Gli strani casi della vita hanno la tendenza a verificarsi nei momenti e modi più inaspettati, modificando le aspettative e gli esiti di un intero semestre. Così accadde, nell’ottobre del 2016, che nel principale liceo del distretto scolastico di Fort Cherry, nello stato della Pennsylvania, gli studenti e i professori iniziarono a lamentare uno strano odore. Riconoscendolo subito come quello di una muffa o infiltrazione d’acqua, la sovrintendente locale ordinò la chiusura temporanea dell’istituto, per procedere a una perizia che aprisse la strada a seri interventi di manutenzione. Ma l’azienda specializzata, contattata in quell’occasione, non rilevò alcun reale segno del problema. Passando quindi alla seconda causa più probabile, fu chiamato uno sterminatore, che disseminò l’edificio di trappole per roditori. Trascorsi diversi giorni, tuttavia, fu necessario venire a patti con la realtà: nemmeno un infiltrato abusivo era stato preso. A quel punto le aule furono svuotate. Gli scaffali della biblioteca spostati da una parte. Furono esplorati armadi, cantine, condotti di scarico e d’areazione. Finché ad un certo punto, illuminando con la torcia un pertugio particolarmente remoto, non venne scoperta l’effettiva fonte dell’indesiderato aroma: la saliva presente in un nido creato tra la polvere e le sterpaglie. L’inconfondibile casa dell’unico mammifero velenoso del Nord America.
Come un Alien nella nave spaziale, vorace e aggressivo, ma piccolissimo (14 cm max) e molto, molto più prolifico della più temibile creatura della fantascienza cinematografica. Che sembra a tutti gli effetti un topo, benché appartenga piuttosto alla classificazione degli Insectivora e non presenti, in funzione di questo, i caratteristici denti incisivi fatti per sminuzzare. Sostituiti da 32 minuscole zanne quasi perfettamente identiche, ideali per ghermire le prede ed intrise di una tossina, la kallikreina, in quantità sufficiente per uccidere un gatto o un cane. Il toporagno settentrionale dalla coda corta (Blarina brevicauda) è una vera e propria curiosità biologica, poiché si tratta dell’unico appartenente alla sua famiglia che sembra in grado di rendere giustizia alla prima parte del nome italiano, risultando effettivamente in grado di paralizzare e ghermire prede molto più grandi di lui. Nonostante l’aspetto inoffensivo e grazioso, si tratta di un ferocissimo predatore, che pur preferendo inerentemente gli insetti, non disdegna di catturare vermi, talpe, salamandre e topi. Può inoltre stordire con il suo morso le lumache, che quindi intrappola a tempo indeterminato nella sua tana, in qualità di spuntino da consumare nei periodi di magra. Il Brevicauda, nel frattempo, soprattutto in funzione della sua dimensione particolarmente ridotta, costituisce a sua volta una preda d’innumerevoli altre creature, quali canidi, mustelidi, uccelli rapaci, corvi… E ovviamente, serpenti. Per i quali tuttavia, come testimoniato dal breve segmento di documentario riportato qui sopra, non va sempre bene. Saremmo portati a pensare, effettivamente, che il rettile oblungo possieda l’assoluta posizione di predomino nel confronto con una creatura apparentemente inerme come un minuscolo toporagno. Ma la realtà è che il sussurratore del frutto dell’Eden, pur potendo contare sull’attacco fulmineo ed il morso immediatamente letale, qualora dovesse mancare tale assalto, sarà letteralmente inerme contro la furia del suo nemico. Un serpente non è per niente agile ed inoltre, non può strisciare all’indietro. Tutto quello che deve fare Mr. Shrew, dunque, è girargli attorno e mordergli la coda, lasciando che la sua saliva penetri nella ferita. A quel punto, gradualmente, il mostro scaglioso resterà paralizzato. E il toporagno inizierà a mangiarselo vivo.
Per quanto concerne invece la navigazione e ricerca di cibo, un’attività che occupa la maggior parte delle sue ore serali e notturne in funzione del metabolismo iperveloce, Brevicauda sfrutta un altro artificio che lo distingue in maniera significativa dai suoi parenti più prossimi. Si potrebbe effettivamente pensare che esso, in qualità di animale sotterraneo dalla vista molto poco sviluppata, possieda almeno un ottimo olfatto. Mentre in effetti, il suo naso non è particolarmente efficiente. A differenza dell’udito, per non parlare dell’acutezza del suo verso, simile ad un click ripetuto a intervalli regolari. Capite a cosa stiamo arrivando? Questo è un animale che trova la strada grazie allo strumento dell’ecolocazione, in maniera non dissimile dai pipistrelli. Ora iniziate a capire, davvero, la vertiginosa profondità della sua stranezza…
animali
L’ascesa e il declino del cane più caro al mondo
Un milione e mezzo di dollari. Non credo che li spendereste per un animale domestico. Del resto, selvaggio non è forse migliore? Che cosa avrebbe mai da guadagnare, un essere a quattro zampe prodotto dall’evoluzione, nel venire incapsulato e condizionato dalle norme dell’umana società? Prototipica è l’immagine, talvolta utilizzata a scopo esemplificativo, del nostro amico cane che fronteggia il suo antenato, il lupo. Candido e tremante, il primo, cupo e minaccioso, gli occhi rossi dalla furia l’altro. Con denti acuminati dal consumo di carne e fresca e talvolta pulsante, laddove Fido è invece abituato a sgranocchiare croccantini e bocconcini e accetterebbe pure, Dio non voglia, venefici (per lui) cioccolatini! Per non parlare dei muscoli e la costruzione fisica, induriti nella bestia dal bisogno di correre col branco fra la neve e in mezzo ai boschi della taiga, ricercando il cibo per se stessi e i cuccioli in un territorio straordinariamente ostile. Un confronto molto facile da ponderare, questo, se si usano 9 su 10 compagni domestici di quest’epoca moderna e urbanizzata. Ma che sarebbe risultato assai diverso, all’epoca dei nostri antenati. Ritornando con la mente all’Era Classica, da Occidente a Oriente, quale pensate sia stata la prima funzione del cane… Se non proprio, quanto segue: spaventare, soverchiare e annichilire il lupo, per garantire la sopravvivenza del bestiame maggiormente vulnerabile in possesso dei padroni. Si dice che il principale cane tibetano sia in qualche maniera simile all’aspetto primordiale della sua genìa, poiché “mastino” o “molosso” è la forma che sarebbe stata giudicata ideale all’epoca della prima selezione artificiale effettuata dall’uomo: una creatura così formidabile, e possente, che nessun animale del suo ambiente d’impiego mai potuto contrastarla in un combattimento alla pari. Superiore, addirittura, al lupo. Per questo la chiamavano Drog-khyi, nel suo paese sopra il tetto del mondo, che significa “cane da tenere legato” in maniera analoga all’antico idioma inglese bandog, usato per gli incroci di razze finalizzate a produrre il più feroce guardiano dell’uscio e del giardino di frontiera americano. Ma che in Himalaya invece, per una endemica limitazione del pool genetico, sarebbe risultato sufficientemente conforme ad una serie di particolari caratteristiche da essere inserito nella FCI (Fédération cynologique internationale) come razza a tutti gli effetti, e nello specifico, una delle più grosse e forti del mondo. Fino a 83 cm al garrese, e 72 Kg di muscoli pelosi, in grado di rappresentare il più prezioso tesoro vivente di una famiglia di pastori o l’intera comunità di un villaggio isolato. Esistevano a tal proposito due varietà del cane, spesso prodotte nella stessa cucciolata e per questo non distinte dalla classificazione occidentale: Do-khyi, il cane “nomade” più scattante e leggero, Vs. Tsang-khyi, il “cane da monastero” un vero e proprio gigante in grado di fare praticamente qualsiasi cosa, tranne muoversi alla velocità del tuono. Persino il suo latrato sapeva risultare particolarmente spaventoso e potente, al punto da gettare lo sconforto nel cuore di un qualsivoglia ladro. Poiché la notte, normalmente, il “cane legato” veniva invece sciolto e lasciato libero di vagare tra l’oscurità, come uno spettro simile a un leone di Foo.
Quello che tuttavia non si sarebbero mai immaginati, neppure i suoi allevatori con una lunga e articolata tradizione generazionale, era che un intero paese estero potesse autodichiararsi all’improvviso “pazzo per il Drog-khyi”, dimostrando di essere disposto a fare pressoché qualsiasi cosa, pur di accaparrarsene un esemplare da esposizione. E con paese intendo, ovviamente, per lo più la classe dirigente, dei cosiddetti nuovi ricchi della Cina, nel cui ambiente ogni bene insolito, non importa quanto specifico nel suo impiego prefissato, può istantaneamente trasformarsi nel simbolo del proprio status e il sangue stesso di una nuova moda, nella quale investire molti letterali milioni di yuan. Dal che si arriva a questo video del 2014 della testata Vice, in cui un inviato percorreva, ad occhi spalancati, le auguste sale dell’annuale fiera nazionale dei mastini tibetani di Yidu, nello Hubei, informandosi per quanto possibile sui pregi e il costo fuori scala di questa nobile ed antica razza. Ed in effetti sembrava, in quel preciso momento storico, che il mastino tibetano potesse solamente continuare a salire. Ma le alterne strade del fato, a quanto pare, gli riservavano il più crudele dei voltagabbana…
L’insignificante medusa che ha sconfitto la morte
Tutto quello di cui abbiamo bisogno, l’unica cosa che dovremmo riuscire a fare, è poter riavvolgere un singolo giorno della nostra vita. Importa realmente quale…? Direi proprio di no. Così raggiunta l’ora del tramonto, ritornerebbe l’alba. Ma sarebbe la stessa di 10 ore prima. E poi di nuovo, in un ciclo infinito d’invecchiamento e rigenerazione. Già, perché una cosa non dovrà per forza escludere l’altra! Questo è il significato ultimo dell’esistenza: pensate ad un pollo, che si trasforma in un uovo, il quale nel giro di qualche tempo si schiuderà, ritornando un pulcino. Qualcuno vorrà ancora sapere, a quel punto, quale delle due forme è venuta prima? Chiedetelo a Christian Sommer, il biologo marino tedesco, ed al suo amico Giorgio Bavestrello, proprietario di un acquario a Rapallo, all’interno del quale negli anni ’80 fu per la prima volta trasferita una creatura, che prima di quel fatidico giorno, non era mai stata notata dall’uomo. E lo credo bene: dopo tutto, la Turritopsis non misura che 2,7 mm di lunghezza, per 3,2 di diametro. Ed per di più semitrasparente, come si confà a una vera medusa. Ciò non significa, del resto, che possa sparire nel nulla. Immaginate dunque la sorpresa di questi due, quando la mattina dopo la fatidica scoperta, ritornando per controllare lo stato della loro cattura, non riuscirono più a ritrovarla in alcun modo. Mentre al suo posto, saldamente assicurato al fondale dell’acquario, c’era quello che gli scienziati chiamano polipo (non un “polpo”) ma che noi potremmo definire per analogia, come una sorta di anemone, minuscolo e sottile, i cui tentacoli protesi verso la superficie sembravano sfidare i perplessi catturatori. Scenari improbabili iniziarono ad affollarsi nella mente degli scienziati: “Forse il secondo animale era nascosto nell’acqua, noi non l’abbiamo notato, e si è mangiato la medusa” oppure “Mi pare evidente che ieri avevamo bevuto un bicchiere di troppo, e tutto il resto l’abbiamo sognato.” nonché ovviamente, la più assurda di tutte: “I nostri occhi stanno guardando la stessa cosa. La medusa di ieri, trasfigurata.”
Possibile? Davvero? Se fino a 30-40 anni fa, un’ipotesi simile fosse stata paventata dinnanzi al mondo scientifico riunito in convegno, svariati insigni studiosi dalla barba bianca sarebbero scoppiati a ridere. Poiché in effetti, molti appartenenti all’ordine degli cnidaria attraversano questa specifica metamorfosi, ma lo fanno all’inverso, come parte di un ciclo che può essere sommariamente riassunto in uovo>larva>polipo>medusa. Ora se realmente, una forma di vita avesse scoperto il segreto per ritornare dalla quarta alla terza fase, e poi nuovamente dalla terza alla quarta, che cosa potrebbe fermarle dal farlo un infinito numero di volte? Essa potrebbe vivere per 100 anni…1.000…5.000, anche 12.000 millenni. Fatta eccezione per la casualità, in realtà statisticamente piuttosto probabile, di finire in bocca a qualcosa o qualcuno. Dopotutto, è difficile mettere radici mentre si viene digeriti. L’intera questione fu dunque sottoposta a uno studio. Finché Ferdinando Boero, un professore dell’università di Salento contattato a suo tempo da Sommer e Bavestrello, non poté pubblicare nel 1996 il suo celebre articolo Reversing the life cycle: medusae transforming into polyps and cell transdifferentiation in Turritopsis nutricula. Tutti quanti, leggendolo, rimasero senza parole. Col che intendo che dal punto di vista dell’uomo della strada, non importò praticamente niente a nessuno. Troppo diverso, appariva, questo insignificante essere tentacolare dalla forma di vita “superiore” di noi possenti e saggi esseri umani. Giusto? Sbagliato, come sappiamo effettivamente dal 2003, grazie al completamento del Progetto Genoma Umano, e ad uno studio del 2005, che mise in relazione il nostro codice genetico con quello di diverse specie animali. Caso in cui fu scoperto, tra un generale senso di stupore diffuso, che in effetti l’unica differenza tra noi e le fluttuanti creature degli abissi sono due eventi evolutivi di duplicazione dei geni. Se soltanto le cose fossero andate in maniera leggermente diversa, nella lunga e articolata storia di questo pianeta, oggi noi potremmo trovarci aggrappati agli scogli, sperando di sopravvivere un altro minuto. E le meduse vivrebbero nelle case, lasciando scie di gelatina dal divano del salotto allo sportello della dispensa in cucina. E fu allora che all’improvviso, l’opinione comune si ricordò della Turritopsis. Questa nostra ritrovata parente, subito popolare poiché in possesso di un qualcosa di altamente desiderabile… Una ricchezza ulteriore… Un segreto che vorremmo anche noi. Oh quanto ci interessava, d’un tratto, la sua minuscola storia….
Le molte funzioni del corno più lungo dei mari
Il desiderio dei popoli è un potente motore economico. Intere dinastie di mercanti hanno prosperato o sono perite in funzione delle alterne fortune di un singolo bene, considerato primario in un particolare periodo, per via della moda o del momento sociale corrente. Pensate ad esempio ai bulbi di tulipani, che nell’ultima fase del Rinascimento trovarono diffusione nelle corti d’Europa come preziosissimo status symbol, su cui costruire l’intero prestigio di un giardino che fosse realmente degno di suscitare l’invidia de propri pari. L’altra faccia della medaglia, del resto, operativa fin dai secoli bui del Medioevo, era l’umana superstizione. Si narra che la regina Elisabetta I dei Tudor, durante buona parte del XVI secolo, avesse posseduto un boccale ingioiellato dal valore stimato di 10.000 sterline di allora, equivalenti grosso modo al costo di un intero castello (circa 2,5 milioni al calcolo dell’inflazione). Colui che glielo aveva donato, l’avventuriero Sir Humphrey Gilbert, aveva del resto identificato la sua provenienza: il corno del misterioso e semi-mitico animale, noto col nome di sea-unicorne. Il cui potere magico, nell’opinione comune, avrebbe permesso di allontanare le malattie e rendere innocuo qualsiasi veleno. Vi lascio immaginare l’importanza che un simile oggetto, dunque, potesse avere per la monarca del singolo paese più potente ed odiato della sua era. E di situazioni simili, risalendo a ritroso, ne ritroviamo nell’intera storia d’Europa, a partire dell’epoca dei vichinghi, che furono i primi ad essere in grado di navigare nei mari del circolo polare artico, pieni di tesori, mostri marini ed inusitati eventi. Tra cui l’incontro ravvicinato con la nár whale (balena cadavere) un essere il più delle volte avvistato immobile sulla superficie, gonfio e grigiastro, con la testa e il corpo visibilmente gonfi, come quelli di un marinaio annegato ormai da diversi giorni.
Ma che una volta avvicinato, con l’arpione e le lance, allo scopo di catturarlo, d’un tratto si animava, per tuffarsi nel profondo e non tornare mai più. O almeno così sembrava, vista la capacità di trattenere il respiro più a lungo, e raggiungere profondità maggiori del 90% degli altri mammiferi marini esistenti. Una dote che aveva in comune, del resto, con un’altra visione quasi sovrannaturale degli oceani di un tempo, il beluga dalla voce stridula e le proporzioni angosciosamente umane, ingigantite alla dimensione di 4-6 metri. Ma il parimenti massiccio narvalo (nome scientifico: Monodon monoceros) aveva ricevuto dall’evoluzione, rispetto a quest’ultimo, una significativa marcia in più: il singolo corno, affusolato e spiraleggiante, in grado di incrementare la sua lunghezza di un ulteriore scatto di 1,5/3 metri. Decisamente più del rostro del pesce spada, superando per lo più in media la terrificante arma del pesce sega, pur essendo privo della proverbiale e spaventosa dentellatura. L’effettiva provenienza di questo singolare elemento anatomico, del resto, avrebbe certamente sorpreso gli uomini di qualsiasi epoca antecedente alla modernità: stiamo parlando, in effetti, di nient’altro che un dente incorporato nella parte sinistra del cranio, uno dei soli due fatti e finiti che si trovano nella mascella dell’animale, per il resto circondati da piccole placche vestigiali e semi-nascoste all’interno delle gengive. Il narvalo in effetti non può masticare, e si nutre alla stessa maniera delle balene dal becco (fam. Ziphiidae) che risucchiano e trangugiano intera la preda. Sia chiaro, proprio in funzione di questo, che stiamo parlando di creature dalla dieta altamente specializzata. Secondo uno studio del Canadian Journal of Zoology, che ha seguito 73 narvali di diverse età per il periodo tra giugno 1978 e settembre 1979, nei loro stomaci era presente al 51% il solo merluzzo artico, e per il 37% l’halibut della Groenlandia. Per il restante 12%, i loro pasti erano consistiti di varie specie di seppie, gamberi e calamari. Una varietà decisamente insufficiente per giustificare l’antica cognizione, secondo cui la zanna servisse a creare disturbo e frugare in mezzo alla sabbia dei fondali, alla ricerca di potenziali fonti di cibo come fatto dal succitato pesce sega. Si sono dunque affollate in merito una lunga serie di ipotesi, sfociate proprio in questo recente maggio del 2017 in una conclusione apparentemente risolutiva, grazie al più incredibile sviluppo tecnologico dell’era contemporanea: il drone telecomandato con telecamera a bordo. Che sorvolando rumorosamente le onde, è riuscito a vedere…