La convenienza tecnologica di un palazzo costruito a partire dall’ultimo piano

Nel corso dell’ultimo anno un oggetto misterioso ha fatto la sua comparsa presso un lotto triangolare di tre quarti di acro, situato in un quartiere di Detroit in via di ammodernamento, Greektown. Dominato essenzialmente dalla forma di una doppia colonna verticale, chiamata in gergo la “doppia spina dorsale” dell’edificio, esso ha saputo assumere progressivamente l’aspetto di una torre dell’acqua, poi dotata di un insolito piedistallo quadrato. Finché dal punto di vista ideale di uno qualunque dei balconi antistanti, tale inaspettato elemento ha iniziato improvvisamente a muoversi, salendo in modo verticale verso l’alto, sempre più lontano dal suolo e infine all’apice, nell’ideale posizione di un livello panoramico, magari dotato di un ristorante. Mentre per chiunque avesse cominciato a credere all’insolita soluzione, fu del tutto sorprendente veder nascere nella sua ombra la perfetta imitazione della stessa struttura. Per due, tre settimane ed allo scatenarsi di un segnale pre-determinato, farsi lieve anche quest’ultima, in apparenza predestinata nel raggiungere l’equipollente forma già posizionata al di sopra. Nella prima delle plurime ripetizioni, l’una conseguente all’altra, di una serie di gesti estremamente determinanti e precisi. Assembla, sali, congiungi; assembla e così via a seguire. Non è ciò una mera semplificazione, bensì l’effettiva procedura messa in opera per giungere al completamento della torre multi-ruolo dell’Exchange, piccolo grattacielo da 16 piani e 64,6 milioni di dollari d’investimento, che ha compiuto il primo passo verso la realizzazione nel settembre del 2021, in qualità di piattaforma sperimentale per un interessante approccio per rispondere alla fondamentale domanda: come sarebbe possibile ridurre l’impatto delle più significative problematiche di un qualsivoglia progetto edilizio di media o grande entità? “Se non mediante” questa la risposta sul sito ufficiale del principale contractor LIFTbuild, azienda sussidiaria del gruppo Barton Malow, i valori di “Velocità, risparmio e certezze” che derivano dall’impiego della loro tecnica in attesa di brevetto, dal nome eponimo e in un certo senso utile a comprenderne anche il singolare principio operativo. Che non viene, a ben vedere, completamente dal nulla essendo la moderna realizzazione del metodo Youtz-Slick o lift slab utilizzato per la prima volta verso la metà degli anni ’50 in Texas, sebbene fosse totalmente scomparso dagli Stati Uniti a partire dal ventennio successivo a tale specifica circostanza. Superato nella maggior parte delle circostanze dai più elevati standard di sicurezza e rapidità garantiti dalla tecnologia moderna, che ora torna ad essere applicata di concerto a quanto fu a quei tempi visto come un possibile sentiero verso il futuro, con quelli che potrebbero dimostrarsi come dei significativi vantaggi per l’urbanizzazione edilizia e tutto ciò che questo essenziale processo tende inevitabilmente a comportare. A cominciare da qui, ed ora…

La complessità del sistema MEP dell’Exchange poteva essere ammirata anche scrutando dal basso una delle “fette” già agganciate a quelle precedentemente sollevate in posizione. Richiamando alla mente degli amanti della fantascienza la superficie esterna di un cubo Borg.

Le ragioni per cui il progetto dell’Exchange è stato scelto come circostanza ideale per mettere alla prova questo ritrovato modus operandi possono essere fatte convergere nella sua particolare posizione urbana, che lo vede situato all’incrocio di due strade e con ai lati numerose altre palazzine e sedi aziendali di varia natura. Per non parlare del problema principale, il sistema di trasporto sopraelevato del Detroit People Mover, la cui monorotaia avrebbe di fatto impedito l’erezione di una gru di tipo convenzionale da utilizzare per il sollevamento del materiale. Da qui l’idea di coinvolgere la LIFTbuild e perseguire il suo specifico approccio consistente dell’impiego di otto poderosi martinetti idraulici a trefolo simili a dei verricelli lineari, per portare in alto le diverse “fette” già fatte e finite dell’edificio, precedentemente costruite con elementi prefabbricati ed assemblati in modo molto pratico nel sito specifico della loro successiva collocazione finale. Un sistema costituito con ridondanze di sicurezza tali da poter permettere in effetti la lavorazione in parallelo nel passaggio successivo, del nuovo piano “in corso d’opera” al di sotto e quello situato in netta e conseguente sovrapposizione. Per poi procedere, ancora una volta, all’utilizzo di bulloni e chiavarde per l’aggancio ai pilastri senza l’uso di saldature permanenti, almeno fino all’aggiunta della parte dell’edificio destinata a trovarsi al di sotto di quanto già portato a compimento (un ciclo che tende richiedere, generalmente, tra i 9-10 giorni per ciascun piano). Un letterale cambio di paradigma, nelle convenzionali aspettative di un sito edilizio, in quanto utile a velocizzare significativamente le tempistiche senza che aumenti di pari passo il pericolo statistico d’incidenti, ma piuttosto vedendo una significativa diminuzione di quest’ultimo nella principale causa che tende a generarli nel presente contesto: la possibilità di subire una caduta. Ciò che inerentemente implica questa prima applicazione del sistema LIFTbuild, è che una volta costruita la “spina dorsale” dei due pilastri di sostegno principali, nessuno debba più effettivamente trovarsi a lavorare sospeso a molti metri dal suolo, permettendo piuttosto agli operai di raggiungere i propri siti d’interesse nello stesso modo in cui potranno farlo i successivi utilizzatori dell’edificio: utilizzando direttamente l’ascensore. Ma i punti forti dell’approccio non finiscono con questo. Ecco dunque che l’ambiente dei piani già posizionati, come in una sorta di gigantesco gioco della torre Jenga, potranno anche beneficiare di una climatizzazione pienamente realizzata, mantenendo una temperatura ideale qualunque siano la temperatura o condizioni climatiche vigenti. Il che ci porta all’ulteriore e significativo aspetto del sistema MEP (“Meccanico, Elettrico ed Idraulico”) generalmente lasciato alle attenzione dei tecnici chiamati per portarlo gradualmente a compimento mano a mano che il palazzo cresce, ma qui elaborato come parte implicita e modulare di ciascuna “fetta” proprio per questo in grado di raggiungere idealmente un grado molto più elevato di complessità. Laddove di contro, nell’elaborazione progettuale di ciascun piano scompare qualsiasi traccia di pilastri di sostegno oltre alla doppia “spina” centrale, permettendo l’ottenimento di spazi ampi ed indivisi, un significativo valore aggiunto soprattutto per le parti della torre che verranno utilizzate in qualità di appartamenti rivolti ad una fascia di mercato medio-alta.

Con un’inaugurazione prevista per la primavera/estate del 2023, il sito dell’Exchange permette di prenotarsi per l’affitto di uno degli appartamenti non ancora collocati, riservandolo in base alle dimensioni e forma desiderate. Con un canone mensile che si aggira in media attorno ai 2.000 euro mensili.

Che un edificio possa essere costruito, nella suddetta maniera, con tempistiche paragonabili a quelle degli ormai leggendari “palazzi istantanei” della Cina e il Sud dell’Asia, si presenta dunque come realistica probabilità, sebbene allo stato attuale dei fatti la necessità di testare ed implementare consecutivamente molte delle soluzioni utilizzate per l’Exchange, usate prima d’ora soltanto in progetti dalle dimensioni decisamente inferiori, abbia limitato alquanto la rapidità raggiungibile in linea di principio mediante l’applicazione del sistema LIFTbuild. Una verità destinata probabilmente a mutare dinnanzi alla realtà dei fatti per ciascuna iterazione portata a termine, se l’azienda dovesse riuscire in effetti ad ottenere il successo sperato.
Ciò che resta indubbio a tal proposito, di contro, è il miglioramento delle condizioni di lavoro che potrebbe derivarne per le molte migliaia di tecnici e specialisti coinvolti in questo tipo di operazioni, permettendo ad alcuni di loro di riuscire a conservare addirittura una salubre paura delle altezze. Il tipo d’inerente sentimento affine alla natura stessa dell’esistenza umana, che di sicuro può tendenzialmente essere superato con l’abitudine, quando necessario. Ma siamo certo che ciò rientri nell’interesse pratico, e del tutto autonomo, di coloro che svolgono funzioni così primarie nell’odierna civiltà industrializzata?

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