PS3 game review: Heavy Rain

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Heavy Rain è un thriller cinematografico i cui autori hanno compiuto scelte difficili, proprio come vengono chiamati a fare i suoi protagonisti e “giocatori”. In quanto creazione interattiva, la sua chiave di volta è l’assenza di un controllo autorale dotato di visione d’insieme, presupposto comune a tutte le espressioni proprie della settima arte. In questo racconto drammatico quanto sinistro, che ruota attorno ad una serie di rapimenti ed infanticidi, le vicende di quattro memorabili personaggi vengono animate attraverso una commistione di moderno game design e tecniche di stampo hollywoodiano: in sostanza, si tratta di decidere volta per volta l’andamento degli eventi di un film, unicamente limitati dalla propria abilità con il joypad in alcuni dei frangenti più pericolosi. Viene proposto un numero variabile di esiti possibili per ciascuna scena, mentre lo stesso tono del racconto e la sua conclusione sono oggettivamente incerti, non ancora decisi fino agli ultimi minuti delle sue oltre 10 ore.  Il risultato finale non solo esula dal genere di videogioco generalmente associato al contesto investigativo (l’avventura grafica) ma trova modi così innovativi ed efficaci per coinvolgere chi vi partecipa da potersi quasi definire precursore di un nuovo media espressivo, impensabile senza la partecipazione dei moderni attori virtuali. Il successo di Avatar di James Cameron ha mostrato al mondo come, attraverso il realismo fornito dalle nuove tecnologie, il grande pubblico possa dimenticare l’intangibilità di buona parte del cast di un film di pura fantascienza. Heavy Rain invece si pone di rappresentare il quotidiano, lo squallido e l’inquietante, con tecniche e metodologie che sarebbero state del tutto accessibili ad una tradizionale produzione cinematografica. Ma c’è un’importante differenza con quest’ultima classe di realizzazioni: nel preciso momento in cui l’assassino incombe dietro alla vittima, quando lo sceneggiatore tradizionale vorrebbe farci dire “voltati, è dietro di te!” qui si deve premere il tasto corrispondente o perire. E non importa se il nostro alter-ego di quel momento riuscirà a sopravvivere o meno, il game over non verrà concesso fino alla soluzione del caso.

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All’inizio del gioco, Ethan Mars è un architetto di successo che vive a Philadelphia con moglie e due figli. Nelle prime scene ci verrà chiesto di controllarlo, come in una sorta di The Sims, durante una serena mattinata nella sua spaziosa casa dotata di giardino. Il meccanismo esplorativo di Heavy Rain è basato su telecamere fisse con angolazione di controllo relativa, nello stile dei primi Resident Evil. Quando ci si trova in corrispondenza di un punto di interesse, l’interazione non prevede mai la semplice pressione di un tasto, bensì l’esecuzione di un movimento contestuale al tipo di azione richiesta: aprire un cassetto potrebbe ad esempio richiedere una mezza rotazione del joystick analogico, mentre bere da un bicchiere una pressione lenta e controllata verso l’alto. L’uso del tasto L1 richiama poi, in qualsiasi momento, una serie di “pensieri” riferiti all’ambiente circostante, una sorta di suggerimenti su cosa fare basati sulle conoscenze acquisite del personaggio interpretato in quel momento.

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La situazione cambia tono e portata dopo circa una mezz’ora di gioco quando, durante una visita della famiglia al centro commerciale, si verifica un tragico incidente. Il figlio maggiore della coppia, Jason, si separa dal padre, si smarrisce tra la folla e per una drammatica casualità perde la vita. Piuttosto che osservare passivamente gli eventi, come in un film tradizionale, in quei momenti il giocatore sta effettivamente controllando Ethan Mars, ed è lui in prima persona a trovarsi in condizione di commettere una serie di errori dovuti apparentemente al caso. Quando, nelle sequenze successive, il giovane padre, che ormai vive separato dalla moglie, viene mostrato come annientato nel suo quotidiano dai sensi di colpa e dal rimorso, si inizia a capire qualcosa di fondamentale: tutto quello che si sceglie o ci si trova a fare in Heavy Rain ha delle conseguenze. Da quel punto in poi le situazioni del gioco diventano cupe e sgradevoli, l’ambiente piovoso e le scenografie quasi incolori.  Ethan vive ora in un appartamento in città con il figlio superstite, Shaun. L’infelicità ed incomunicabilità dei due è quasi palpabile, e lo stesso montaggio sembra quasi rallentare per darne un’idea ancora più chiara. La situazione non tarda a peggiorare ulteriormente in modo quasi paradossale: Shaun viene rapito in circostanze misteriose, e la polizia mette il caso in relazione con le infami gesta di un criminale, il serial killer dell’origami. In effetti, viene presto mostrato come il povero bambino si trovi chiuso in un pozzo coperto da una grata, destinato ad affogare entro pochi giorni per via della pioggia incessante.

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A questo punto, finalmente, la parte dinamica racconto si mette in moto: per prima cosa entrano in scena gli altri tre personaggi controllabili. Norman Jayden è un abile investigatore dell’FBI, affetto dalla dipendenza da un farmaco definito triptocaina e dotato di un futuribile paio di occhiali-computer virtualizzanti (come quelli del romanzo Luce Virtuale di William Gibson). Le sue sequenze giocabili sono simili ad un episodio di C.S.I. o Criminal Minds e consistono di interrogatori, investigazioni e procedure di raccolta delle prove.  Molto diverso da lui, quasi all’antitesi, è Scott Shelby, un investigatore privato che per ragioni personali sceglie anche lui di dare la caccia al serial killer dell’origami. Shelby è certamente il personaggio più riuscito dei quattro, soprattutto dal punto di vista della caratterizzazione; non giovanissimo, ex-poliziotto sovrappeso e nonostante questo scaltro, determinato e persino eroe da film nei momenti di pericolo. In alcune scene mostra un lato umano quasi toccante, mentre le sue interazioni con gli altri personaggi sono ben motivate e spesso affascinanti. Madison Paige è invece una fotografa e giornalista che soffre di insonnia, e per questo sceglie talvolta di dormire fuori casa. Il suo comportamento è sicuro al punto dell’incoscienza, mentre sembra quasi cercare di mettersi in pericolo intenzionalmente; questo la porterà a condividere con Ethan parte delle sue peripezie e disgrazie, finendo per aiutarlo. Perchè di prove da superare ce ne saranno molte: come thriller, Heavy Rain si ispira largamente a Seven, il film del 1995 con Brad Pitt e Morgan Freeman. In quel caso il tema conduttore erano i sette peccati capitali, usati dal serial killer come base per una serie di omicidi “a tema” culminanti con la prova psicologica e morale dello stesso detective protagonista. Senza entrare nello specifico, Ethan dovrà affrontare gesta molto ostiche per sperare di salvare il figlio, sempre più sgradevoli e compromettenti man mano che la storia prosegue. Le scelte da compiere in Heavy Rain in effetti non sono mai tra il bene ed il male, come nella maggior parte dei giochi a finale multiplo. Non solo Ethan, ma ciascuno degli altri protagonisti dovrà in ultima analisi decidere fino a che punto spingersi e cosa sacrificare per salvare il piccolo Shaun da morte certa.

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I momenti più concitati, come gli inseguimenti, le lotte e le sparatorie sono gestiti attraverso lo strumento dei Quick Time Events. Si tratta in sostanza di premere in sequenza i tasti che compaiono a schermo, espediente riesumato dai vecchi laser game dei primi anni ’90 e secondo lo stile del grande action-adventure giapponese Shenmue (2000, Sega) esperimento di cinema interattivo forse ancora più ambizioso di questo Heavy Rain. É una meccanica di gameplay molto semplice, unidimensionale, per di più priva dei momenti di controllo diretto che il genio di Yu Suzuki utilizzava per arricchire e variare l’esperienza, ma in Heavy Rain trova rafforzamento ancora una volta nella molteplicità degli esiti possibili. Mancare uno o più pressioni di tasti, in effetti, non sempre conduce a morte certa: a seconda del numero di errori commessi, il giocatore potrebbe ad esempio riuscire a catturare un sospetto, a vederlo fuggire o ancora a trovarsi costretto ad ucciderlo. Questa incertezza costante, unita al fatto che i salvataggi sono frequenti ed automatici, porta ad uno stato di tensione estremamente efficace. Il giocatore potrà forse avere un’idea chiara di come vorrà risolvere ciascun frangente o anche l’intera vicenda, ma scoprirà presto che perdere un confronto chiave potrebbe costargli da solo la possibilità di conseguire l’esito sperato. Un aspetto tecnico e stilistico forse non ideale è il modo in cui, per riflettere l’ansia ed instabilità mentale dei personaggi nei momenti di crisi, le icone dei comandi vengano talvolta presentate come sfocate o poco chiare. Questo potrebbe indurre a compiere un’azione piuttosto che un altra, a scapito della propria idea iniziale e del proseguimento scelto per la storia. Le icone stesse sono anche nei momenti migliori non sempre chiare, è facile ad esempio scambiare la pressione continuativa di un tasto con quella ripetuta, e potrebbero portare occasionalmente a sbagliare nell’esecuzione di gesti che avrebbero dovuto essere semplici ed immediati. Dal punto di vista narrativo, Heavy Rain non è perfetto. Alcuni passaggi sono leggermente illogici, e la sceneggiatura ricorre qualche volta di troppo all’espediente delle coincidenze. Sicuramente, specie vista la serietà dell’idea di base, il copione avrebbe tratto beneficio dalla partecipazione di uno scrittore professionista.
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Heavy Rain resta comunque un ulteriore passo verso il perfezionamento dell’interactive cinema, il media inventato dal suo eclettico creatore. David Cage, ex-musicista per il grande schermo, sceneggiatore e fondatore della software house parigina Quantic Dream si era imposto sulla scena internazionale con la pubblicazione nel 1999 di Omikron: The Nomad Soul, l’action adventure fortemente originale per PC e Dreamcast con parti recitate e cantate da David Bowie. Ma ben altre ambizioni trovarono forma quando nel 2005, con il supporto del publisher Atari portò a termine il suo secondo titolo, Fahrenheit (noto negli Stati Uniti come Indigo Prophecy). Dotato di una storia piuttosto elaborata e con molti elementi basati sul paranormale, questo vero e proprio gioco-film era strutturato interamente sul tema delle scelte multiple e dell’elasticità di trama e finale, mentre la stessa produzione seguiva in larga parte la strada comune ad Heavy Rain del motion capture con attori reali – basta vedere il making-of dei due giochi per rendersi conto dell’estrema professionalità dell’equipe di Cage nell’impiego e produzione di questa tecnica.

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Ambientato in una gelida New York di un immaginario futuro prossimo, in cui diverse fazioni si combattevano in vista di una possibile apocalisse, il racconto ruotava attorno a Lucas Kane, uomo comune improvvisamente posseduto da una pericolosa entità aliena. Molti degli elementi più particolari di Heavy Rain provengono direttamente da questo suo predecessore: la risoluzione delle scene di azione, l’apparente banalità di alcuni momenti in realtà usati per favorire l’immedesimazione, il fatto di alternare il punto di vista tra i diversi personaggi del racconto. Ma la tecnologia superiore aiuta questo nuovo gioco a raggiungere un grado di coinvolgimento molto superiore. La fluidità delle animazioni, la varietà degli ambienti e la capacità espressiva dei volti collaborano con il contesto fortemente realistico e quotidiano nel dare forza e credibilità all’insieme. Heavy Rain è un’esperienza emozionante, che riesce a coinvolgere ed angosciare almeno quanto la cinematografia a cui si ispira. Non è un videogioco in senso completo, perchè manca troppa della sofisticata interattività oggi considerata necessaria per una produzione ad alto budget, e come film sarebbe piuttosto buono ma ben lontano dai suoi ispiratori più insigni. Nonostante questo, nel momento topico, l’incontro finale dei propri diversi avatar presso il luogo ultimo dove tutto dovrà risolversi o finire in tragedia, nessuno che sia dotato di un minimo di fantasia penserà all’uno o all’altro difetto. Perchè, comunque sia andata ed indipendentemente da chi avrà perso la vita e quando, il giocatore avrà fatto soffrire Ethan, indagato con Jayden, raccolto gli indizi insieme a Shelby e lottato contro i nemici più o meno immaginari di Madison. Davvero, oggettivamente, avrà partecipato ad ogni singolo momento. Quante generazioni di registi hanno fallito nel riuscire ad ottenere qualcosa di simile nei loro lavori, solo perchè non potevano chiedere ai propri spettatori la pressione di interminabili e complesse sequenze di tasti su un joypad?

 Consigliato a chi: pensava di essersi commosso quando è morta Aeris.

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