Come salvarsi dalla resina dell’edera velenosa

Arrossamento; vesciche; copioso sanguinamento. Nell’odierno scenario delle comunicazioni internazionali, alla base della diffusione involontaria delle piante ed animali più diversi, non è mai superfluo documentarsi sulle specie per noi aliene. Poiché non è detto che in un giorno particolarmente (s)fortunato, durante una scampagnata fuori i confini cittadini, non ci capiti di essere proprio noi, i primi a scoprirne la presenza sul territorio italiano. Esperienza che nel caso delle Toxicodendron radicans, diversilobum vernix, potrebbe rivelarsi decisamente dolorosa. È un tipo questo, alquanto insolito di sofferenza. Sopratutto nell’ambito vegetale, dove saremmo indotti a pensare all’effetto dell’ortica coi suoi peli urticanti, il cui prurito è generalmente percepito nel giro di pochi minuti e dura qualche ora. Mentre nel caso dell’urushiol, l’olio malefico contenuto nella resina di queste piante dai caratteristici raggruppamenti tripli o multipli di foglioline, stiamo parlando di una sofferenza che può palesarsi anche a giorni di distanza, per poi durare settimane o mesi. Ma si potrebbe anche dire, visto l’effetto incrementato di un eventuale secondo contatto anche a distanza di molti anni, che l’organismo umano non guarisca mai più. Urushiol naturalmente deriva dalla parola giapponese urushi (漆) che indica la particolare vernice lucida ricavata dalla linfa dell’alto arbusto Toxicodendron vernicifluum, anche detto albero della lacca. Il quale, per generazioni senza tempo, è stato alla base del più fantastico ventaglio di manufatti decorativi, oggetti religiosi e persino l’armamentario dei guerrieri samurai. Altre piante che appartengono allo stesso genus includono l’anacardio, il mango ed il sumac, che veniva impiegato durante lo shogunato Tokugawa per produrre un tipo di candele alternativo a quello della cera d’api, per molti versi preferito dagli abbienti consumatori. Potrebbe dunque sembrare strano, che piante dotate di una sostanza potenzialmente nociva (come esemplificato dal prefisso latino nel nome scientifico, toxico-) possano essere ingerite o bruciate all’interno di ambienti chiusi, con l’assoluta certezza di ritrovarsi la loro essenza a ricoprire le pareti interne dei nostri organi più vitali. Ma il punto è che questo particolare veleno, se davvero così può essere chiamato, agisce soltanto in maniera indiretta attraverso una reazione allergica della vittima malcapitata. E tale reazione, in effetti, è MOLTO più frequente a partire dalle tre succitate specie, prevalentemente diffuse nella parte settentrionale del continente americano. Per ora?
Nel momento in cui dovessimo trovarci a gestire un’infestazione di tali diaboliche forme di vita vegetali, ad ogni modo, avremmo per lo meno un vantaggio: la possibilità di scorrere su Internet attraverso i lunghi secoli di sapienza popolare accumulati da coloro che ci hanno dovuto convivere da sempre, sperimentando a più riprese la terribile esperienza del suo tocco difficile da dimenticare. Persone come lo specialista di habitat per cervi Jim Brauker, titolare del canale di YouTube Extreme Deer Habitat, che facendo un lavoro che si svolge necessariamente in alcune delle zone più selvatiche del sottobosco statunitense, si è trovato più volte a dover gestire l’incontro indesiderato con queste piante. Il che è particolarmente problematico, proprio perché sviluppa e potenzia ulteriormente la reazione del nostro sistema immunitario all’urushiol. Eventualità sconveniente: poiché la natura di questa sostanza non è quella di attaccare direttamente le cellule, bensì di indurle ad assumerne serenamente i princìpi attivi, pochi istanti dopo che i linfociti T, tra i più strenui protettori dell’organismo, riescano ad individuarli come elementi pericolosi per l’ordine costituito. Con la risultanza che, a quel punto, attaccheranno le loro stesse unità biologiche consorelle, causando le spiacevoli lesioni elencate in apertura. Ora se voi leggete tra le righe, comprenderete che cosa significhi tutto questo: ad ogni successivo evento d’invasione, i linfociti reagiranno con una maggiore prontezza e violenza. Causando sofferenze indicibili ai loro incolpevoli proprietari. Cosa fare dunque, come salvarsi da una simile punizione Divina? Brauker consiglia un approccio apparentemente semplice, pur essendo fin troppo spesso trascurato….

Numerose sono le specie animali che si nutrono dell’edera velenosa e delle sue bacche (tecnicamente, delle drupe) senza riportare particolari conseguenze. Nonostante questo, per ovvie ragioni la pianta è considerata un ospite indesiderato dei giardini, da contrastare anche con diserbanti fatti in casa. Come questo, a base di acqua distillata ed aceto.

Per dimostrarlo impiega lo stesso approccio diretto in uso nella maggior parte delle scuole americane: la sperimentazione. Ma non toccando direttamente la pianta (non è così pazzo) bensì tramite l’impiego di un fluido dal comportamento pressoché equivalente: l’olio per motori. Già perché l’urushiol, come dato fin qui ad intendere, non è un semplice liquido, bensì una sostanza ingrassante e nerastra che tende a restare appiccicata alle cose. O le persone. Il che significa che riuscire a rimuoverla, prima che inizi ad indurre la terrificante reazione allergica, occorre comportarsi esattamente come un meccanico che abbia appena portato a termine una riparazione particolarmente complicata. Con riferimento a ciò, si sporca in maniera esauriente il braccio sinistro. “Non usate soltanto…” Continua poi nella sua dimostrazione “…Prodotti specifici, pensando che questo basti a cavarvela senza conseguenze.” A quel punto mette sul lavandino dell’officina tre saponi, uno del tipo normale per le mani, uno per i piatti ed il tecnu, un rimedio di tipo medicinale venduto proprio per rimuovere l’urushiol. Poi li applica assieme a dell’acqua fredda (quella calda è sconsigliata, in quanto fa aprire i pori) mostrando dei risultati piuttosto deludenti: tutte e tre le macchie sono ancora lì. Finché lui non prende, con gesto semplice ma risolutivo, un piccolo asciugamano ed inizia a strofinare. “Ecco la vostra soluzione: frizionare la pelle” Come se la vostra vita dipendesse da questo, aggiungerei. Perché in effetti è proprio così (per i prossimi 5 o 6 giorni a venire). Mentre non paiono esserci effetti differenti, per lo meno nella rimozione dell’olio per motori, a seconda del tipo di sapone utilizzato. Il che è una fortuna, nel nostro caso ipotetico di un primo o secondo incontro, visto la probabile non facile reperibilità del tecnu sul territorio italiano.
A questo punto verrebbe anche da chiedersi, dato che stiamo parlando di una reazione allergica, se non esistano persone che semplicemente non dovranno mai preoccuparsi di entrare in contatto con i tre tipi di edera velenosa statunitense. Ci sono, dopotutto, persone a cui basta vedere un anacardo da lontano per iniziare a sentirsi male. Ed altri che ne mangiano copiose quantità di fronte allo schermo della Tv. La risposta è in effetti piuttosto controversa. Secondo la ricerca scientifica, il fortunato popolo degli immuni alle ustioni da urushiol ammonterebbe al 15-25% della popolazione totale, ma Brauker nelle risposte che da ai commenti del suo canale, si permette cortesemente di dissentire. Si è più volte verificato in effetti il caso, di persone assolutamente convinte di essere immuni al pericolo delle piante, che dopo lunghi anni in cui le hanno maneggiate per scommessa o durante le attività di giardinaggio, all’improvviso ne hanno subito le conseguenze eternamente paventate dai loro connazionali. Questo perché i loro linfociti T, dopo lungo tempo, avevano finalmente superato l’alta soglia di tolleranza di cui la natura li aveva omaggiati. Da cui famosi detti americani “Leaves of three, leave it be.” (Se ha tre foglie, lascia stare) oppure “Berries white, danger in sight.” (Bacche bianche, pericolo in vista).

Un approccio alternativo alla cura delle infezioni da urushiol, come mostrato qui da Thorn dello show televisivo Live Free or Die, è l’applicazione di impacchi con la pianta jewelweed (Impatiens capensis) riconoscibile per lo splendore delle sue foglie quando immersa nell’acqua. Va da se che l’impiego di una simile contromisura è consigliabile solo per grandi conoscitori dell’ambiente naturale.

Conclude la lezione di Brauker un’attenzione particolare riservata alla pulitura ed il frizionamento delle parti più facilmente passibili di dimenticanza (tra le dita delle mani, dietro l’avambraccio…) e sopratutto, una gestione adeguata di tutta l’attrezzatura e gli strumenti che potrebbero essere entrati in contatto con l’olio tossico. Poiché questa patologia nefasta può essere indotta dal semplice contatto, in effetti, si sono verificati casi in cui il semplice aver toccato una maniglia di casa o lo sportello della macchina ha poi trasferito il contagio a membri della famiglia o coabitanti, facendo diffondere l’erronea convinzione che si tratti di un male in qualche maniera contagioso. Un possibile esempio è anche quello del cane inconsapevole, che magari giocando tra le fronde ha intrappolato nel pelo una certa quantità d’olio, diventando così una trappola per il primo incauto che dovesse pensare di accarezzarlo. Pensate che persino le piante morte ed ormai secche da mesi possono contenere quantità di olio sufficienti a far stare male una persona adulta.
Questa è la storia, dunque, dell’edera velenosa (Poison Ivy). Che non a caso ha dato anche il nome ad una delle più riconoscibili criminali dell’universo dei fumetti della DC, eterna nemica giurata, così seducente, del giustiziere dal cappuccio di pipistrello. Ma Batman, che di donne terribili ne ha già gestite parecchie, sa perfettamente come evitare la tentazione di venire a contatto con le sue membra urticanti. Proprio da qui trae l’origine del potere che gli permette di continuare a lottare. Ma secondo alcuni, altrettanto vale per le radici della sua debolezza.

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