattura delle prede o l’autodifesa. Puntando piuttosto sulla sua superiorità fisica, la sveltezza e la rapidità negli spostamenti. Ma forse sarà meglio, a questo punto, applicare un distinguo. Poiché i Solifugae, secondo la tassonomia scientifica, non sono una singola specie e neppure una famiglia, bensì un intero ordine al di sotto della classe degli aracnidi, al pari degli Araneae, gli Scorpiones o gli Amblypygi. Pur essendo completamente diverso, per morfologia ed abitudini, da ciascuno degli altri citati. Ne esistono oltre 1.000 varietà distinte, diffuse nei deserti di tutto il pianeta, per i quali presentano una serie di efficaci adattamenti. Prima fra tutti quella che gli da il nome, o vero l’istinto a fuggire dal Sole, spostandosi nelle ore più calde soltanto se gli riesce a trovare l’ombra di una creatura più grande, ad esempio un cammello, che possa fargli scudo dal pericolo di surriscaldarsi. Ed è questa la ragione, incidentalmente, per cui più di un soldato di stanza in Afghanistan ritornò con la storia di “essere stato inseguito nel deserto da un ragno” giungendo comprensibilmente a temere per la sua vita. Simili creature sono in effetti piuttosto aggressive, pur non avendo neppure una forza sufficiente a perforare la pelle umana. E se messe alle strette sollevano minacciosamente i pedipalpi, spalancando le enormi zanne chelicerate non dissimili da chele di granchio e garantendo una dimostrazione guerriera d’indubbia efficacia. In quel momento, pur essendo tanto più piccolo, l’esserino è certo di poterti uccidere e potendo, lo farà. Ma qui finisce, assai probabilmente, la parte giustificata della sua cattiva reputazione.

Leggi tutto

Essere umano entra nel nido di vespe giganti

La sottile membrana tra l’esistenza e la non-esistenza si aprì, con un cigolìo determinato da anni d’incuria e non utilizzo. La maniglia bronzea del tipo rotante in senso antiorario sembrava più adatta alla porta di una stanza da letto che alla struttura di una piccola dependance, esposta quotidianamente alla furia degli elementi. Dall’interno del suo scafandro, l’esploratore ricordò quante volta aveva assistito a una simile scena. I soldati in equipaggiamento completo del film, e poi telefilm Stargate, pronti a combattere contro forze aliene mai neppure immaginate prima di quel momento. Gli operatori della simil-installazione Montauk tra le foreste del ben più recente Stranger Things, alle prese con il mostruoso regno del Sotto-Sopra. Nathan Drake nella serie ludica Uncharted, che fa rotolare da parte la porta di pietra prima di penetrare nell’ennesima versione di El Dorado o magnifica terra di Shangri-La. Ma così come non può esserci guadagno senza un certo grado di rischio, la realizzazione individuale è impossibile, senza la sofferenza. Allora con braccia aperte ad accoglierla, e un’espressione dura sul volto, egli ha varcato la soglia, determinato a osservare la Sofferenza che si alzava da terra, avvolgendolo col chiaro intento di soffocarlo.
Tutto è iniziato con un fantastico e inusuale rigoglio degli orti vegetali antistanti. I primi a sparire sono stati i dermatteri, anche detti le forbicine, subito seguiti dai vermi del legno, gli afidi e le altre creature fitofaghe nascoste sotto la corteccia degli alberi. Quindi se ne sono andati i bruchi, letteralmente sublimati nell’aria, con un senso di gratitudine diffuso tra gli agricoltori. Nessuno voleva porsi il problema, finché non hanno iniziato a scappare i bambini. Era l’usanza, qui a Patterson in Louisiana, come nel resto degli Stati Uniti, dire che quel particolare insetto non serve a nulla: la yellowjacket, o vespa dal dorso giallo. Un’entità (Vespula maculifrons) o gruppo di entità (aggiungere V. Squamosa e V. pensylvanica) nettamente distinte per il senso comune di questa nazione, rispetto ai calabroni o la Polistes dominula, vespa della carta europea. Intendiamoci, non che uno di noi, per strada, riuscirebbe a riconoscere l’una dalle altre. L’unica differenza esteriore del singolo insetto è infatti relativa alla disposizione delle macchie gialle e nere della loro livrea aposematica, quel giallo e nero concepito per spaventare i predatori. Ma chiunque noterebbe, dopo un certo tempo, la loro fantastica voracità. La differenza chiave tra l’una e l’altra genìa si rintraccia soprattutto nel loro senso di aggregazione comportamentale, che porta le vespe in questione, piuttosto che a costruire una pluralità di piccoli nidi all’interno del territorio da qualche dozzina d’esemplari ciascuno, verso l’urbanizzazione pesante di una vera e propria giganteggiante comunità. Migliaia, o persino decine di migliaia di individui, abituati a scavare per circa un metro in profondità del suolo, prima di iniziare a costruire i loro condomini segreti da difendere strenuamente col pungiglione. O ancora meglio, intenti a trovare un attico, un controsoffitto, una cantina abbandonata dove iniziare la propria nuova storia residenziale. Dodicimila cuori e una… Capanna. Immaginate dunque la prima reazione del proprietario  responsabile di questo ambiente, quando alle reiterate segnalazioni dei vicini, ha finalmente deciso di recarsi in prossimità del vecchio ripostiglio, costruito sul proprio terreno secoli fa, per aprire lentamente la porta e vedere, come in un sogno, la spaventosa nube ronzante della Fine.
Nessuno vorrebbe affrontare un cane rabbioso, un lupo, un’orsa coi cuccioli determinata ad annientare la sagoma che si pone su suo cammino. Ma la realtà è che qualsiasi animale più o meno selvatico, per quanto arrabbiato, può in qualche modo essere tenuto a distanza se non addirittura sconfitto con l’uso di armi adeguate. Mentre non puoi difenderti attivamente da uno sciame. L’unica speranza è rendere più spessa la tua pelle, e candida e impenetrabile, grazie all’uso di una tuta protettiva dotata di casco integrale, guanti e calzature assicurate con generose dosi di nastro adesivo. E sarà meglio assicurarti che la tenuta sia sicura come quella di una tuta antiradiazioni, la cui funzione è assicurare all’operatore un’esistenza continuativa fino al giorno di domani. Perché in effetti, anche in questo caso, è davvero così. Lo dimostra, col suo coraggio e spirito del dovere, il “bug man” locale Jude Verret subito chiamato sulla scena, anche noto professionalmente col nome di STINGER Creations, che non è la boutique di un artista moderno, ma un allevamento di api e piccola casa produttrice di miele. Prodotto di API, non VESPE, s’intende. È da sempre difficile, tuttavia, capire per l’uomo comune la straordinariamente sottile differenza. Così quando si chiama l’esperto, ci si aspetta che risolva il problema, comunque. Negli anni, Jude ci si è abituato.  Ha persino deciso di farne uno spettacolo, grazie all’impiego della sua telecamera portatile GoPro. Vespe permettendo…

Leggi tutto

La terribile sfida dei 100 dossi in autostrada

Tutti ricordiamo l’esistenza di un’Età dell’Oro, in cui le auto circolavano felicemente per le strade senza alcuna traccia di catene imposte alla normale viabilità urbana. Poi vennero gli irresponsabili, con la loro abitudine a percorrere determinate strade a una velocità eccessiva. Che cosa avrebbe mai potuto fare, a quel punto, la società civile? Furono installati semafori addizionali, posti vigili a controllare gli incroci. Ma nessuno può essere sempre attento, 24 ore su 24, per evitare infrazioni della legge da parte di chicchessia. In una notte priva di stelle, dunque, tra le fronde di un bosco antico, i progettisti stradali e i capi ingegneri si riunirono attorno ad una stele di pietra, con le mani protese in segno d’inimmaginabile preghiera. Intonando un’invocazione agli Dei del sottosuolo, ricevettero un’ispirazione diabolica, ma funzionale. “Steve, Steve, ascoltami. Ho avuto un’idea…” Disse il più anziano di loro, le rughe sul volto simili a una cartina stradale, il cappello a punta da stregone di un giallo paglierino un po’ come il casco da cantiere che avrebbe dovuto ricordare: “…E se noi mettessimo un qualcosa… D’irregolare, laddove l’automobilista si aspetta un manto stradale del tutto privo della benché minima asperità? Un DOSSO, per così dire…” Steve apparve pensieroso, quindi iniziò lentamente ad annuire. Un fulmine squarciò in quel momento il cielo notturno, dividendo le tenebre di un mondo addormentato. Ma il vero incubo doveva ancora incominciare….
Situazione allarmante a 130 Km/h: siete in marcia verso la vostra destinazione elettiva, come la spiaggia dove cogliere gli ultimi sprazzi d’estate, piuttosto che la convention internazionale degli appassionati della beneamata serie di Alf – Un alieno in famiglia. Il veicolo a quattro ruote di famiglia procede ad un ritmo sostenuto, mentre le sottili vibrazioni del volante trasmettono ordinatamente, alla parte più primitiva del vostro cervello da rettile, la benché minima asperità del terreno. Sotto ogni punto di vista, siete diventati l’automobile, e la strada appartiene a voi. Quando al volgere di un singolo secondo, lungo la linea dell’orizzonte, scorgete sulla striscia d’asfalto qualcosa d’inaspettato. Come un’escrescenza, la cresta di un dinosauro, il dorso del serpente sotterraneo che striscia sotto l’incoscienza dell’odierna collettività. “Se non fosse impossibile, direi che sembra…” Iniziate a sussurrare basiti. Ma il tempo raggiunge rapido l’epoca del suo esaurimento. Mentre il semiasse anteriore arriva in corrispondenza dell’inaspettato oggetto, il parafango corrispondente inizia immediatamente ad accartocciarsi. Il contraccolpo vi scaraventa contro il volante, mentre l’airbag si apre secondo il preciso copione subito seguìto da quelli laterali, e la poppa della vostra nave in tempesta inizia minacciosamente a sollevarsi. Quindi prendete il volo. Mentre il veicolo si dispone a 45 gradi, con il muso che punta verso il terreno ad un’altezza di circa due metri e mezzo, dal parabrezza è possibile scorgere l’orribile verità: non una, bensì altre 99 di questi pericolosi DOSSI, vi aspettano a seguito di un delicato, già sufficientemente pericoloso atterraggio. È esattamente in quel momento che suona l’orologio del forno. Il pranzo è pronto. Con un sospiro, premete il tasto di pausa e spegnete il monitor. Ancora una volta, la marcia inesorabile del tempo ha avuto la meglio sulle esigenze della Simulazione.
E. Che. Simulazione! Stiamo parlando, per inciso, di un software ludico che ha cinque anni di storia, così efficientemente messo alla prova e sfruttato dal canale specializzato di YouTube DestructionNation, che ha imparato a suonarlo letteralmente come fosse un violino di Stradivari (per milioni, e milioni di vi$ualizzazioni). Il suo nome è BeamNG.drive e proviene, come spesso è già capitato nell’ultima decade, non dal mondo dei grandi produttori internazionali d’intrattenimento digitale, bensì dall’universo degli sviluppatori indie, piccoli gruppi d’appassionati tipicamente riuniti nel garage di casa, in grado di mettere in codice la loro personale visione per il futuro dell’informatica di consumo. Ma piuttosto che farlo negli ambiti sempre più redditizi dei social networks, delle app per cellulari, del marketing online, il programmatore tedesco noto come Pricorde & co. fecero una semplice osservazione sulla realtà: di tutte le situazioni rappresentate nei videogiochi ad alto budget, ce n’era una che presentava qualità estetiche decisamente deludenti: l’incidente automobilistico. Rimboccando quindi le maniche delle loro camice, iniziarono a chiedersi che cosa potessero fare per migliorare sensibilmente le cose…

Leggi tutto

L’occasione di salvare un’iguana sperduta in mare

È stata una realizzazione per gradi, quella che ha colpito Steve della Key West Kayak Fishing, mentre si muoveva con la sua piccola imbarcazione a largo della Florida, oltre la sottile striscia di isole che si trovano ai confini settentrionali del Mar dei Caraibi, vicino all’isola di Cuba. Voglio dire, quando ti trovi a 6 Km e mezzo dalla costa, e vedi una sagoma frastagliata fra le onde, che cosa mai potresti tendere a pensare? Se non che si tratti di una foglia di palma, magari, o un pesce recentemente deceduto, in attesa di finire nello stomaco di un qualche uccello che dovesse passare di lì. Finché la corrente non ti porta più vicino, e inizi a scorgere come la “cosa” in questione sia dotata di zampe, una testa, la lunga e sinuosa coda da lucertola verde prato. E tutto questo non è ancora tutto: poiché la creatura si sta muovendo, è viva, nuota faticosamente nella vana speranza di tornare in vista dell’ormai irraggiungibile riva. E allora, quando la vedi che annaspa vicino al tuo scafo con la testa tenuta a malapena fuori dall’acqua, c’è soltanto una cosa da fare: allungargli un remo ed aiutarla a salire a bordo, nella speranza che si fidi abbastanza da riuscire a portarla fino a riva. Voglio dire, credo che in molti avremmo fatto esattamente lo stesso. È assolutamente noto come l’iguana verde americana (Iguana iguana) sia una creatura rigorosamente di terra, che vive sugli alberi e mangia placidamente l’insalata, fiori, frutti e al massimo qualche insetto che accidentalmente si trova sopra il suo pasto vegetariano. Come diamine è possibile, dunque, che abbia finito per ritrovarsi qui? La teoria elaborata da Steve parla delle forti maree che colpiscono le più vicine terre emerse, sopratutto nei periodi in cui la Luna si trova al perigeo. È allora possibile che l’animale, immerso appena nel bagnasciuga per regolare la sua temperatura corporea, sia stato catturato dalla corrente e trascinato via al largo, verso l’azzurra ed impietosa immensità. Fortuna che l’uomo, chiaramente una guida turistica con competenze nel settore della pesca, si è presentato con l’intenzione di rimediare a questo scherzo di un fato più che mai crudele. Inizia quindi un lungo viaggio di ritorno, con lo scaglioso passeggero che si aggrappa sul pilone del galleggiante di stabilizzazione, prima di spostarsi sulla posizione più sicura della scatola per le esche, posta sul retro dell’imbarcazione. Lì posizionato, come una polena all’inverso, s’immobilizza, alla maniera tipica dei rettili che cercano di trarre energia dal Sole.
L’iguana verde del resto, o gallina de palo, come la chiamano gli abitanti di lingua spagnola dei dintorni, la cui cucina tipica tende a  trattarla come un equivalente del pollo, non sono creatura dotate di grande spirito d’iniziativa, quanto piuttosto propense a reagire alle casualità del mondo con una flemma e una pacatezza che le ha rese, nel corso delle ultime generazioni, anche un prediletto animale domestico. Ciò detto, è anche dotata di una serie di denti larghi e frastagliati, piatti come una foglia, che possono arrecare danni tutt’altro che indifferenti ad un essere umano. Con l’avvicinarsi alla terra ferma quindi Steve inizia a chiedersi inevitabilmente come farà, alla fine, a farla scendere dalla sua proprietà senza colpirla col remo, se soltanto quella si mettesse in testa di eleggerla a suo nuovo luogo d’abitazione. Se non che fortunatamente, al comparire di una fila di alberi semi-sommersi a sinistra dell’insolito duo, l’iguana si tuffa spontaneamente, riprendendo a dirigersi verso la Florida grazie al suo ritrovato vigore. Missione compiuta, giusto? La buona azione quotidiana è stata compiuta? Più o meno. C’è un intera categoria sociale, in effetti, che su questo gesto altruista avrebbe avuto più di qualcosa da ridire. Questo perché le iguane, nella più famosa penisola degli Stati Uniti non sono certamente native (provengono dall’America centrale e meridionale) e la loro natura estremamente prolifica sta causando ormai da tempo notevoli problemi agli agricoltori. Considerate che una iguana femmina depone tra le 20 e le 71 uova disposte in qualche buco nel terreno, che poi abbandona immediatamente per continuare la sua vita per lo più solitaria. E se pure non tutti i piccoli arrivino al momento della schiusa, causa l’intervento di vari tipi di predatori, potete facilmente immaginare il danno che un paio di dozzine di questi animali possano arrecare a un’azienda rurale, agendo come la versione sovradimensionata di un gruppo di bruchi che non diventano mai farfalle. Ma continuano a consumare tutto quello che gli riesce di scorgere coi loro piccoli occhietti neri…

Leggi tutto