Hanno sempre una colonna sonora scelta in modo del tutto arbitrario, per coprire totalmente un qualsivoglia accenno di effetto sonoro. Questo perché, la maggior parte delle volte, ci si aspetta che li guardi con il cellulare, mentre ti trovi sull’autobus, oppure di nascosto durante l’ora di filosofia o religione. Stesso motivo per cui presentano l’inquadratura in senso verticale, essendo stata ormai lasciata indietro l’idea che lo strumento principe per l’acquisizione d’informazione sia rappresentato dal monitor tradizionale o televisore. Essi rappresentano, se vogliamo, “intrattenimento” puro, nella maniera in cui nessun videogioco portatile, rivista o settimana enigmistica possono più essere per il pubblico generalista, che ha individuato su Internet il modo ideale per trascorrere in spensieratezza i minuti statici e ripetitivi che rallentano l’andamento delle nostre giornate. Grazie a video come questi, provenienti dalle “nuove” piattaforme di Instagram, Tik Tok, Facebook e perché no, l’invadente YouTube Shorts che tende a comparire nei risultati di chi cercava un tutt’altro tipo di contenuto. Eppure il corto internettiano in stile social network, per sua implicita natura, può spesso essere considerato uno dei segni dell’attuale condizione universale, oppure l’effettiva direzione in cui, al trascorrere dei giorni, sta muovendosi la nostra intera società. Soprattutto quando agevola un trasferimento di paradigma che, per quanto inaspettato, chiuderà probabilmente dietro di se il portone principale. Per non tornare più allo stato di partenza. Avete già gustato, quest’estate, il prototipico “porcospino” arancione a rilievo delle tavole imbandite? Ricavato ritagliando a cubetti una metà di quello che potrebbe essere il più amato dei frutti tropicali, rigorosamente prima di staccarne la parte posteriore dalla buccia rigirata in senso concavo/convesso? D’altra parte la fenomenale quantità di cultivar adatti a quasi ogni contesto climatico e geografica circostanza fa si che da qualche parte sia sempre la stagione del mango, e questo con notevole soddisfazione degli estimatori di quella drupa dolce dal cuore di legno, notoriamente pronto ad attecchire nei vasi degli appartamenti o i relativi balconi. Purché ci sia, s’intende…
Quanto avrete infatti avuto modo di apprezzare nel video in allegato è una dimostrazione gentilmente offerta dall’utente Thailandese hiep659us77 apparente possessore o assiduo frequentatore di magnifici frutteti nel clima accogliente del suo paese, intento a tirar giù dall’albero un esemplare particolarmente notevole di quel particolare dono della natura. Se così possiamo ancora chiamarlo, visto che si tratta di un ibrido creato per massimizzare quelle che sono le sue qualità più ricche ed universalmente apprezzate…
Chiamato fin dalla sua invenzione risalente all’inizio degli anni ’90 con l’appellativo di mango “Mahachanok” (o Maha Chanok) può essere affermato senza esitazioni che si tratti di una delle versioni più attraenti del frutto amato in Asia fin dai tempi dell’Imperatore indiano Ashoka, che decretò nei suoi celebri editti che venisse piantato a fianco dei suoi prototipici pilasti e lungo le strade della nazione. È ragionevole pensare, tuttavia, che i frutti conosciuti nell’intero corso del terzo secolo a.C. e per tutto il resto della dinastia Maurya fossero sostanzialmente diversi da questa loro versione modernizzata, frutto di un’incrocio genetico tra le due varietà odierne del Sunset della Florida ed il Nang Klanwan, originario della zona circostante la capitale della Thailandia, la grande città di Chiang Mai. Verso l’ottenimento di un frutto dal peso di 250-370 grammi, dalla forma oblunga e la caratteristica colorazione giallo intenso al momento della maturazione, che tende quindi a diventare bluastra da un lato e verde-arancione dall’altro, in opposizione al sole. Una variazione cromatica tale da valergli il soprannome di Mango Arcobaleno, sebbene la sequenza di parole usate in terra nativa sia piuttosto un diretto riferimento onorifico al testo edificante Mahajanaka, un trattato sull’etica e società civile tradotto nell’idioma contemporaneo da niente meno che sua maestà il Re Bhumibol Adulyade, restato in carica come sovrano per il periodo notevole di 70 anni, fino all’anno 2016. Secondo quanto determinato dal creatore del cultivar originario della regione di Tiew Tong, noto alle cronache con il semplice appellativo di Zio Dej. Il quale aveva scoperto, facendo ampio uso della tecnica botanica dell’innesto direttamente sul fittone o radice centrale dell’albero, come fosse possibile massimizzare tratti genetici quali l’appiattimento e rimpicciolimento del nocciolo, avendo superato la necessità di piantarlo nuovamente al termine della stagione del raccolto. Un passaggio, d’altra parte, garantito in epoca preistorica dalla consumazione ad opera di un qualche tipo di animale appartenente alla categoria della megafauna erbivora, ormai scomparso da incalcolabili generazioni.
Chiunque abbia avuto d’altra parte l’occasione di assaggiare un esempio di queste vere meraviglie sub-tropicali, come l’altrettanto eccezionale Alphonso della parte occidentale dell’India spesso chiamato a sua volta “Re dei Mango” è indotto naturalmente a interrogarsi sul perché allo stato attuale dei fatti, la varietà commercialmente più popolare di tale frutto risulti essere su scala globale quella del Tommy Atkins, creato negli anni ’50 negli Stati Uniti e lungi dall’esser mai stato definito come la realizzazione migliore immaginabile dello straordinario potenziale gastronomico dell’albero Mangifera indica. Perché d’altronde, nell’interesse di ricavare un profitto dalla natura, sono altre le priorità di chi si lavora in quel campo (frutteto?) ivi incluso l’ottenimento di un minimo prodotto vendibile che sia anche resistente, durevole una volta raccolto e naturalmente resistente ai parassiti. Tutti aspetti, con significativo accrescimento dei suoi presupposti commerciali, in cui il Mahachanok parrebbe ottenere risultati soddisfacenti o quanto meno superiori alle aspettative, soprattutto rispetto ai suoi distanti cugini dal paragonabile livello di palatabilità e dolcezza.
Che la storia della tavola sia un susseguirsi di colpi di scena coadiuvati dalla costante pressione evolutiva, che avvantaggia le proposte gastronomiche o comunque commestibili dal più alto grado di validità ed efficienza è un fatto acquisito, sebbene le cosiddette leggi del mercato siano state fino ad oggi influenzate più che altro dal passa parola e dal senso comune. Risultando generalmente priva di attestazione ogni campagna pubblicitaria a vantaggio della particolare versione di un singolo frutto, che pareva al tempo stesso impercettibile dai più diffusi meccanismi del senso comune. Possibile, a questo punto, che Internet riesca là dove generazioni di addetti al marketing dell’industria agricola hanno fallito fino a questo momento? Massimizzando in modo inerente l’immediata presa di coscienza di un qualcosa che potrebbe risultare un successo senza precedenti, se soltanto riuscirà ad avere l’opportunità che merita da svariate decadi a questa parte…
Lo sapremo, di sicuro, non appena il Mango Arcobaleno avrà fatto la sua comparsa presso le ceste dei comuni supermercati, oltre ai raffinati e costosi importatori di frutta tropicale. Ed allora, finalmente, la leggenda di Internet si appresterà a diventare, per tutti, una tangibile realtà.