La triste storia della rana scroto

Scrotum frog

Un fluido magico, frutto di ancestrali conoscenze peruviane. Nelle profondità del lago Titicaca, il più vasto sudamericano dopo quello di Maracaibo (che in realtà è una baia) talvolta s’intravede una creatura molto suggestiva. Gli occhi tondi e neri, le zampette arcuate, il dorso a pieghe sovrapposte pressapoco come quello di un bulldog. Ma la forma e le particolari dimensioni, nonché associazioni tipologiche non meglio definite, da sempre l’hanno fatta accomunare ad altre cose. Telmatobius culeus: la rana fatta come un sacco dei latini, ricolmo di…Nessuno può saperlo, in realtà. Pensate alla tavola rotonda con Artù e i suoi cavalieri. Lui che arringa gli elmi e le armature silenziose, descrivendo i meriti del Santo Graal: “La capacità di esaudire ogni desiderio. La cura a tutte le afflizioni delle carni. Si dice che colui che beva dalla sacra coppa, guarirà dall’artrite, la bronchite, l’asma, la tubercolosi. Godrà inoltre di un vigore nuovo nelle faccende passionali.” Due minuti di silenzio, il tintinnare d’armi variegate: “Cioé mio re, vuoi dire come il VIAGRA?” Già la porta si richiude rumorosamente, mentre l’ultimo di quelli, gli occhi spalancati, corre a prendersi una mappa da Merlino verso l’obiettivo della Cerca. Si, un Qualcosa di mistico e desiderabile. Il segreto alchemico e filosofale della medicina, dal medioevo fino alla modernità. Non esiste a questo mondo, dalle cime andine fino ai freddi deserti dell’Asia Minore, una prospettiva più importante per il senso del bisogno che l’ausilio ad un amore più completo. Novantanove cavalieri con pesanti palafreni, 15 archeologi dotati di fedora, 66 biologi, la faccia ricoperta da una maschera per immersioni e chissà quanti uomini comuni di una certa età. Tutti lanciati fra i turbini dell’acque d’alta quota per potersi procurare finalmente la sostanza che potrà aiutarli in un futuro, se non oggi, nel compiere l’Impresa più importante. Quella della camera da letto. Cos’è una rana, tutte quei batraci, al confronto di un paio o una dozzina di minuti d’entusiasmo? È stata tutta quanta, in fondo, una questione di reputazione. Si potrebbe dar colpa al modo in cui si spostano, fin dai tempi antichi, i grandi carri senza i buoi.
La notizia si di recente diffusa a macchia d’olio, con il contributo niente affatto trascurabile di questo pur ottimo documentario di Motherboard, costola scientifica del colosso dell’informazione Vice, responsabilmente teso a screditare quella che è una prassi (quasi) del tutto priva di basi scientifiche e che certamente, non varrebbe la persecuzione indiscriminata d’ogni cosa anfibia sotto quella superficie d’alta quota. Fatta eccezione per la dama che sapeva consegnare spade. Ma non puoi parlare di una cosa come questa senza suscitare un qualche tipo d’interesse, nonostante tutto. Un segnale fatto rimbalzare da una parte all’altra della sfera digitale, recitante pressapoco: “Gli uomini del Sudamerica hanno un alleato assai particolare nel momento della verità. L’estratto afrodisiaco della rana scroto.” Ora, fermo restando che non so quanto si possa definire tale una pietanza che consiste essenzialmente nel prendere l’intero animale, spellarlo e metterlo in un frullatore assieme ad altri condimenti, va pur fatto notare che in effetti il mitico succo dovrebbe avere molte doti di guarigione e ringiovanimento, tra cui si annovera, quasi incidentalmente, quella già citato dell’ausilio per le prestazioni sessuali. Strane priorità.
Non è del resto mai stato possibile, nell’intera storia dei rimedi magici sul modello dell’olio di serpente del Far West, soprassedere a quel bisogno di supplire alla mancanza di libido, letterale croce e delizia dell’umanità. Potremo quindi soltanto rammaricarci, ancora una volta, per l’effetto devastante che la leggenda sta avendo sulla popolazione di questa creatura dalle strane doti evolutive, tanto sfortunata da…

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Fiori di Burma con gli occhi e sei zampe per saltare

Flatid Planthoppers

L’entusiasmo dello zoologo è palpabile, persino contagioso. Ross Piper, studioso affiliato allo Smithsonian Channel dell’omonimo museo, era giunto secondo il titolo per una nobile missione: (to) chase tigers! Dare la caccia, se così davvero si può dire, al più nobile e spettacolare dei felini, una creatura celebrata nelle opere letterarie e cinematografiche di tre dozzine di culture. Inoltrandosi nelle giungle della Repubblica del Myanmar con la sua troupe, laggiù tra il Bangladesh e la Cina, già tendeva le orecchie esperte a percepire il primo suono di due paia d’ingombranti zampe a strisce tra i cespugli. Per trovare invece, grazie all’uso di quell’altro senso, una strana aggregazione di ciuffetti bianchi, come gran fiocchi di neve che si fossero smarriti in prossimità con l’equatore, per l’effetto di una serie d’impreviste circostanze. L’apparenza, infatti, può ingannare. L’apparenza tende a conquistare. Così ridacchia, sogghigna, sghignazza, si scompiscia ed emette quei buffi versi umani simili a un grugnito, che gli americani definiscono col termine onomatopeico guffaws, mentre si china sopra l’incredibile sostanza dei suoi sogni. Non è facile da biasimare: sembra di essere finiti dentro ad un anime di Miyazaki.
Tutti conosciamo, almeno di fama, gli afidi o pidocchi delle piante. Piccoli puntini verdi, che camminano e si lanciano da un tronco all’altro, per estrarre con proboscidi minuscole la linfa dolce della propria breve vita. Sono parassiti e molto spesso disdegnati, nonostante ne esistano 4.400 specie differenti, tra cui soltanto alcune siano in grado di far veri danni, e soltanto per le malattie che trasmettono da una pianta all’altra senza un briciolo di guadagno o d’intenzione. Ne apprezziamo, tra l’altro, gli scarti zuccherini emessi dopo il pasto (non chiamateli escr..) che raccolti amorevolmente dalle api, vengono usati come ingrediente necessario per il miele. Ecco, a quanto pare soprattutto a Burma, non tutti gli afidi sono così piccini.
Ne semplicemente simili a un’informe pulce saltatrice. Piuttosto tali creature, immancabilmente appartenenti al vasto ordine dei Rincoti, presentano una tale variazione di morfologie e colori da essere talvolta definite come i “veri insetti” (true bugs) quasi che migliaia di farfalle e bruchi, coleotteri, formiche e tutto il resto non fossero che l’antipasto offertoci dalla natura, prima di essere introdotti al gusto e la soddisfazione d’incunearsi tra le pieghe cortecciose con mandibole e mascelle specializzate, per mangiare, crescere e…Trasformarsi. In piccole farfalle bianche; purché si abbiano a disposizione i giusti geni!

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Estraggo il succo dai computer per produrre l’oro

Gold Scrap

Ciò sei adesso, noi lo eravamo in precedenza. Quello che noi siamo, tu lo diventerai: ceneri o cadaveri, ossa sbiancate dall’incedere del tempo. Un ciclo progressivo di rinnovamento che si blocca all’improvviso, dal prima verso il dopo, l’oggi e poi il domani e quindi l’altro ieri, giusto quando abbiamo superato la coscienza… Non c’è nulla di vitale, finché l’esistenza verrà preservata in forma fossile, ben oltre ogni possibile speranza di tornare indietro. Finché all’improvviso, Jurassic Park (il cinema letterario, soprattutto in lingua inglese, sa creare neologismi) dalla zanzara ante-mondana, comodamente surgelata dentro l’ambra resinosa, si estrae il codice genetico da usarsi nella resuscitazione. E tutto si ricicla, addirittura l’esistenza! Dei dinosauri, come gli altri umili resti: creature quasi leggendarie con i bit ormai appannati, schede grafiche desuete, processori Pentium 2. I vecchi PC, strumenti del demonio già usati negli uffici delle decadi trascorse o spesse volte nelle case, per giocare a fare i controllori del bilancio familiare, et cetera si aggiunga a profusione. Del resto, l’acido è già pronto. Ciò che resta è fare a pezzi i loro corpi.
Perché un sistema complesso, sia questo biologico o del tutto mineralizzato, artificiale, ha pur sempre bisogno di elementi di raccordo, ovvero le giunzioni tra i diversi organi della sua essenza. E chiunque abbia mai messo mano dentro quel cassone che risiede accanto al monitor, svitato i suoi bulloni e approfondito i componenti, ben conosce il punto più splendente ed aureo (per quanto concerne la materia prima) di ciascuna scheda di supporto alla CPU: l’elemento di raccordo con la scheda madre che noi chiamiamo informalmente pettine per il suo aspetto zigrinato, mentre gli americani definiscono, con diversa analogia di forma, semplicemente finger (il dito). Il che in questo caso è una fortuna, poiché ha permesso all’alchimista di applicare un titolo che fosse sia corretto, che davvero accattivante. Condiviso guarda caso, con il terzo opus della serie di James Bond – 007 Missione: Goldfinger! C’è dell’oro in Alabama, c’è dell’oro giù nella miniera, vecchio mio. Ma tu ci devi credere, per meritarti di trovarlo.
Lui ci aveva creduto eccome, all’incirca verso un annetto fa, quando sotto lo pseudonimo allusivo indeedItdoes (ovvero: Certo Che Lo Fa!) Si era preso in carica di divulgare un meccanismo chimico, complesso e molto funzionale, per corroborare la ricchezza personale utilizzando scarti informatici raccolti in giro. Se ne parla, talvolta, con sentito dispiacere: il modo in cui un qualsiasi tipo di calcolatore, a partire dal proprio vecchio cellulare fino alla più potente delle workstation (non si sfugge all’obsolescenza) contenga una quantità relativamente trascurabile di sostanze potenzialmente preziose, come il nickel, il piombo, il rame e sopratutto l’oro puro, ma legate in modo quasi indissolubile alla plastica dei componenti. Separarle non è facile. Tanto che persino lui, per farlo, ha scelto di tenere solamente il meglio filosofico, quell’agognata, augusta Pietra di una volta…

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L’incedere scorrevole del super-verme

Super-worm

Il problema dell’individualismo è che preclude la pur utile e fondamentale specializzazione. Nella sezione biologica dei grandi mammiferi erbivori, quella dispensa presso cui attingono ogni sorta di gran canide, uman-ide o felino dalle zanne prominenti, vige la regola del branco. Mucche o fulve gazzelle, equini, cervidi e tutta l’allegra compagnia degli inermi e vividi bersagli, tendono all’aggregazione per variabili motivi, ma fra tutti, certamente, emerge sempre quello dell’analisi statistica situazionale. Ovvero la creatura ben conosce, senza poi capirne la ragione, la regola per cui su quattro potenziali cacciatori, cinque prede rilevanti, l’ultima è sicuro che si salverà. Non c’è una vera cooperazione, come manca nel piano urbanistico dei negozi e dei servizi cittadini: ciascuno prende posizione per brucare, o alternativamente vende le sue merci, dove maggiormente gli conviene. Caso vuole, vista l’artificiale scarsità delle opportunità di sopravvivere, che questo avvenga in mezzo alla perplessa collettività. Ma guarda qui, che differenza! Questo famoso video girato presso la spiaggia di Parnaioca a Rio de Janeiro, risalente ormai a quasi 10 anni fa, mostra un agglomerato vagabonde di larve di mosche dette della sega (sottordine Symphyta). Creature che in età adulta prendono il nome dal vistoso ovopositore usato per posizionare i loro pargoli futuri sullo stelo e sulle fronde circostanti, ma che in questa fase giovane della vita, rassomigliano piuttosto, per sperimentata evidenza, ad altrettanti mini-bruchi neri, fitofagi e del tutto deliziosi. Li adora il passero, che ne fa pranzo e cena o colazione, li divora il merlo come fossero gustose merendine. E ciò avviene, normalmente, già dall’albero o il cespuglio presso cui sono nati. Figuriamoci quindi nel momento in cui, come da programmazione evolutiva, i vermi lasciano tale relativa sicurezza per migrare verso nuovi orizzonti, alla ricerca di più verde clorofilla da fagocitare.
Come può proteggersi, l’approssimazione incolore di un innocuo caterpillar senza peli ne veleni, dal cupo battito dell’ala sopraggiunta? Non certo andando più veloce, né nascondendosi nel pieno di una scarna e inevitabile radura. Bensì, con metodi di metamorfosi ulteriore. Dal numero e l’aggregazione nasce l’illusione della forza, soprattutto, e in parte anche una sorta di ulteriore resistenza. Tutti per uno, saldamente incorporati l’uno all’altro, i Symphita si trasformano in unica creatura, vagamente incomprensibile allo sguardo e di sicuro da lontano, sorvolandola a distanza di cautela, preoccupante per chi deve procacciarsi il cibo. In questo senso, un agglomerato di simili larve costituisce una forma di cooperazione sufficientemente avanzata da poter parlare di comportamento elevato, e nel contempo, tanto specifica da trovare un’effettiva applicazione unicamente nell’ambito di ciò che è insettile, per forma e dimensioni. È anche vero, del resto, che se 10 o 20 erbivori della savana, vedi lo gnu con le sue corna, potessero aggregarsi nella versione maggiorata della stessa cosa, ormai di certo lo farebbero ed avrebbero ormai primeggiato tra le bestie e anche gli umani. Come palle rotolanti o usando un termine globalizzato, mugghianti katamari

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