Bielorussia: il ponte ricoperto da uno strato di libellule notturne

23 luglio 2018: era una serata tiepida a Vitebsk, ridente cittadina prossima al confine settentrionale con il paese più vasto del mondo. Con temperature attorno ai 18-20 gradi di media, piuttosto normali anche nel pieno dell’estate, per un luogo che ha toccato i -35 in più di un caso della sua storia meteorologica pregressa. E tutto sembrava normale se non che dalle finestre degli appartamenti, in quello che è stato definito su Twitter “un letterale film dell’orrore” non fu possibile osservare il congregarsi di un’inquietante nube all’orizzonte. Localizzata sopra il solo corso d’acqua del centro abitato, e capace di formare vortici sempre più densi, puntati come una freccia verso il principale attraversamento stradale del Vitba, il ponte Kirov. In breve tempo, i lampioni smisero di funzionare, mentre carreggiata, parapetti e addirittura piloni sembrarono sparire in dissolvenza, come trasportati dalle nebbie di Avalon in un universo parallelo. Voci antiche riecheggiavano nell’aria stranamente densa e ronzante
“Il fiume Bug a settentrione del Mar Nero porta nella sua corrente a mezza estate delle piccole membrane, simili a bacche, dalle quali fuoriescono dei bruchi a quattro zampe, dotati anche di un paio d’ali. Queste creature non vivono più di un giorno, ragione per cui vengono chiamate hemerobius.” Nelle parole dello storico Plinio il Vecchio, vissuto nel primo secolo dopo Cristo, riecheggia una profezia del mondo naturale che tutt’ora, con cadenza grossomodo regolare di uno o più anni, condiziona l’esperienza di quei popoli e la loro relazione con i mesi di luglio e agosto. È un episodio che tutti, in tali luoghi particolarmente fortunati, sperimentano almeno una volta nella vita. Non è quasi mai pericoloso, tranne forse nelle prime ore, se nell’area interessata trova collocazione una strada dal traffico medio-intenso, lungo cui gli automobilisti non tenteranno di accendere i fari, ritrovandoli coperti da nugoli di queste bestie, come d’altra parte, pure il parabrezza e gli specchietti retrovisori. Stessa cosa per i pedoni, che la stessa cosa tenderanno a sperimentarla tra i capelli, con le orecchie, il naso e gli occhi. Ma non in maniera, per così dire, irreversibile, visto che sarà possibile rimuoverle ben prima di morire soffocati. Le effimeretipiche dell’Est Europa, sono insetti che non possono fare nulla all’uomo, come già sapevano gli antichi. I quali tuttavia, nell’assenza di un metodo scientifico adottato su larga scala, non avevano mai pensato di analizzarne il ciclo vitale, scoprendo come l’apparente durata molto breve della loro vita fosse in realtà pertinente soltanto all’ultimo stadio delle numerose mutazioni a cui devono andare incontro, quello dell’imago (o a seconda della specie, sub-imago). Mentre le creature, prima di spiccare il volo, erano solite abitare i corsi d’acqua o laghi per svariati mesi, o persino anni, nutrendosi a seconda dei casi di detriti o insetti più piccoli di loro. Pensate alla dicotomia del bruco e la farfalla. Ma espressa in una maniera più basica e per certi versi, primordiale.
Nessun sito di notizie appartenente all’area interessata, quest’anno, sembra aver avanzato ipotesi su quale sia la specie effettivamente coinvolta. È possibile, tuttavia, che si tratti di Palingenia longicauda, le più grandi effimere del Vecchio Continente, misuranti fino a 12 cm dalla testa con le antenne fino alla punta della lunga coda biforcuta, segno di riconoscimento della loro intera famiglia di artropodi volanti. Stiamo dunque parlando di una creatura certamente invasiva, e che non comprende il concetto di spazio vitale (come avrebbe mai potuto?) ma che può essere facilmente interpretata come un segno positivo, per l’assenza d’inquinamento delle acque e il fatto stesso che stia di nuovo proliferando, nonostante la scomparsa in molti dei paesi che una volta appartenevano al suo areale. Certo è difficile spiegare tale aspetto a chi deve sigillare le finestre e tapparsi in casa, in tutta fretta, prima di essere coperto totalmente da una schiera di entusiastici invasori. Ciascuno in cerca di nient’altro, in quel momento, che di una femmina con cui accoppiarsi. Ecco qui spiegata, dunque, la ragione di questo caotico trionfo: siamo dinnanzi a un’orgia. Uno tsunami di libellule in cerca di sesso…

Un’effimera della specie E. danica si riposa momentaneamente sul grosso dito di un suo ammiratore. Questa specie, dalle dimensioni più ridotte rispetto alle specie orientali ed americane, trova una ragionevole diffusione in tutta Europa, incluse le isole inglesi.

Vediamo di spiegare meglio, a questo punto, la faccenda: benché strettamente imparentati, gli ordini degli Ephemeroptera ed Odonata (libellule) non sono affatto la stessa cosa. Entrambi appartenenti alla coorte  dei Palaeoptera, insetti evolutisi nel periodo del Carbonifero (359 – 299 milioni di anni fa) ciascuno esprime in modo differente una visione di cosa dovesse, e dovrebbe tutt’ora essere una piccola creatura soggetta a metamorfosi e protetta da uno scheletro esterno. Il principale tratto distintivo, come facilmente intuibile, è quello del loro ciclo vitale: le larve delle effimere vivono generalmente più a lungo, ma una volta raggiunto lo stadio adulto e spiccato il volo, non c’è neppure confronto. Mentre quest’ultime periscono infatti dopo uno, massimo due giorni, le libellule possono sopravvivere facilmente per mesi interi, a patto di non essere divorate da uno svelto uccello di passaggio (del resto, esse sono anche più tozze, spesse e quindi, appetitose). Come possono effettivamente sopravvivere, dunque, delle creature tanto vulnerabili ma che fanno figli solamente una volta ogni pluralità di anni, esponendosi a incidenti di percorso e fagocitazioni sul sentiero della riproduzione? La risposta è che cercano la forza nel numero, come molti loro simili, ma su una scala straordinariamente elevata. Le effimere cessano la loro vita acquatica perché l’hanno iniziata tutte assieme, in un numero tra le 400 e 3.000 uova per ciascuna femmina, in una spettacolare dimostrazione della “strategia r”, ovvero il paradigma biologico che prevede la produzione di una prole estremamente numerosa, e in conseguenza di ciò sacrificabile senza condizionare la continuazione della specie.
Ritornando ancora alla morfologia dell’animale, possiamo facilmente comprendere perché gli antichi fossero tanto grandemente affascinati da simili insetti. Essi erano gli unici, dopo tutto, a presentare l’esistenza di quattro zampe ed altrettante ali (benché quelle sul retro fossero spesso atrofizzate e quasi del tutto invisibili) con un’espressione di simmetria che sembrava letteralmente sfidare il divino. Nessuna effimera, inoltre, veniva mai osservata mentre si nutriva, per il semplice fatto che una volta raggiunto lo stadio finale la loro vita era già prossima all’esaurimento, stringendo notevolmente i tempi a disposizione per trovare una femmina e riuscire a spedire i propri geni verso l’indomani. Ogni cosa, nell’effimera, è concepita per questo specifico e fondamentale compito: le zampe anteriori raptoriali, capaci di afferrare la femmina e tenerla ferma durante l’atto. La capacità di vedere la luce ultravioletta con un secondo paio di occhi rivolti verso l’alto, usata per riconoscere i disegni e le forme del carapace di tutte coloro che dovessero volargli attorno. Ogni esemplare inoltre, indipendentemente dal suo sesso, presenta non uno bensì due organi sessuali, onde incrementare le possibilità di un accoppiamento perfettamente riuscito. Prima che la loro vita si esaurisca del tutto, quindi, le future madri di una letterale orda di orfani hanno appena il tempo di volare nuovamente a bassa quota sul fiume di appartenenza, dove deporranno le loro uova a grappoli, sperando che la corrente riesca a trascinarle via lontano. È un gesto commovente e ricco di abnegazione e speranza, virtù che normalmente attribuiamo solamente a forme di vita più elevate, diciamo dal piccolo mammifero domestico in su. Ma chi ha detto che serva l’intelligenza, per provare dei sentimenti degni di essere considerati…

Un’occorrenza simile a quella di Vitebsk presso la città bielorussa di Mogilev, risalente al remoto 2008. L’atteggiamento ironico dei ciclisti lascia presumere che questa non sia la loro prima esperienza di un simile dramma. Non credo che molti, fra noi, sarebbero rimasti altrettanto allegri.

La mattina del giorno successivo, al risveglio degli addetti alla manutenzione stradale, la problematica conseguenza della serata di galoppante e volante follia: letterali decine di migliaia di insetti prossimi alla dipartita, capaci di ricoprire completamente ogni centimetro di asfalto, i marciapiedi ed il parapetto del ponte Kirov, richiedendo un’intervento per la rimozione d’urgenza non propriamente semplice da organizzare anche utilizzando svariati camion come punti di raccolta. Non tutto il male vien per nuocere, ad ogni modo: tali insetti effettivamente, noti agli anglofoni come mayflies (mosche di maggio)  e podenki da queste parti, costituiscono da sempre una forma di esca particolarmente efficiente per la pesca d’acqua dolce, ragione per cui, secondo alcuni siti di notizie locali, parte della popolazione di Vitebsk ha cominciato spontaneamente ad aiutare, riempiendo numerosi secchi delle bestioline già morte o prossime a passare a miglior vita. Alla natura in fondo, di tutto questo ben poco importa. Ancora una volta, il solenne destino era giunto a compimento. E l’antico rituale aveva trovato modo di compiersi in tutta la sua drammatica capacità di creare una linea ininterrotta tra passato e futuro.
Se soltanto… Se soltanto, dice qualcuno, fosse possibile veder camminare su questa Terra le creature dei trascorsi eoni, come i dinosauri che un tempo dominavano il pianeta. Ma quel qualcuno, molto evidentemente, non ha mai toccato con mano un coccodrillo. Né si è ritrovato con la testa immersa nel grande sciame, tossendo e agitando le mani nel tentativo affannoso di prender fiato!

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