La collezione degli orologi radioattivi

Orologi radioattivi

Un uomo entra in una stanza con un contatore geiger e misura una dose di radiazioni equivalente a 1.25mSV/ora, superiore a quella rilevata nei dintorni dell’incidente nucleare di Three Miles Island, verificatosi in Pennsylvania il 28 marzo del 1979. In sostanza, trovarsi in questa stanza è come farsi un esame radiologico l’ora. Al centro dell’ambiente c’è una vetrina, con dentro una collezione di pietre e anticaglie varie, in prevalenza orologi. Ci troviamo ben lontani da Fukushima o Chernobyl e questo non è un film o videogioco. Il tubo argentato di un sofisticato impianto di riciclo dell’aria, unica concessione verso l’umana prudenza, scarica attraverso le pareti gli umori nefasti e il grosso dei veleni racchiusi da quel semplice pannello di vetro trasparente. Chi tocca muore? Chi guarda, persino? Non proprio, perché siamo a casa di ALARAiswise, collezionista inglese di tutto ciò che abbia più di 50 anni e una lancetta, il quale ha trovato il modo per scoraggiare i suoi parenti e amici dall’invidargli il possesso di tali e tante meraviglie di modernariato. Semplicemente, dimostrandone la potenziale pericolosità. In effetti, non c’è oggetto di uso comune che sia più radioattivo di un orologio risalente al primo ventennio del ‘900. A quei tempi, l’entusiasmo collettivo per la chimica era come un’onda inarrestabile che si espandeva da un campo all’altro dell’industria, mietendo sulla sua strada molte vittime inconsapevoli. Tutto iniziò nel 1896 con la scoperta, da parte dello scienziato francese Henri Becquerel, di come l’elemento uranio generasse un impercettibile flusso di particelle fosforescenti. Due anni dopo Marie Curie, grazie all’aiuto di suo marito, rilevò l’esistenza del radio e del polonio, sostanze rarissime in natura e ancor più potenti, tanto da emettere una fievole luce per tutta la durata della loro emivita. La migliore prestazione a lungo termine, da questo punto di vista, era quella offerta dal radio, che mescolato ad altre sostanze poteva brillare a distanza di anni. Così, le compagnie di allora ci fecero una vernice detta Undark (il non-buio) che avrebbe risaltato in ogni condizione di visibilità. Poi, la misero da tutte le parti, compresi i polsi e le tasche delle persone.

Tutti amavano il radio. Tramite la sperimentazione dei suoi sali sui malati di cancro, presto nacque una versione primitiva della radioterapia, procedura medica così tremendamente efficace nel ridurre la propagazione delle cellule tumorali. La misteriosa “radioattività” diventò una forza tanto affascinante da essere definita, ad opera di alcuni rappresentanti dell’elite imprenditoriale statunitense, cosa buona e giusta. Fiorì il commercio, come in una sorta di nuovo Far West, delle bevande e dei colluttori racchiusi in bottiglie irradiate, considerati la cura miracolosa ad ogni tipo di afflizione umana. Tutti erano convinti che da simili pratiche non potesse venire alcunché di male, fino al giorno in cui ci furono le prime morti.
La U.S. Radium Corporation aveva assunto per la sua fabbrica principale circa 70 ragazze, ben pagate, che avevano il compito di rendere brillanti i numeri degli orologi, mediante l’applicazione della già citata vernice a base di radio. Poiché si trattava di un lavoro di precisione, queste erano solite bagnare con la saliva la punta del loro pennello. Così, 250 volte al giorno, ingerivano piccole dosi di sostanze radioattive, che entravano direttamente in circolo nel loro organismo. Nel 1922, quando iniziarono ad ammalarsi, il rapporto tra causa ed effetto non fu subito chiaro, anche perché la maggior parte, nel frattempo, aveva cambiato professione. Cinque di loro fecero causa all’ex datore di lavoro, chiedendo un risarcimento di 10.000 dollari l’una (equivalenti a 250.000 dei giorni nostri). Attraverso le lungaggini di un processo di questo tipo, mai tenutosi in precedenza negli Stati Uniti o altrove, la loro salute peggiorò progressivamente, fino al punto che un anno dopo, secondo resoconti dell’epoca, nessuna di loro poté alzare il braccio per effettuare il giuramento di rito al giudice. Ottennero una grandissima visibilità e vinsero la causa, vedendosi attribuire l’epiteto collettivo di Radium Girls. Poi, una dopo l’altra, morirono, insieme a molte delle loro colleghe. La loro triste vicenda fu la base per grandi avanzamenti normativi nel campo della sicurezza sul lavoro, oggi adottati nella maggior parte dei paesi al mondo. La vernice al radio, invece, restò in uso fino agli anni ’60.
Gli orologi di quei tempi, insieme ai contachilometri delle automobili e dei veicoli della seconda guerra mondiale, giacciono dimenticati da qualche parte, oppure all’interno di vetrine come questa, orgoglio dei collezionisti più sprezzanti del pericolo. Per tutti gli altri, possa bastare il rischio del potassio contenuto in una banana, secondo quanto esemplificato da questo schema dell’eterno webcomic XKCD (sempre rilevante).

Via: Speakeasy Science

radiationXKCD
Via: XKCD webcomic

5 commenti su “La collezione degli orologi radioattivi”

  1. Non solo gli orologi all’epoca erano radioattivi, ma anche alcune ottiche per macchine fotografiche che se non erro contenevano il torio, inoltre c”erano anche le retine delle lampade a gas da campeggio sempre al torio, i rivelatori antincendio all’americio, alcune porcellane colorate all’uranio etc etc

  2. Buonasera! Ho letto con molto interesse i vostri commenti. Anni fa ho scoperto che una vecchia bussola militare che avevo in casa era radioattiva! Presumo sempre a causa delle vernici fluorescenti in questione. Volevo chiedere al Sig Licciardo a che distanza dalla sveglia ha misurato quei 30 microSV/h

Lascia un commento