Il treno con la testa rotativa che fagocita l’Inverno

Diventò d’un tratto chiara, al suono sibilante del vapore, l’effettiva portata di quanto stava ormai per capitare: dopo esserci scontrati con il mostro tante volte, lungo i ripidi sentieri della “mezza” vita, qualcosa di fondamentale si era trasformato nel profondo della nostra anima e nel cuore dei guerrieri. Così che al mutare della notte verso il giorno, sopra l’alto passo di Donner a ovest di Trucker, California, mentre indossavamo l’uniforme, l’elmo disadorno di colore giallo e impugnavamo l’essenziale ricetrasmittente d’ordinanza… Per un attimo fugace, solamente un singolo momento, arrivammo a chiederci: “É realistico? Che sia ancora la natura, a brandire l’arma del Destino con intento inverecondo, piuttosto che noialtri detentori del potere inusitato del Drago?”
Ai posteri, come si dice, l’ardua sentenza. I posteri che siamo noi, dinnanzi alla realtà davvero sconvolgente di un veicolo che viene dal passato, pur essendo ancora vivido e perfettamente funzionale, in quanto, ad essere sinceri, cosa mai potrebbe giungere a sostituirlo… Questo Rotary (la Rotativa) più che altro una locomotiva. Ma dotata di una bocca tanto larga da sembrare più che altro un pesce, che quando esce, non ti lascia neanche l’ombra di un candido cumulo residuo. Puro acciaio ed energia feroce, proveniente in via indiretta dall’ormai remoto 1868, quando un tale di nome J.W. Elliot, dentista di Toronto, ebbe a disegnarlo senza mai riuscire a farlo costruire. Obiettivo conseguito solamente alla distanza di vent’anni, grazie all’operosità e opulenza finanziaria di Orange Jull di Orangeville, Ontario. Eppure simili tempistiche, quando si prende atto della cosa che cammina lungo la montagna, non dovrebbero lasciarci stupefatti: occorre tempo, per dar forma ai sogni e un tempo ancor più lungo se si parla d’incubi proibiti. Anche quando in forma ferroviaria, si trasformano in amici dell’umana società. 10 anni, 10 anni dopo e 10 anni ancòra: questo il tempo necessario, normalmente, perché l’Essere venga di nuovo messo in movimento. Perché costa, in termini di carburante e ancor di più nella manutenzione, al punto da essere impiegato solamente in caso di “notevoli” e possenti nevicate. Così che fece notizia, a settembre del 2017, il fatto che le ferrovie dell’Union Pacific avessero di nuovo messo in campo la versione ammodernata di uno dei loro tre pezzi-unici, una belva dalla sagoma squadrata, alta 5 metri e lunga 15, con 130 tonnellate di peso. Facilmente riconoscibile per una parte frontale che tentar di definire “caratteristica” potrebbe a conti fatti, risultare riduttivo. Cubitale, spalancata enorme bocca, con un trapano-ventilatore largo ed alto quanto il veicolo stesso, se ancora tale può essere in effetti definito. Questo poiché una rotativa, nella sua concezione classica e anche la versione ancora in uso in California, non prevede nessun tipo di capacità di spostamento, in quanto il suo intero, enorme motore resta dedicato al solo scopo di far continuare a girare, con la massima potenza, il suddetto apparato simile alla testa di una trivella. Il che la rende, in gergo tecnico, uno dei pochissimi esempi nella storia della ferrovia di snail (trad. lumaca con il guscio) ovvero primo vagone privo di capacità motrice, come inversione concettuale della ben più classica slug (trad. lumaca SENZA guscio) definizione attribuita alle motrici inserite in posizione intermedia nel treno e normalmente sottoposte al controllo remoto. Ciò detto è palese e prevedibile che i segreti nascosti all’interno di un simile gigante, messo in moto dalla forza stessa delle circostanze, non possano esaurirsi in tale accenno di descrizione…

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Il tortuoso viaggio di una torre alta 96 metri

Dei tipi davvero complicati, questi idrocarburi. Non puoi vivere a stretto contatto con loro, ma non puoi nemmeno farne a meno. Resti fossili della Preistoria, rimasugli liquidi o gassosi di creature ormai dimenticate, trasformazione alchemica di ciò che un tempo camminava, strisciava, nuotava e volava su questa Terra. Oggi preziosi per una ragione sopra tutte le altre: la combustibilità. Ma non solo. E se io fossi qui per ricordarvi come ogni oggetto di plastica nelle vostre case costituisce in realtà la remota derivazione di un’insieme di cellule un tempo scintillanti, sublimate da quel brodo primordiale per trovarsi riordinate in un reticolo proficuo ed altrettanto redditizio? Attraverso uno specifico processo condotto in verticale dentro l’alambicco, in ciò che abbiamo la capacità di ricondurre al semplice strumento di un laboratorio, oppure una distilleria di liquore.
Perché ogni cosa può essere declinata su diverse scale di grandezza e quell’oggetto monumentale che ha fatto la comparsa, esattamente quattro giorni anni fa, sulle strade canadesi vicino la capitale regionale di Edmonton, nella provincia di Alberta, per procedere accompagnato dal più impressionante dispiegamento di forze da parte della multinazionale olandese degli iper-traslochi Mammoet, altro non era che la declinazione metallica di quell’oggetto sulla lunghezza approssimativa di un campo da calcio, secondo le precise linee guida identificate nel progetto di una torre di frazionamento. E di certo in molti l’avranno capito, mentre marciava quasi a passo d’uomo spinta innanzi da letterali dozzine di camion e un paio di piattaforme semoventi dai 26 assi (e che notevole risultato, per un oggetto dal peso di 800 tonnellate!) lungo le 12 strade e viali che collegano la zona industriale della sesta area metropolitana più vasta del Canada fino alla località nei pressi dell’ex-fortezza di Saskatchewan, dove a partire dai prossimi mesi, si occuperà di trasformare il gas propano estratto localmente in una quantità stimata di 525.000 tonnellate di plastica ogni anno.
Un’impresa difficile, un record nazionale ed in qualche maniera assai probabilmente, anche globale, a patto d’individuare il giusto numero di tratti di distinzione nel riassunto dell’impresa. Eppure anche l’unico modo possibile di ottenere il risultato desiderato, quando si considera il basso grado di tolleranze e le specifiche esigenze di un tale apparato, per sua stessa natura praticamente impossibile da assemblare in loco. Stiamo parlando, dopo tutto, del cuore stesso di un impianto petrolchimico come quello della Inter Pipeline che l’ha commissionato, il cui funzionamento stesso e condizionato da ogni singola saldatura, ciascuna svolta a gomito del suo arzigogolato percorso interiore…

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In un video la classifica dei migliori tipi d’incrocio stradale

Chi ha detto che giocare ai videogiochi non possa contribuire, in qualche maniera trasversale, al bene collettivo della società? Come in questa iniziativa dell’utente di YouTube Euverus, nonché membro della community informale del gestionale urbanistico Cities: Skylines (erede del vecchio SimCity) che applicando svariate modifiche fatte in casa alla logica di funzionamento dello stesso, ha realizzato una delle classifiche divulgative più complete in materia d’ingegneria stradale, molto più completa di quella offerta da una comune enciclopedia. Questo perché qualsiasi progetto simile, con l’aiuto Internet, tende a seguire la strada operativa di un cosiddetto wiki, l’approccio collaborativo che vede l’opera di molti convergere, come il flusso automobilistico di uno svincolo, nel grande flusso che conduce alla meta finale. Sicuramente ci sarebbero svariati appunti da muovere, all’effettivo merito simulativo di tutto questo, anche visto il modo in cui il suddetto passatempo informatico si preoccupa di simulare l’apparato circolatorio del grande organismo normalmente chiamato “città”: automobiline che si sovrappongono a vicenda, talvolta, mancando di occupare specifiche corsie, o che mancano di comprendere il funzionamento di una rotatoria, fermandosi a ogni svolta anche in assenza di un semaforo. Ma come per chi tenta di anticipare le partite di campionato usando l’A.I. di Fifa o Pes, si può almeno affermare che le condizioni siano le stesse per ciascuno dei concorrenti “virtuali”. E poi, nel caso specifico, il vero merito risiede altrove. Non credo in effetti che tra i tre milioni e mezzo di persone che hanno visualizzato la sua creazione a partire da dicembre dell’anno scorso, molti conoscessero la differenza tra un interscambio sovrapposto o a diamante, oppure la varietà di approcci possibili al concetto d’incrocio a flusso continuo. E chi può dire che qualcuno di abbastanza giovane, improvvisamente affascinato da questo mondo, non abbia scelto proprio un simile momento per intraprendere la carriera universitaria che potrebbe condurlo un giorno ad aiutarci nell’ora di punta, croce irrisolvibile dei pendolari!
I diversi incroci sono stati ordinati dall’autore, dunque, a partire dal meno efficiente in assoluto, una letterale equivalenza sottodimensionata della famosa enorme piazza Meskal di Addis Abeba, in cui centinaia se non migliaia d’auto vengono costrette ogni ora ad uno smistamento autogestito senza nessun tipo di semaforo o regola di contesto, in un costante rischio d’incidente miracolosamente sventato. Un letterale caso di realtà che simula la fantasia, visto il modo in cui le automobiline del gioco si ritrovino ben presto in un incastro collettivo persino peggiore del previsto. E le cose migliorano, con un punteggio di traffic flow aumentato da 191 (flusso d’auto… Al minuto? Non viene specificato) mediante l’aggiunta di semafori fino alla cifra di 303, ma è soltanto col diamante di quattro slip lanes (corsie ausiliarie o vie di fuga) che le cose iniziano a farsi decisamente più interessanti, totalizzando 465. C’è quindi un significativo peggioramento con il passaggio alle rotatorie, visto il già menzionato errore di programmazione compiuto in merito dagli autori del gioco, il quale purtroppo non sembra ancora aver trovato una soluzione pienamente funzionale da parte del suo pubblico di appassionati. Ma anche questo, dopo tutto, ha senso nel contesto del mondo reale…

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Un sogno a pedali 50 metri sopra il lago di Garda

Ricordi possibili di un futuro imminente: ho lasciato in macchina l’autostrada per Milano dopo il casello, scorgendo oltre il guardrail un baluginìo distante. È un bacino idrico tra i più famosi del Nord Italia e probabilmente, l’intera Europa, immerso tra ripide colline create dall’azione di un antico ghiacciaio. Garda, immerso in uno scenario spettacolare come un anfiteatro, famosa meta turistica fin dai tempi dell’Impero Romano. Attraversando le verdeggianti colline mi avvicino a Desenzano, il comune più popoloso di queste rive, tra il castello e lo scenario intrigante del Porto Vecchio, per imboccare quindi il viale asfaltato che transita, attraverso un paio di decine di chilometri, attraverso Padenghe, Cunettone e Salò, per poi diventare l’epica e rinomata strada Gardesana. Un percorso pianeggiante dalle dolci curve, tra luci ed ombre dei tunnel scavati nella roccia a strapiombo sul lago, in grado al tempo stesso di ospitare un giro panoramico o il serrato inseguimento di un film di James Bond. Ed è allora che, attraverso palpebre socchiuse per il riflesso dell’astro solare, vedrò qualcosa di difficile da dimenticare. O meglio, qualcuno. Intento a procedere in bicicletta per la sua strada, parallelo al tragitto automobilistico per stagliarsi contro l’altra riva distante, evanescente per l’effetto della foschia. Irrigidendo la mia postura al volante, tento di fare mente locale; mi trovo oramai oltre il borgo di Limone, dove ogni pretesa di spiaggia viene cancellata dal ripido scoglio del corno del Corno di Reamol, sopra cui era collocata l’artiglieria dell’Esercito Italiano, costantemente intenta a far fuoco contro le postazioni austriache dall’altra parte del lago. Ed io so, con certezza nata da Google Earth, che oltre l’orizzonte visibile non c’è nulla, fino alle svariate decine di metri che ci separano dalla superficie dell’acqua distante. Eppure, egli è sospeso, tra cielo e vuoto, mentre impugna il manubrio neanche fosse il triangolo di un deltaplano. Faccio appena in tempo a evocare immagini del piccolo alieno nel cesto anti-gravitazionale, in uno dei film più famosi degli anni ’80, che inizia il tunnel e lo perdo di vista. Una svolta lieve a sinistra, quindi, tra le rocce, appare finalmente la verità. Che come spesso avviene, tenta il sorpasso in curva della fantasia.
Naturalmente, questo scenario ipotetico suppone che io sia vissuto, per molte settimane a partire da oggi, all’oscuro del grande evento che attende il comune più succoso e acido in provincia di Brescia oggi alle 17:00, l’inaugurazione del tratto appena completato di Garda by Bike. Attrazione turistica, infrastruttura pubblica, ausilio alla viabilità, polo mediatico e social dell’entusiasmo e il “desiderio di esserci” delle persone, già richiamate ai dintorni da una campagna pubblicitaria che è stata spontanea, ancor prima che stipendiata. Ma soltanto 300 fortunati tra loro, ciascuno di essi un abitante per l’appunto di Limone, potranno accedere in questa giornata alla passerella sospesa lunga all’incirca due chilometri e mezzo (circa 5 quando sarà completa) infissa direttamente nel fianco roccioso e pietroso con molte centinaia di piloni, versione perfezionata di una vera e propria montagna russa orizzontale, situata niente meno che in uno degli scenari più fantastici disponibili all’immaginazione! Per tutti gli altri, l’unica opzione sarà soggiornare qui fino a domenica mattina, giornata dell’apertura effettiva del varco d’accesso all’itinerario dei sogni, un ricordo pronto a popolare i loro profili Facebook e feed di Whatsapp, forse come elemento a sostegno di una passione decennale per il ciclismo. Oppure, strumento di un bisogno straordinariamente moderno di comparire, lasciare un segno nel fiume di bytes che circonda, oggi giorno, quel mare in tempesta che è il nostro ego personale. E la memoria non può fare a meno di spostarsi, a margine della questione, verso la storica opera galleggiante The Floating Piers dell’artista statunitense Christo, che tra giugno e luglio del 2016 fece del lago d’Iseo una destinazione su scala nazionale, tra una sorta di frenesia che sembrò travolgere un popolo desideroso, almeno una volta nella vita, di “camminare sulle acque” sfruttando dei grossi materassini in polietilene di colore rigorosamente giallo. Mentre la creazione ciclabile del gardesano, sostanzialmente, sarebbe tutto il contrario di quell’effimera evanescenza, fine a se stessa al di fuori di uno specifico messaggio, che a dire il vero è sfuggito alla stragrande maggioranza di coloro che vi presero parte. Qui stiamo parlando, piuttosto, di una sincera dichiarazione d’apprezzamento nei confronti di un mezzo di trasporto, particolarmente intrinseco in queste regioni, la bicicletta che può spostarsi confortevolmente senza un motore, a patto che le strade siano sicure, prive di buche e per lo più pianeggianti. Ecco qualcosa che dovremmo sperimentare tutti, al di fuori del sogno utopistico di un domani ideale.
Eppure non c’è nulla, in tutto questo, che esuli dalla sfera del possibile o il temporaneo, essendo il passaggio frutto dell’opera di un studio ingegneristico, Fontana & Lotti Lorenzi, già famoso per l’assistenza data al patrimonio turistico e architettonico di queste terre, in grado di elaborare per l’occasione un sistema al tempo stesso ingegnoso e funzionale, capace di costituire il gioiello sulla corona di un’intero tragitto lungo 140 Km che potrebbe anche includere, secondo alcune interpretazioni, un’ulteriore ciclabile sospesa di pari lunghezza sulla riva orientale del Garda. Chissà quando potremo assistere a un tale spettacolo fuori dal mondo…

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