Pietra. Pietra enorme che svettante, forma un’ombra sull’alto versante. Pietra cuboidale dagli spigoli aguzzi. Ed i residui abbozzi. Pietra gigante. Pietra importante. Chi ha trovato questa pietra nella parte centro-settentrionale dell’antico paese unito, poi diviso, poi unito, invaso e infine liberato? Nessuno, nel senso che il pesante dono per chi l’ha voluto è frutto di un intento umano. L’estensione di un bisogno largamente arbitrario, riassumibile nell’ordine costituito dal preciso intento di colui che aveva l’assoluto potere. Yongle, l’imperatore della “Gioia Infinita” (永樂) direttiva che in alcun modo doveva necessariamente concretizzarsi per i suoi fedeli soggetti. Particolarmente coloro che furono inviati, a partire dall’inizio del XV secolo, presso l’antico sito e cava di Yangshan: in buona parte lavoratori deportati dalle province più distanti dell’impero, ma anche la povera gente reclutata tra il popolo della vicina Nanchino, criminali comuni e l’occasionale detrattore politico, semplicemente inammissibile in un’epoca in cui il Mandato Celeste veniva interpretato come un letterale pilastro dell’esistenza civile su questa Terra. Così come sanzionato dalla schiera d’intellettuali confuciani, amministratori ed eunuchi di corte che avevano accompagnato l’ascesa al potere di un tale augusto personaggio, al secolo Zhu Di, sostituendosi all’aristocrazia guerriera di suo nipote e predecessore sul Trono del Drago, l’imperatore Jianwen. Dopo una feroce battaglia entro i confini della città nota al tempo come Beiping, ove si distinse tra gli altri il suo importante servitore e futuro esploratore dell’intera Asia meridionale, Zhang He. Ma ciò che non viene altrettanto spesso ricordato è come, oltre ad ampliare sensibilmente i confini della propria rete di tributari, Yongle avesse al tempo stesso investito parti considerevoli delle proprie ricchezze nella costituzione d’importanti opere pubbliche in tutta la Cina. Come strade, ponti, magazzini, la svettante e in seguito distrutta (poi ricostruita) pagoda della Torre di Porcellana nella sua nuova capitale a Nanchino. Tutte opere che giunsero a beneficiare dell’antica cava marmorea, originariamente istituita dalle dinastia precedente. E che dire della stele alta otto metri presso il Mausoleo Ming Xiao della Montagna Purpurea? Creata da un pesante monolito sorretto dalla scultura di una tartaruga immortale. Dedicata doverosamente a suo padre e fondatore della dinastia Ming, l’imperatore Hongwu, benché si trattasse nella realtà dei fatti di una mera riduzione necessaria del progetto di partenza! Che avrebbe dovuto raggiungere, idealmente e nei disegni preparatori commissionati dal supremo dinasta, i 73 metri paragonabili alla moderna Statua della Libertà escluso il plinto, per di più occupati da un massiccio insieme di tre blocchi di materiale calcarei, con un peso complessivo misurabile attorno alle 30.000 tonnellate. Ovvero circa trenta volte quello dell’obelisco di egiziano di Aswan, rimasto incompleto per l’impossibilità fisica di spostarlo dalla cava in cui era stato intagliato. Ma chi avrebbe avuto il coraggio di prevedere un simile esito al cospetto del notoriamente spietato, spesso irragionevole o impaziente Imperatore della grande Gioia?
Cina
Squadra di lumache autonome ricombinanti, soluzione ad un problema che non sapevamo di avere
Cinquant’anni prima, nessuno aveva pensato che le illustrazioni predittiva dell’intelligenza artificiale avrebbero potuto realizzarsi con tale impressionante precisione. Di sicuro, l’esaurimento delle riserve di carburanti fossili, dell’acqua potabile, l’aumento dei disastri naturali e le frequenti e inconcludenti guerre tra nazioni moderne dovevano aver accelerato le cose. E adesso Umano 3483 giaceva tra le macerie della Megalopoli Europea, in un quartiere dove l’autorità costituita non poteva in alcun modo fornire il suo supporto. Gli Shev coi loro monopattini a cuscino d’aria, armati di tubi ritorti, avevano distrutto il robotaxi prima che potesse uscire dal tunnel, e trascinarsi via non era più possibile. Come un ultimo, disperato tentativo di salvarsi, Umano premette l’icona rossa nell’angolo inferiore sinistro del proprio smartwatch in realtà aumentata, pronunciando le parole di rito: “Sciury, chiama subito la polizia” ben sapendo che sarebbero arrivati troppo tardi. A meno dell’intervento fortuito di un nuovo drone sperimentale? I minuti scorrevano come ore. Ben presto uno Shev comparve ai margini del suo campo visivo, con l’elmo ricoperto di lamette ed un lungo mantello ricavato da una vecchia bandiera, gli occhi scintillanti dal caratteristico color dell’antrace. Tra le sue mani, cullava quella che sembrava a tutti gli effetti una clava costruita con due dozzine di Nokia 3310 attaccati assieme. Chissà dove diamine li aveva trovati! Ora Umano sentì sollevarsi lievemente, mentre l’ombra dei palazzi ricoperti d’edera sembrava scorrere verso un punto di fuga inesistente. “Prego restare immobile, numero 3483!” esclamò una voce metallica attraverso il suo impianto cocleare di tracciamento e comunicazione. Cosa stava succedendo, esattamente? Ora la superstrada sfumava dalla sua posizione supina, con la velocità percepita progressivamente maggiore, mentre l’imprevisto tappeto magico si piegava obliquamente sull’inizio di una svolta a 72 gradi. Gabbiani e piccioni quadri-alati, sempre più numerosi dall’irradiamento dei parchi cittadini, sembravano inseguirsi tra le nubi iridate. Qualcosa sembrò allora spingere e tirare in piedi lo scombussolato passeggero, dandogli occasione di guardare verso il basso. 16, o 22, o 36 sferoidi si agitavano velocemente tutto attorno alle sue scarpe con pattini integrati, mentre almeno il doppio sembravano brulicare correntemente sulla sua schiena. In quel mentre, avvertì un risucchio ed un tentacolo si sinuoso giunse a palesarsi da oltre il guard rail. Esso sembrava, per quanto improbabile, costituito da singoli bitorzoli mentre formando un arco posizionava la sua estremità perpendicolarmente alla posizione della sua nuca. Allora Umano si sentì sollevare e ribaltare lungo l’asse della gravità, mentre scrutando dietro di se scorse l’intera famiglia di Shev che sollevavano le fionde, prendendo la mira. Ma in pochi attimi scomparvero, venendo sostituiti da finestre variopinte, pilastri di cemento ed auto situate a mezz’altezza nel corridoio secondario peri-urbano. Finché ad attenderlo, poco più sotto, non si sollevò dal nulla tenebroso una letterale marea metallica di lumache.
Cyberpunk non inizia neppure a descrivere la situazione, in effetti, qualora il termine che siamo qui ad immaginare diventi piuttosto Snailpunk, o persino Gastropunk; giacché lumache ed altri piccoli animali con il guscio, fin da quando si affollavano sfidando cavalieri presso i margini dei manoscritti medievali, hanno da sempre affascinato e conturbato il vasto e variegato consorzio delle persone. Soltanto nessuno credeva, prima ancora del finire del primo quarto del XXI secolo, che qualcuno ad Hong Kong potesse giungere a razionalizzare l’idea. E mettendo in campo macchine e strumenti per la prototipazione, costruire la più fantastica e potenzialmente utile versione della chiocciola Terminator…
Le austere vette di boscaglia, punte di bambù draconico nel verde Oriente
In un celebre racconto popolare vietnamita, parte del canone orale di quel popolo, tanto tempo fa un povero contadino veniva sfruttato dallo spregiudicato padrone dei suoi terreni. Oberato di lavoro, senza giorni di riposo sul calendario né tempo libero da dedicare alla preghiera, gli veniva ripetuto falsamente: “Fai il tuo dovere, produci il più possibile, ed un giorno ti ricompenserò permettendoti di sposare mia figlia.” Ma il momento non veniva mai e ad al raggiungimento della maggiore età da parte della fanciulla, per dar seguito al pretesto, il suo signore aggiunse: “Certo che è una valida promessa. Portami un fusto di bambù della lunghezza di 100 nodi, ed avvierò la preparazione per le nozze oggi stesso.” L’uomo, per sua natura ottimista, si avviò nella foresta ma ben presto si rese conto che la sua impresa era impossibile. Se non che proprio in quel mentre, gli capitò di scorgere la sagoma di un viandante dalla carnagione pallida ed i lobi delle orecchie particolarmente lunghe, che gli chiese perché fosse tanto triste. Raccontata la sua storia, il contadino si sentì rispondere: “Taglia subito 100 fusti di bambù e portali qui da me, ti mostrerò una cosa.” Ottenuto quanto aveva chiesto la figura peculiare, che costituiva segretamente una manifestazione terrestre del Buddha Gautama, pronunciò la formula “Khắc nhập, khắc nhập!” (Attaccati assieme!) ed in un baleno, ciò che era plurimo divenne tutt’uno. Dopo aver appreso come far staccare e ricollegare a comando i 100 pezzi bambù, il contadino li legò assieme e trasportò al cospetto del suo aguzzino. Quindi ripetuta la magica esortazione, fece comparire nuovamente il lungo tronco risolutore. “Cosa stai facendo, tutto ciò non è permesso! Si tratta di una soluzione innaturale!” Esclamò il padrone. Ma nel momento in cui tentò di scorporare l’immenso costrutto, il contadino ripetè le mistiche parole affinché toccasse anche a lui di restare attaccato. Al figlio ed ai servi che tentarono di salvarlo, capitò la stessa sorte. Il che mise immediatamente la tradizionale vittima di tante angherie in una posizione di forza, tale da poter chiedere di nuovo la mano della figlia. Che molto questa volta per davvero, gli fu finalmente promessa. “Khắc nhập, khắc xuất” (Staccati subito!) disse allora, e legni e moltitudini tornarono del tutto indipendenti. In questo saliente racconto ci sono due morali: la prima è che talvolta se non resta nessun tipo di risorsa, è giusto utilizzare poteri miracolosi per instradare il corso degli eventi sulla falsariga della probità morale. D’altra parte, ciò che appare massimamente improbabile può anche essere possibile, nello schema generale degli eventi concepibili, e dunque percepibili dall’incessante macchina dei sensi.
Ed il secondo è che nella foresta, per quanto si possa cercare, non esistono bambù della lunghezza di 100 nodi! Ma ve ne sono alcuni che possono andarci molto, molto vicini. Al punto da essere chiamati, in senso idiomatico e nel contesto culturale cinese, 龙竹 – Lóng zhú, bambù del drago. Pur essendo originari del subcontinente, dove in condizioni ideali possono raggiungere i 45 metri di altezza. Sbucando come lance dei giganti, da un sottobosco solido e compatto, per sfidare le regioni stesse dell’Empireo limpido e incombente. A perenne testimonianza di quanto possa essere superba, quando agisce nel proprio assoluto e selvatico interesse, la natura che è il motore stesso del nostro mondo…
La seta che raggiunge l’apice della perfezione assorbendo il fango di un fiume cinese
Nero & marrone: i colori fondamentali della terra, interconnessi vicendevolmente così come si richiamano alla notte, le tenebre, il silenzio. Come le ali di falene del gelso mai venute al mondo, poiché immerse, con l’intero bozzolo, all’interno di una pentola assassina. Una morte dall’elevato tenore di spietatezza che corrobora il risuona nel profondo spirito di chi comprende in linea di principio l’empatia, ma pur sempre in grado di costituire il punto di partenza per qualcosa di meraviglioso: sīchóu (丝绸) la seta, etimologicamente “un doppio filo avvolto” sul telaio, per costituire il tipo di tessuto più pregevole in una vasta serie di circostanze. Ma se tutto questo fosse il punto più elevato del processo, semplicemente uccidere un insetto, dubbi potrebbero venire espressi sull’ingegno di chi ha messo in opera quel modus operandi, così come ogni altro compito portato a compimento dalle mani umane, nel suo particolare modo, tende a rivelare l’intento e l’ambizione di colui che intende perpetrarne lungamente l’impiego. Traendone profitto, certo, ma anche dando un senso a quel metodo artistico che può costituire, in ogni campo ed ambito culturale, un’importante parte della vita delle persone. Ancorché vi sono modi per esprimerlo, diversamente condizionati dall’ambiente di provenienza, che soltanto in modi o con approcci specifici, possono portare a compimento l’idea. Uno di questi: lo Xiangyunsha, un termine di marketing creato all’inizio del secolo scorso, che fa tuttavia riferimento ad una tecnica più vecchia di mille anni, traducibile a seconda degli ideogrammi usati per scriverlo come “seta che canta”, “seta fragrante” o “nube di seta profumata”. Così creata in origine, con approcci non dissimili da quelli odierni, secondo una leggenda ad opera dei pescatori di un certo corso d’acqua cinese, che sporcandosi accidentalmente gli abiti col fango del fondale di quest’ultimo scoprirono che questi rimanevano da quel momento incapaci di aderire alla pelle, idrorepellenti e per di più immuni all’accumulo di sporcizia. Un aneddoto effettivamente derivante della regione del delta del fiume delle Perle, nella provincia del Guangdong, l’unico luogo dove giungevano a convergere una serie d’importanti tesori! Il primo, un’industria già fiorente nella produzione del tessuto morbido e leggero per eccellenza. Il secondo, il passaggio di un fiume ragionevolmente libero da agenti contaminanti ed anche per questo l’accompagnatore di un limo speciale. Il terzo, ampi prati erbosi in prossimità degli argini, una condizione non meno imprescindibile per dare l’espressione a questa particolare tipologia di progetti tessili e tutto ciò che tende a derivarne. Per non parlare della capacità d’importare un certo frutto, o per meglio dire tubero creato dalla terra, prodotto principalmente collegato a determinate regioni del meridione asiatico, come Indonesia e Malesia…