“Sperate sempre in ciò che vi aspettate, ma non aspettatevi mai ciò in cui credete.” Che cosa avrebbe detto l’eternamente giovane alpinista austriaco Paul Preuss (1886-1913) alle cui imprese lungo le pendici del monte Donnerkogel Maggiore (2.054 metri) è stata dedicata tre anni fà questa opera fondamentalmente turistica, frutto dell’unione tra un luogo straordinario, vedute stupefacenti, e almeno un pizzico di sincera passione per le arrampicate…. Sotto l’egida ingombrante di chiodi, funi, attrezzature fisse dall’impatto paesaggistico tutt’altro che commisurato alla necessità di svolgere una funzione pratica immanente. Proprio lui, che più di ogni altra cosa credeva nella scalata senza nessun tipo d’ausilio tecnologico, e che l’uomo dovesse ergersi oltre le difficoltà dell’esistenza usando esclusivamente le proprie forze, com’era personalmente riuscito a fare da ragazzo, superando l’infermità causata dalla polio e diventando uno sportivo, ed un filosofo, capace d’influenzare le generazioni. E che all’età di soli 27 anni, in circostanze destinate a rimanere largamente incerte, cadde in solitudine dalle più alte propaggini Mandlkogel, precipitando per 300 metri fino alla sua improvvida dipartita. Poiché nessuno può essere infallibile, neppure i grandi della storia, e la montagna di per se non può conoscerti per nome o fare un’eccezione verso chi desidera conoscerla in assenza del “giusto” grado di timore reverenziale. Così nell’odierno scenario del bisogno di affermare, ad ogni costo, la propria capacità d’iniziativa e un certo grado di evidente sprezzo del pericolo, la costruzione di una via ferrata può arrivare ad assumere un significato del tutto nuovo: la strada d’accesso democratica, ed in quanto tale aperta nei confronti di chiunque possieda il giusto grado d’intraprendenza, per poter dire innanzi ai microfoni del mondo “Anch’io (…Posso farlo, credo nel destino, non ho nessun tipo di timore!)” Ed è forse proprio questo uno dei principali crismi interpretativi ricercati dal creatore di una cosa simile, quell’esperto scalatore Heli Putz alla guida del suo collettivo Outdoor Leadership, che ha in tal modo scelto d’offrire il suo contributo ad un parte della generazione di Instagram e Facebook, se non proprio la sua interezza collettiva e priva di suddivisioni sociali. Poiché il sentiero attrezzatissimo di quella che oggi ha preso il nome ufficiale di Intersport Klettersteig (letteralmente: Via ferrata Intersport) rientrerebbe già da principio in una categoria di tipo C/D secondo la classificazione austriaca, grosso modo presso il confine dell’MD (Molto Difficile) secondo la metrica in uso presso i montanari del nostro paese sito all’altro lato delle Alpi. Anche senza prendere in considerazione il piece de resistance dell’ormai celebre Himmelsleiter (“Scalinata verso il cielo”) lunga oltre 40 metri, ricavata da una serie di quattro funi d’acciaio e relative traversine, prima di essere sospesa sopra un ampio baratro tra due cime, del tutto sufficienti a renderla la più tangibile manifestazione biblica di quel sogno che fece Giacobbe riposando nel deserto, mentre fuggiva dal fratello Esaù. “Ed egli vide una scala splendente, la cui cima raggiungeva il Paradiso; ed ecco, gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa.”
Ma c’è in effetti ben poco di angelico, nella fruizione di un qualcosa che ha trovato collocazione con l’esplicito obiettivo di attirare il più alto numero d’utilizzatori, alla ricerca di quello che potremmo soltanto definire un approccio particolarmente diretto allo svago tra i confini di questa esistenza terrena. All’interno di una serie di confini operativi, e largamente al di là di essi, spingendo oltre quello che potremmo definire ragionevole dal punto di vista di chi ha poco o nulla da guadagnarci. E non credo fosse esattamente questo, il messaggio veicolato dalle parole di colui che in quel giorno sfortunato avrebbe finito inaspettatamente per lasciarci la vita…
Ora il tipico esempio di via ferrata, come potreste già sapere (del resto, ne abbiamo parlato anche su queste pagine virtuali) rappresenta l’esecuzione pratica di un concetto largamente responsabile per quanto concerne l’obiettivo finale: trasportare, o per meglio dire permettere di trasportar se stessi, uomini e donne con variabile esperienza d’alpinismo, fino a luoghi che altrimenti avrebbero soltanto l’opportunità di sognare. E non ci sono dubbi che durante il corso dell’intera Intersport Klettersteig, con un occhio particolare alla sua svettante scala a pioli, non ci siano particolari momenti di precarietà, naturalmente a patto di operare secondo i giusti metodi e senza perder mai la concentrazione. Come esemplificato dai molti video dedicati alla vertiginosa impresa in cui gli esecutori, armati di tutto punto con il kit che può essere noleggiato presso il punto di partenza, si approcciano all’obliqua ed oscillante struttura, avendo cura di attaccare conseguentemente la coppia di moschettoni a un lato e all’altro delle traversine che non potrebbero altrimenti sorpassare, facendo nel contempo affidamento sul sistema di arresto controllato, chiamato in gergo e per antonomasia lo screamer, capace di prevenire contraccolpi dalle conseguenze prevedibilmente nefaste a vantaggio di chi dovesse perdere la presa in modo repentino ed impossibile da rimediare. Benché il deragliamento risultante possa nondimeno risultare piuttosto arduo da riportare in carreggiata facendo affidamento sulle proprie esclusive forze, ragion per cui l’impiego della scala in solitudine appare come una terribile, sconveniente idea. Non che tale osservazione sembri essere in alcun modo condivisa, dai molti esperti che finiscono per passare da queste parti, apparentemente intenzionati a dimostrare il proprio dominio della serie di accessibili gesti e trascurabili rischi a chiunque desideri sottoporsi ad una simile prova del 9. Per poi perdersi, come chiunque altro, nell’osservazione di prima mano di uno scorcio paesaggistico capace d’includere la più alta montagna austriaca del Großglockner (3.798 metri) e l’intera, verdeggiante valle di Gosau. Completa l’offerta della sommità meditativa un’opportuna quanto inevitabile croce cristiana, sotto cui prendere fiato prima d’iniziare l’articolato e inevitabilmente lungo tragitto di discesa. Benché quest’ultimo, secondo quanto racconta lo stesso Heli Putz, possa consistere di un semplice sentiero digradante, il cui percorso non risulta troppo più arduo di una prototipica passeggiata mattutina con il cane di casa. Completando un approccio esistenziale valido a permettere la fruizione della montagna da parte di tutti coloro che credono nel suo valore esperienziale, senza per questo desiderare di poter cadere vittime della sua pericolosa ragnatela. In cui la ricerca adrenalinica di un essenziale plus ultra può indurre anche persone con importanti e significative esperienze pregresse a fare il passo più lungo della gamba, o cerca l’appiglio oltre la portata del braccio. Perché non sempre chi rimuove determinate protezioni, avrà in seguito l’opportunità di mettere di nuovo il coperchio sulla pentola dei malcapitati eventi. E se non si è capaci di capire tutto questo, almeno in linea di principio, sarebbe meglio rimanere con i piedi saldamente piantati a valle. Dopo tutto, è proprio a questo che serve YouTube…
L’impareggiabile Paul Preuss di cui l’alpinista italiano delle Dolomiti, Tita Piaz affermò “Le rocce gli appartenevano. Era il signore delle montagne” non costituiva d’altra parte un tipo d’individuo per cui fosse accettabile alcun tipo di compromesso, mentre assurse ai massimi livelli del suo campo in una lunga serie di successi a partire dall’anno 1907, fino all’ultimo dei suoi drammatici e fatali giorni. E non è quindi senza un alto grado di possente, quanto involontaria ironia, che si può giungere a citarne il nome ai margini di questa Via che potremmo definire come una sorta di Luna Park o minimo comune denominatore, con il riuscito obiettivo di allargare, ma che in qualche modo riesce anche a svilire, il desiderio stesso di riuscire a dominare gli alti pinnacoli della Terra.
Una visione pienamente rappresentata nell’importante dichiarazione d’intenti dell’ispiratore austriaco: “[…]Mi sembra che il pensiero: «se cado, resto appeso a tre metri di corda» abbia moralmente meno valore dell’altro: «una caduta e sei morto!» Idea nobile nel modo in cui potrebbero esserlo le imprese di un antico condottiero di cavalleria al fronte di battaglia contro i guerrieri normanni. Ed altrettanto pericolosa, al sollevarsi delle lance medievali dei suoi nemici. Perché talvolta, accontentarsi non è tanto una questione di godere… Quanto sopravvivere oltre il successivo tramonto, al fine di poter narrare l’avventura ai propri figli, nipoti e futuri allievi.