La vita nel quartiere suburbano dove l’hangar nel vialetto è raggiungibile direttamente dall’aeroporto

L’affermazione che “Lo spazio è il punto di vantaggio definitivo” costituisce un tema ricorrente nella pianificazione strategica statunitense, rievocato in successive circostanze al fine di giustificare o motivare determinati investimenti. Ed anche dal punto di vista della popolazione civile, è indubbio che particolari risorse, come il ricco archivio di foto satellitari liberamente accessibile su Google, permetta di comprendere immediatamente certi aspetti del mondo e della società che ci circonda. Basta cercare online, per dire, il tipico quartiere periferico di una grande città nordamericana al fine di coglierne immediatamente il carattere e lo stile di vita: villette a schiera dalla disposizione equidistante, ciascuna con il proprio prato verdeggiante mantenuto attentamente alla stessa altezza. Relativamente poche automobili parcheggiate ai lati della strada (i marciapiedi sono quasi inesistenti) semplicemente perché gli abitanti possono disporre dello spazio di un garage di proprietà, o quanto meno l’area dedicata nell’appezzamento circondato dalla siepe o staccionata d’ordinanza. Spostando la nostra lente indagatrice digitalizzata presso il vicinato di Cameron Park, 50 Km ad est del centro di Sacramento, è possibile notare fin da subito i diversi punti divergenti dalla convenzione abitativa di questi luoghi. Tanto per cominciare, l’anormale vicinanza a quella che può essere soltanto una pista d’atterraggio e decollo, suscitando l’immediata domanda su perché la gente di qui abbia deciso di tollerarne il rumore. Quindi le strade large circa il tre o quattro volte più del normale, alludendo alla frequente e reiterata manovra di veicoli molto più larghi del normale. La cui natura, proseguendo nell’osservazione, apparirà ben presto evidente; non tutti, d’altra parte, tengono le proprie ali sotto un tetto, rivelando nella vista perpendicolare l’inconfondibile presenza cruciforme di apparecchi concepiti per il volo privato, con carlinga, cabina di pilotaggio ed elica posizionata di fronte al muso aerodinamico di ciascun implemento. E ce n’è davvero un po’ per tutti i gusti, dai piccoli aerei da turismo Cessna e Piper, a velivoli dotati di alte prestazioni quali Cirrus e Mooney, fino ad esemplari vintage risalenti a decadi trascorse, inclusi residuati funzionanti del secondo conflitto mondiale. Ma guardare da lontano questo repertorio statico è soltanto una minima parte della storia. Comunità cosiddette fly-in come un tale angolo di California meritano di essere sperimentate direttamente, vivendo in prima persona la surreale atmosfera di un luogo dove le automobili circolano fianco a fianco agli aeroplani. Almeno fino al raggiungimento dei due semplici passaggi a livello, che consentono soltanto ai primi di trovare accesso all’ultimo tragitto da percorrere prima di riuscire a separarsi dal terreno. Lasciandosi alle spalle ogni residua prospettiva del traffico dell’ora di punta, o i limiti di velocità stradali…

Cameron Park è stata definita dai suoi residenti in passato come “l’unico luogo di Sacramento dove è normale andare a fare colazione ad Auburn” ad ulteriori 50 Km di distanza, dove è situata una seconda pista d’atterraggio dall’accesso libero per i detentori d’automobili individuali. Questo perché la stragrande maggioranza di abitanti, come avrete certamente intuito a questo punto della trattazione, detengono non soltanto il brevetto di volo ma anche il possesso di almeno un dispositivo volante, per ragioni lavorative, per hobby o semplice collezionismo attivo, o in altri termini, instradato all’utilizzo pratico di qualsiasi cosa abbia un motore e superfici di controllo ancora funzionanti. Ciò grazie all’intuizione dell’imprenditore immobiliare Larry Cameron, da cui il quartiere prende il nome, che acquistò questi 5.000 acri negli anni ’50 con il fine di trasformarli in un’area residenziale dotata di case, parchi, un lago, una pista da golf e l’insolita dotazione di un piccolo aeroporto. In posizione strategicamente raggiungibile a tal punto, che ben presto la comunità di addetti ai lavori sarebbe andata incontro ad una crescita esponenziale, il che avrebbe portato ad una serie di graduali cambiamenti. Poter materialmente spostare ogni giorno il proprio aereo dal retro di casa fino al punto di partenza, e viceversa, portò dunque all’abbassamento di tutti i cartelli e lampioni, così da evitare di urtare le estremità delle ali dei velivoli, mentre dove possibile le strade vennero ampliate, diventando delle vere e proprie piste di rullaggio elettive, dove i mezzi di ritorno ed in partenza potevano affiancarsi superando vicendevolmente la larghezza da cui erano inevitabilmente caratterizzati. Con il proseguire delle decadi e la conseguente crescita dell’area fino alle attuali circa 100 abitazioni, tali priorità logistiche vennero quindi pedissequamente mantenute, continuando ad attirare un certo tipo di persone in cerca di una nuova, più pratica dimora. Il che avrebbe portato in seguito ad un senso di comunità ed appartenenza raro nel moderno ambiente suburbano, con frequenti feste multi-generazionali dove i veterani narrano alle nuove leve dei cieli delle proprie lunghe e interessanti carriere. Mentre non è insolito che la porta lasciata aperta di un garage/hangar costituisca un’offerta implicita ai vicini di venire a parlare e scambiarsi idee in merito alle esperienze che si svolgono al di sopra di una quota minima di qualche centinaio di metri di terra. Persino le cassette della posta a fronte strada, immancabili presenze in questo tipo di soluzioni abitative americane, assumono un aspetto propriamente aeronautico, con veri e propri modellini sopra un palo, in cui l’estetica pone in subordine la mera praticità d’impiego. Ed è particolarmente interessante, nelle trattazioni reperibili su Internet, prendere atto del racconto di una delle residenti più famose del quartiere, la pioniera dell’aviazione femminile commerciale, nonché pilota acrobatica in pensione Julie Clark, in merito sul senso di comunità e voglia di aiutarsi a vicenda degli abitanti di Cameron Park, dove vige un’atmosfera di responsabilità reciproca del tutto comprensibile soltanto da chi abbia vissuto a stretto contatto con persone che hanno gli stessi interessi e fanno lo stesso lavoro. Con i vicini pronti ad esempio, nel suo caso, ad aiutarla collettivamente in un pregresso caso di convalescenza per malattia.

Con la propria condizione amministrativa indubbiamente particolare, la vita a Cameron Park può tuttavia talvolta assumere risvolti problematici ed inaspettati. Primariamente in seguito al trasferimento in situ della nuova generazione di abitanti, attirati dai prezzi favorevoli soprattutto considerati gli ampi spazi dei cortili, non sempre dotati di aeroplano al seguito e per questo meno interessati al mantenimento delle dispendiose infrastrutture stradali necessarie al collegamento collettivo verso l’aeroporto. Mentre a quanto riportano alcuni articoli, pare che una parte di costoro, soprattutto dediti al collezionismo d’auto d’epoca, abbiano intavolato nelle ultime discussioni del consorzio dello HOA (Homeowner Association, l’istituto anglosassone dell’amministrazione comunitaria) la problematica tanto lungamente accantonata del rumore sempre presente ad ogni ora da mattina a sera, non sempre facilmente tollerabile per chi possiede la passione delle mere quattro ruote adibite alla circolazione su strada. Man mano che un gruppo identitario cresce, d’altronde, riesce maggiormente difficile conservarne la composizione necessariamente mai del tutto omogenea. Il che tende a portare a mutamenti, spesso in linea con pratici ragionamenti del senso comune. Ma le comunità fly-in, di cui esistono diversi altri esempi nella Bay Area ed altre zone degli Stati Uniti, continueranno a esistere all’interno di un paese dove le distanze paiono create a misura di una forma di società, per così dire, evoluta. Dove il possesso di un motore e un paio d’ali è molto più che una mera metafora, bensì l’adattamento funzionale ad un più libero ed avventuroso stile di vita. In quale altro modo sarebbe possibile, d’altronde, visitare occasionalmente amici o parenti, magari siti all’altro lato estremo di un continente?

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