L’orrido dualismo tra il tesoro degli abissi e morire intrappolati dall’ostrica gigante

Secondo il testo taoista parzialmente autobiografico dello Huahujing (Conversione dei Barbari) nel momento in cui l’umanità divenne sufficientemente consapevole dell’esistenza del Dao, dinnanzi alla luce del sole si formò una nube formata dalle tre energie fondamentali, Jing, Qi e Shen. Quindi, consolidando la sua essenza sul sentiero della luce, il Venerabile Signore che risiedeva in essa scelse di vivere una vita sulla Terra, concretizzando se stesso come il nascituro nel predestinato grembo della Fanciulla di Giada del Mistero e delle Meraviglie. Secondo il filippino-americano Wilburn Dowell Cobb, in visita presso il suo paese natìo nel maggio del 1934, la presunta immortalità del divino Lao Tzu fu tuttavia dovuta al possesso di un singolo talismano: la raffigurazione scolpita di se stesso, Buddha e Confucio, delicatamente posta all’interno di un mollusco affinché fosse ricoperta da strati multipli di rigida ed impenetrabile conchiolina. Più e più volte, il profeta avrebbe quindi trasferito l’oggetto all’interno di un’ostrica più grande, fino all’ottenimento di un bulboso ammasso bianco del peso di 6,3 Kg dalla forma approssimativa di tre volti, lungamente identificato come la perla più congrua al mondo. Successivamente al suo ritorno nel Regno Celeste, il sacro talismano sarebbe rimato quindi tra i mortali, passando tra una dinastia imperiale e l’altra, fino ad essere trasportato segretamente nell’arcipelago delle Filippine, dove Cobb ebbe modo di ottenerlo come ricompensa per aver salvato dalla malaria il figlio di un capo villaggio. Una vicenda molto affascinante di cui effettivamente, soltanto l’ultima parte parrebbe contenere un tenue barlume di verità, visto il modo in cui il precedente proprietario della reliquia, non del tutto ignoto alle cronache, avrebbe in seguito identificato la perla come il “turbante di Allah”, per la sua presunta somiglianza con il copricapo e il volto del fondatore dell’Islam. Ed ovviamente, l’effettiva provenienza del divino talismano, il quale applicando la semplice regola del rasoio di Occam, poteva solamente nascere dall’opera di un singolo animale molto imponente, piuttosto che l’improbabile trasferimento presunto dal suo possessore, evidentemente impreparato su questioni relative alle formidabili capacità ed il ciclo vitale del genus Tridacna. Più comunemente detto delle ostriche/vongole giganti o alternativamente, assassine, data la leggenda secondo cui potrebbero idealmente chiudersi in corrispondenza della gamba o braccio di un nuotatore disattento, intrappolandolo senza possibilità di scampo fino al sopraggiungere dell’annegamento. Il che potrebbe anche essere fisicamente possibile, data la dimensione acclarata di fino a 130 cm di ampiezza degli esemplari più grandi, la forma ondulata del loro guscio bivalve e l’effettiva tendenza, agevolata dal possesso di una lunga fila di ocelli primitivi, a serrarsi non appena un’ombra si palesa nei più immediati dintorni, con conseguente percezione da parte del subacqueo di un’improvviso spostamento d’acqua commisurato alla grandezza della stranissima creatura. Benché si tratti nella realtà dei fatti di un’attività motivata dal bisogno di proteggersi dai predatori, piuttosto che da eventuali ed improbabili aspirazioni carnivore della bestia nella conchiglia, che si nutre effettivamente di semplice plankton filtrato mediante l’utilizzo di un efficace sifone. Vittime non poi così dissimili da ciò che lei stessa era stata, nelle settimane e mesi successivi alla fuoriuscita dal minuscolo uovo fluttuante…

Una volta raggiunta l’età adulta, la Tridacna non è più in grado di chiudersi completamente, un espediente motivato dal bisogno di esporre alla luce le sue alghe simbiotiche di sostentamento. Il che rende, incidentalmente, ancora più improbabili le presunte storie d’intrappolamento.

Perciò la Tridacna gigas del Pacifico centro-meridionale ed Oceano Indiano, come le specie cognate della T. Iorenza delle isole Mascarene, la T. Derasa del Pacifico occidentale e la T. noea del Mar della Cina […] per un totale di 10 varianti suddivise in due sottogeneri distinti, possiede la capacità di prosperare e moltiplicarsi a profusione grazie alla presenza in ciascun esemplare di entrambe le tipologie di gameti, uova e sperma, con l’acquisizione del sesso femminile al raggiungimento di un appropriato numero di anni di vita. Quando per ciascun singolo evento stagionale, consistente nell’emissione programmata del copioso materiale genetico all’interno delle correnti oceaniche, lo sviluppo di una muscolatura più efficiente permette al singolo mollusco di partecipare a entrambi i ruoli del processo riproduttivo, garantendo all’incontro tra i flussi la nascita di una prole che può sfiorare il milione di individui indipendenti. Molti dei quali condannati, come da copione degli abissi marini, a cadere preda di divoratori di materia planktonica inclusi esseri del tutto simili ai loro padri e madri, in un processo che permette a una percentuale molto bassa dei neonati di raggiungere lo stadio pseudo-larvale di veligeri, ed infine appesantirsi fino al punto di precipitare sul fondo sabbioso, iniziando lo sviluppo del proprio impenetrabile scudo difensivo. Le conchiglie del genere Tridacna, capaci di superare agevolmente i cento anni, crescono quindi a una velocità lenta ma costante, dai pochi centimetri degli albori fino alla ponderosa maestà degli esemplari adulti, di pari passo con la trasformazione e ingrandimento di eventuali granuli d’impurità, fino all’ottenimento della leggendaria “perla”. Che è importante sottolinearlo, non assomiglierà in alcun modo al comune preziosissimo monile usato nella fabbricazione di molteplici gioielli, essendo generalmente piuttosto opaca, morfologicamente discontinua e talvolta anche ruvida al tatto. Il che non impedì d’altronde agli esperti consultati per l’esempio posseduto da Wilburn D. Cobb di valutarla tra i 35 e i 60 milioni di dollari pre-inflazione.
Dal punto di vista ecologico e nutrizionale, l’enorme bivalve è quindi solito avvantaggiarsi, oltre che della già citata capacità di trangugiare (e successivamente espellere) copiose quantità d’acqua marina, dall’interazione simbiotica con intere popolazioni delle alghe dinoflagellate note come zooxantelle, capaci di formare un vero e proprio tappeto multicolore e qualche volta fosforescente sopra l’intera struttura della conchiglia, sia nella parte interna che quella esterna. Provvedendo a fornire una quantità di nutrienti pari a fino l’80% di quello consumato nelle Tridacna di maggiori dimensioni, ricevendo in cambio protezione dall’assalto di predatori più distruttivi e inclementi. Tale convivenza è perciò responsabile dell’aspetto straordinariamente vario e imprevedibile di questi gusci magnifici, spesso facenti parte integrante delle barriere coralline di tipo marginale, la cui relativa vicinanza alla costa costituisce purtroppo una ragione d’interesse significativo e problematico da parte delle popolazione locale.

Fondamentali nella moderna conservazione e ripopolamento della Tridacna sono istituzioni come la fattoria artificiale dell’isola filippina di Manila, presso la municipalità di Bolinao. All’interno di un ambiente controllato, come di consueto, il numero di esemplari capaci di raggiungere l’età adulta aumenta drasticamente.

Per quanto concerne la conservazione presente e futura della Tridacna gigante, in effetti, la situazione risulta in bilico tanto da giustificare una classificazione come Vulnerabile da parte dell’ente internazionale dello IUCN. Questo per la raccolta incessante e tradizionale di grandi quantità di simili conchiglie per la fabbricazione di manufatti, nonché la consumazione gastronomica dell’animale contenuto all’interno. Una situazione gravemente esacerbata negli ultimi anni, per gli stringenti divieti e controlli imposti sul commercio d’avorio, portando i contrabbandieri a trafficare in materiali dalle simili potenzialità e presunti meriti taumaturgici, nonché afrodisiaci, secondo i sempre problematici precetti della TCM (Medicina Tradizionale Cinese). E andando incontro a un altro tipo di pericolo, effettivamente rappresentato dalla conchiglia: quello di infortuni alla schiena o il sopraggiungere istantaneo di ernie discali, al tentativo di sollevarne una al di sopra del pelo dell’acqua, rendendosi soltanto allora conto di un peso complessivo in grado di aggirarsi tra i 200 e i 300 Kg.
Dopo la morte di Cobb nel 1979, la perla mistica di Lao Tzu venne acquistata al 50% dagli imprenditori Peter Hoffman e Victor Barbish, per un prezzo ufficiale di appena 200.000 dollari complessivi. Successivamente il secondo, come interessi per un prestito richiesto a Joseph Bonicelli, diede a quest’ultimo una partecipazione sul possesso del tesoro, aumentando a tre il numero complessivo dei suoi proprietari. Nel 1998 e dopo la morte di Bonicelli, per questa ragione, un giudice decretò che l’oggetto dovesse essere veduto e la metà di un terzo corrisposto ai suoi eredi, procedura che mancò in seguito di concretizzarsi. Fino all’attuale situazione in cui rimane, a quanto pare, fisicamente in possesso di Barbish ma in attesa di ulteriori disposizioni.
D’altra parte, non è facile per gli uomini ottenere un simbiotico livello di collaborazione, come regolarmente manifesto nella convivenza di creature tanto semplici nella loro biologica essenza. Che potrebbero anche possedere il segreto supremo della vita nell’Universo, per quanto risulta a noi desiderabile scrutare oltre il singolo punto d’accesso della loro splendente armatura. E trarne l’opportuno oggetto di ricchezza superiore ed immisurabile venustà.

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