Sorseggiando caffè turco nel salotto volante di Hasan Kaval

Si tratta senza dubbio del più classico, magnifico e al tempo stesso terribile dei sogni: fluttuare senza peso tra le nubi, senza rete, senza funi di sicurezza, senz’alcuna sicurezza di riuscire ad atterrare. Tutti l’abbiamo provato, magari in un momento particolarmente stressante della nostra vita ed in un certo senso, tale esperienza è diventata una parte inscindibile del nostro stesso rapporto con la gravità terrestre. Dura del mondo che al tempo stesso sembra imprigionarci e proteggere la nostra stessa esistenza, impedendoci di volar via come se fossimo dei palloncini pieni d’idrogeno o metano. Una presa di coscienza, questa, che tanto spesso conduce alla ribellione.
Così tra aerei e deltaplani, o semplici paracadute, tanto spesso spicca il metodo che avremmo valide ragioni per definire “il perfetto punto d’incontro” tra le alternative. Poiché parapendio significa, nel contempo, poter fare affidamento sulla forza del vento e l’aerodinamica di un qualcosa che non può cadere (salvo casi eccezionali) ma elegantemente fluttua, trasportato come fosse il cuore di una magica mongolfiera. E di aspetti vagamente sovrannaturali ne traspaiono diversi, nella storia raccontata dall’ultima coppia di video dell’istruttore di volo a vela turco Hasan Kaval, diventato famoso improvvisamente la scorsa settimana grazie all’iniziativa di trasformare la sua poltrona rossa in un insolito velivolo, con tanto di lampada, poggiapiedi e televisione (accesa) sintonizzata sui cartoni animati di Tom & Jerry. Episodio, questo, valido ad accaparrarsi tali propositi di fama con i suoi milioni di visualizzazioni online da giustificare il rilascio di un’intervista, possibilmente seduto ad un tavolo e di fronte a un paio di tazzine accompagnate da una scatola di lokum, il tipico dolcetto turco di gelatina ricoperta dallo zucchero a velo. All’interno del suo ufficio, chiaramente, che poi sarebbe l’azzurro tratto di cielo tra la Terra e il Sole a Ölüdeniz, sopra il vasto Mar Mediterraneo che ogni cosa avvolge, in una scatola di un profondo azzurro più splendente di una notte ammantata di stelle. Ecco circostanze, dunque, in cui la stessa persona incaricata di fargli da controparte non poteva certo essere chiunque, così che l’amica o forse studentessa del maestro di parapendio parrebbe tutt’altro che messa a disagio, dall’evidente distanza del paesaggio sottostante ai due, mentre con assoluta ed invidiabile nonchalance allunga il microfono recante il logo “AA” (Air Adventures?) verso l’alto lato del tavolino quadrato, avendo cura di non rovesciare la tiepida bevanda o l’accompagnamento gastronomico di tale insolita situazione. Il che parrebbe sottintendere, al tempo stesso, un qualche tipo di meccanismo magnetico o egualmente certo, affinché il semplice spostamento d’aria implicato dalla progressione durante l’esperienza fluttuante non faccia piovere le suddette cose sopra il pubblico in appassionata attesa, laggiù. Perciò è chiaro, dai molteplici e apprezzabili dettagli, che siam qui di fronte a un vero e proprio professionista…

Cambi di strumenti nonostante i presupposti restino gli stessi: l’originale video della poltrona costituiva, in effetti, un’impresa in solitaria capace di richiedere l’inseparabile asta da selfie, vera e propria Excalibur dei praticanti di parapendio.

L’esatto inizio del progetto virale di questo insolito personaggio non è semplicissimo da identificare, benché il primo post del suo profilo Instagram risalga al gennaio del 2017. Ma è probabile che altri siano stati rimossi, come d’altra parte avvenuto anche sul suo canale di YouTube, dove fino a poche ore fa era possibile osservare un terzo video in egli dimostrava la possibilità di giocare con tre amici una partita al gioco delle tessere Okey, versione turca del Rummikub, appesi con le funi di sicurezza a quello che sembrava essere un paracadute di tipologia più convenzionale, data la necessità di rimanere stabile controbilanciandosi anche in senso trasversale. Detto ciò è indubbio come l’episodio della poltrona, già trattato e discusso sulle pagine dei principali quotidiani online di mezzo mondo, resti forse la sua prova più sconvolgente, vista l’assurda ma evidente assenza di alcun tipo di assicurazione sulla vita, intesa come cintura o imbracatura di qualsivoglia natura. Per un praticante di sport estremi, o forse dovremmo dire incallito daredevil capace di fare affidamento unicamente sulla forza aerodinamica delle particolari circostanze, al fine di garantirsi una posizione ragionevolmente sicura sopra i cuscini stranamente comodi delle remote circostanze. Per quale ragione, con che obiettivo? Probabilmente il solito: quella scarica di adrenalina nell’organismo, che da tempo immemore ha guidato, lungo gli alterni episodi degli appassionati di volo sperimentale, ad alcune delle sequenze più memorabili riprese da un videoamatore.
La specifica esperienza umana di Hasan Kaval, per certi versi, non può che riportare alla memoria il celebre episodio di Larry Walters, il camionista americano che nel 1982, come rivalsa per non aver potuto diventare un pilota militare causa la mancanza di eccessive diottrie agli occhi si levò in volo presso l’aeroporto LAX di Los Angeles, appeso con una sedia da giardino a un gruppo di 45 palloni meteorologici riempiti di gas elio, portandosi dietro anche alcuni panini e una bibita in bottiglia da bere. Con il piano specifico, frutto di attente considerazioni, finalizzato a sparare con un fucile a pallini contro i globi di sostegno in maniera progressiva, per tornare a terra dopo il concludersi della sua incredibile avventura. Se non che, dopo 45 minuti, l’arma gli cadde sfortunatamente in mezzo al deserto del Mojave, trasformandolo in una letterale mina vagante che avrebbe finito per schiantarsi, per fortuna senza conseguenze, contro i pali della luce nella zona di Long Beach. Avendo infranto, prevedibilmente, una gran quantità di leggi e andando incontro ad una multa di oltre 4.000 dollari, benché l’esperienza gli sarebbe valsa l’opportunità di essere immortalato in almeno due opere teatrali giungendo inoltre a costituire la probabile ispirazione per il volo all’inizio del film della Pixar del 2009, “Up”. Che potremmo forse sperare di vedere riprodotto, in un prossimo futuro, nell’atteso seguito delle notevoli esperienze fluttuanti di Hasan Kaval.

Certe volte occorre sembrare pazzi, per mostrare a tutti una possibile strada verso la realizzazione personale. Che pur sembrando estremamente personale, può dirsi conforme ad uno dei sogni più condivisibili e duraturi dell’umanità.

Il parapendio nasce, come concetto, dalla convergenza di una serie di tecnologie, sviluppate in parallelo nel corso dell’intera decade del 1960, per cui non è facile capire chi, esattamente, possa essere considerato il suo inventore. Forse il francese Pierre Lemongine nel 1961, con il suo sistema Para-Commander per il controllo migliorato di un paracadute dalla forma rettangolare. Oppure David Barish, l’ingegnere della NASA che adattando tali concetti a un uso commerciale a partire dal 1965, trovò il modo di trarre guadagno dall’esperienza aerodinamica maturata nel corso della sua lunga carriera. O ancora, per il brevetto formale della canadese Domina Jalbert, datato 1966, per un sistema di volo facente affidamento su una vela con “Una serie di preminenze convesse e parallele, capaci di operare come fossero le superfici di controllo di un comune aeroplano.”
Tutti passi di una progressione logica che avrebbe condotto, in un giorno quanto mai distante, alla realizzazione delle imprese di Kaval. Nel bisogno e il desiderio umano di volare, dopo tutto, c’erano i semi di quell’innegabile traguardo personale. Che porta l’inaccessibile ad essere non solo necessario, ma persino entusiasmante! Poiché è soltanto quando siamo rilassati su una poltrona, a beviamo quietamente al tavolo sul principiar della giornata, che possiamo dire di essere realmente noi stessi. Senza preconcetti o veli frutto del bisogno, tanto spesso imprescindibile, di apparire. Come le ali di un inafferrabile gabbiano…

Lascia un commento