Breve animazione illustra la scienza degli assedi agli albori dell’epoca moderna

Corsi e ricorsi, attraverso le arzigogolate anse del fiume ruggente, per conflitti, aspre battaglie e sanguinosi scontri tra le armate civiltà contrapposte. Così attraverso le diverse fasi dell’evoluzione bellica, vi furono momenti in cui l’attacco, fu senz’altro la miglior difesa; in mezzo ai quali, col procedere dei giorni, fu invece la difesa, a trasformarsi nel miglior sentiero verso una felice risoluzione finale. Come in una corsa agli armamenti evolutivi, in cui il serpente diventa progressivamente più velenoso una generazione dopo l’altra, in risposta all’immunità crescente della mangusta, fino all’ottenimento della terribile miscela del mamba nero. Eppur non abbastanza orribile, se confrontata con quella creata dall’uomo: carbone di legno, nitrato di potassio, zolfo. La Nera polvere, sostanza creata per esplodere a comando, risolvendo i nodi più stringenti del conflitto. Ma ci vollero ancora un paio di secoli, perché l’innovazione giunta in territorio europeo verso l’inizio del XV secolo raggiungesse le sue più significative conseguenze. Ovvero quando, grazie alle innovazioni introdotte in campo metallurgico, ingegneristico e logistico, ogni singolo castello costruito fino a quel momento diventasse essenzialmente obsoleto.
Il primo a rendersi conto del mutamento in atto, a tal fondamentale proposito, fu l’artista ed uomo universale del Rinascimento Italiano Leon Battista Alberti (1404-1472) che nel 1485 stampò a Firenze il trattato in latino De re aedificatoria con prefazione di Lorenzo il Magnifico in persona, in cui affrontava il tema della storia e le attuali correnti architettoniche della sua Era. Dedicando un’intero capitolo all’argomento delle fortificazioni militari, giungendo alla conclusione che in futuro esse avrebbero dovuto essere costruite “Lungo linee irregolari, come quelle dei denti di una sega.” Il problema dei bastioni medievali, come concetto immutabile nel tempo, era che essi avevano l’unica qualità dell’altezza, non risultando particolarmente spesse, stabili o resistenti. Questo perché a patto che potessero deviare il colpo di una catapulta, tutto ciò a cui avrebbero dovuto resistere erano i tentativi di scalata del nemico, mediante l’impiego dei sistemi di difesa così detta “piombante”: sassi, laterizi e pentole d’olio bollente. Tanto efficaci contro la fanteria armata di scale o torri d’assedio, quanto inutili contro il bombardamento di un cannone in grado di sparare ininterrottamente per una notte intera. La creazione di una breccia, come narrato anche nell’animazione dell’esperto comunicatore storico di YouTube SandRhoman, diventò un’arte, consistente nel colpire la parte bassa delle fortificazioni ai lati per poi lavorarsi la parte centrale tra due torri, affinché la gravità si occupasse in tempi ragionevolmente brevi del resto. Tutto quello che restava, a quel punto, era marciare come niente fosse oltre le macerie, con raggiungimento estremamente facile dell’obiettivo finale. Con la fine dell’egemonia italiana lasciata in eredità da Lorenzo il Magnifico, e il lungo periodo di guerre che sarebbe scaturito nella penisola italiana per l’intero estendersi del XVI secolo, mentre le diverse potenze europee tentavano di spartirsi questo territorio ricco e diviso, le diverse città stato che avevano consolidato la loro ricchezza durante tutto il corso del Rinascimento fecero il possibile per investire in un approccio difensivo che potesse tornare resistente contro gli sforzi di un inevitabile assalitore nemico. Risalgono quindi a una tale turbolenta fase della storia peninsulare, i trattati scritti in materia dai celebri fratelli Sangallo (Giuliano e Antonio) iniziatori della cosiddetta fortificazione all’italiana o moderna, in cui ogni aspetto dello sforzo difensivo venne approfonditamente sottoposto ad un’analisi spassionata, raggiungendo l’apice della funzionalità contro l’impiego dell’artiglieria contemporanea. Fui tra queste pagine che nacque, in via completa in ogni sua parte e al tempo stesso meramente preliminare, il concetto di quello che sarebbe diventato, entro un paio di generazioni, l’imprendibile fortezza a stella…

Le possenti mura della città di Palmanova in Friuli Venezia Giulia, di cui ancora oggi è possibile individuare il profilo nella perfezione geometrica della pianta, furono costruiti dalla Serenissima Repubblica a partire dal 1521, dopo che ne avevano ricevuto il dominio come enclave in pieno territorio austriaco successivamente all’accordo dei trattati di Worms.

L’idea dei Sangallo partiva essenzialmente dall’analisi di un profilo, quello disegnato dalle successive cinte murarie del castello, affinché l’inclinazione delle stesse fosse un complesso succedersi di forme, in cui il fuoco diretto contro una linea difensiva non avrebbe potuto in alcun modo verificarsi, senza esporsi al contrattacco da parte di tutte le altre. La terminologia descritta nel complesso corpus dei loro trattati di natura tecnica, nonché dimostrata materialmente attraverso al progettazione diretta di svariate fortezze sul territorio da parte soprattutto di Giuliano, tra cui Poggio Imperiale, Sansepolcro, Sarzana e Colle Val d’Elsa, si arricchì di espressioni come spalto, strada coperta e controscarpa relative al libero spostamento dei difensori, mentre il concetto stesso di mura veniva radicalmente trasformato; non più cinte alte e strette ma basse spesse, costituite da inviolabili terrapieni, che potessero resistere più a lungo al fuoco di sbarramento degli assedianti. Le torri diventarono rotonde invece che quadrate, al fine di deviare per quanto possibile i colpi. Nel frattempo, le cinte stesse vennero connotate dalla presenza di opere murarie esterne, gli utili corni, spalti o tanaglie, sopra cui potessero venire disposti i pezzi d’artiglieria difensiva, minimizzando i lati irraggiungibili dai loro archi di tiro, spesso capaci di generare un devastante fuoco di sbarramento incrociato lungo l’intero profilo, diventato preferibilmente pentagonale. Ogni tentativo di assaltare tali opera difensive, a questo punto, diventava tanto complesso e dispendioso da rendere qualsiasi altro aspetto del conflitto una mera formalità e lo stesso autore dell’animazione di apertura SandRhoman cita a tal proposito il caso estremo e succesivo dell’assedio di Candia, portato da 50.000 soldati ottomani contro la fortezza veneziana sull’isola di Creta, che si sarebbe esteso per un periodo di 21 anni tra il 1648 e il 1669, prima che le preponderanti forze degli invasori riuscissero finalmente a conquistarne le inviolabili mura. Tutto quello che restava da fare, quindi, era creare una serie di approcci che potessero colmare il mare tra la tecnologia difensiva e quella offensiva, riportando un equilibrio funzionale allo scopo. Nacque in questo modo il principio operativo dell’assedio scientifico, creato in contemporanea da una larga quantità di comandanti, generali ed ammiragli ma generalmente associato alla figura del maresciallo francese Sébastien Le Prestre, marchese de Vauban (1633-1707) rinomato progettista di fortezze che, nel corso della sua lunga carriera al servizio del Re Sole, ebbe anche la reiterata occasione di guidarne l’assalto, durante conflitti di vasta portata storica come la guerra della Grande Alleanza (1688-97) e quella della successione spagnola (1701-14). La soluzione di un tale approccio bellico consisteva essenzialmente nella costruzione di una serie di opere di natura semi-permanente, che potessero contrastare efficacemente l’inavvicinabile potenza di fuoco della fortezza. Esse prendevano il nome di circonvallazioni e controvallazioni appena fuori dalla portata dei cannoni, le seconde delle quali finalizzate a difendere gli assedianti da eventuali tentativi di rinforzo provenienti da fonti esterne, come fatto nella celebre battaglia di Cesare contro i galli ad Alesia, nel remoto 52 a.C. Da quest’ultime, attraverso un lungo periodo di preparazione, gli attaccanti avrebbero quindi costruito una serie di trincee labirintine, miranti ad avvicinarsi per quanto possibile a ai tratti di muro perpendicolare al senso dell’assalto, per poi procedere con il bombardamento. Tale fase, spesso gestita da corpi mercenari specializzati, rappresentava una delle fasi più dispendiose dell’assalto e tendeva a costituire un significativo ostacolo al suo effettivo coronamento, particolarmente per la natura arzigogolata dei camminamenti, affinché una palla di cannone proveniente dagli spalti non potesse incanalarsi nella trincea, arrecando danni devastanti a tutti coloro che si trovavano all’interno. A meno che l’assedio potesse concludersi anticipatamente grazie all’impiego di un qualche stratagemma, come quello citato nel video degli Spagnoli travestiti da contadini che conquistarono la città di Amiens durante le guerre franco-spagnole (1595-1598) l’assedio degenerava quindi nell’impiego dei tunnel e cosiddette mine di scavo, al fine di raggiungere lo spazio sotto le mura e farle crollare dal profondo, grazie all’impiego di potenti esplosivi. Era nel sottosuolo, quindi, che la guerra raggiungeva il suo aspetto più infernale e terribile, con i soldati all’interno del castello che scavavano a loro volta nel profondo, tentando d’intercettare e e se possibile, annientare i genieri nemici. Rimasto famoso, a tal proposito, l’episodio dell’eroico soldato piemontese Pietro Micca, che nel 1706 si sacrificò durante l’assedio francese di Torino per la guerra di successione spagnola, facendo saltare in aria i tunnel che stavano per violare la cinta muraria cittadina ma perdendo famosamente la vita, in una storia più volte narrata a teatro e in successive opere cinematografiche. Nient’altro che un anticipo, di almeno un paio di secoli, di quella che sarebbe diventato il conflitto sui confini italiani durante l’epoca della grande guerra del ’15-18, quando ai castelli si sostituirono intere montagne, scavate nel profondo dagli alpini e difese fino all’ultimo dei loro soldati, contro l’ondata inarrestabile delle forze militari europee.

Un esempio particolarmente ben conservato di forte a stella è quello di Bourtange a Groningen, in Olanda, costruito su ordine di Guglielmo I d’Orange nel 1593, durante la guerra degli ottant’anni. In esso, nonostante la distanza geografica, è già possibile apprezzare molte delle innovazioni introdotte dal concetto della fortificazione all’italiana.

Il famoso assedio formale, una soluzione quasi salomonica diventata estremamente popolare per tutto il corso del XV e XVI secolo, prevedeva a questo punto che una volta creata la breccia nella mura, gli assediati si arrendessero immediatamente, al fine evitare il saccheggio e il massacro sistematico delle loro famiglie. In questo modo, molti dei conflitti armati di questi due secoli riuscirono a risolversi con uno spargimento relativamente contenuto di sangue, in cui le arcane geometrie architettoniche e le traiettorie di tiro prendevano il posto, assieme alle risorse finanziarie dei due schieramenti avversi, del sacrificio estemporaneo a vantaggio di questo o quell’ideale.
Il che, di contro, avrebbe contribuito a disumanizzare ulteriormente il conflitto tra gli uomini e le loro idee, ponendo le tragiche basi necessarie per raggiungere la somma crudeltà delle guerre che dovevano ancora venire. Sempre per la stessa, imprescindibile ragione: l’estremo perfezionamento delle macchine finalizzate a uccidere, perennemente intente a varcare i confini arbitrariamente definiti dall’ennesimo rivale. La cui abilità nel costruire mura non costituiva altro che una sfida. Contro cui qualsiasi metodo, non importa quanto crudele, sarebbe stato posto sulla bilancia dal solo ed unico punto di vista che avesse un qualche tipo d’imperituro significato: quello dei vincitori.

Un famoso forte a stella di epoca tarda è quello di McHenry a Baltimora, che difese la città da un assalto degli inglesi la notte del 14 settembre 1814. Sarebbe stato proprio in questo frangente, secondo la leggenda, che il poeta dilettante Francis Scott Key scrisse il testo destinato a diventare in futuro l’inno nazionale degli Stati Uniti d’America, Star Spangled Banner.

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