Nella ricerca di termini di nomenclatura perfettamente descrittivi, talvolta si continua ad aggiungere, ed aggiungere… Come chiameresti, ad esempio, una simile turbinante massa di creature che danzano tra i riflessi di un Oceano distante? Storni rondini api gregge pecoroni? O ancora, lumache mandrie locuste branco di delfini? A meno di scegliere, piuttosto, l’approccio semplice e diretto, cionondimeno dotato di un certo livello d’eleganza, offerto dal binomio scientifico che molti anni fa, naturalisti non spesso citati decisero di assegnar loro: Plotosus Lineatus, da un miscuglio del termine greco πλωτος (plòtos, nuoto) e il suffisso latino –osus ovvero, “simile a”. Laddove forse in molti avrebbero trovato pratico un riferimento, almeno, all’ordine degli anguilliformi, data la notoria somiglianza esteriore con questi ultimi dovuta alla configurazione delle pinne dorsale, caudale ed anale, fuse tra di loro come quelle del più celebre pesce che ricorda un serpente. Eppure ben poco di una simile caratteristica può comparire tra le cognizioni dell’osservatore, quando si osserva la riconoscibile livrea di questi pesci, composta da due strisce bianche orizzontali, che gli percorrono il corpo partendo dallo spazio sotto gli occhi fino alla punta della coda, contribuendo all’inusitata figura astratta che sembra comporsi, quindi scomparire e poi configurarsi nuovamente, mentre un gruppo di costoro avanza nella scena qui ripresa da un membro della scuola d’immersioni Abyss Dive Center di Jemeluk Bay, presso l’isola di Bali. Operazione in grado di rappresentare, per l’appunto, un particolare stile di comportamento ittico assai conosciuto, usato per confondere, scoraggiare e qualche volta perdersi nel gruppo, lasciando che sia invece qualcun altro, a pagar l’amaro prezzo di nutrire il proverbiale “pesce più grande”.
Il comportamento gregario di questi pesci, basato sullo spostamento quasi rotatorio degli esemplari sotto-posizionati verso quelli in vetta al mobile castello e quindi viceversa, risultante tanto distintivo da riuscire a suggerir l’immagine di un qualche mostro sovrannaturale spaventando chicchessia, caratterizza del resto il pesce gatto a strisce esclusivamente nella sua età giovanile, prima del raggiungimento dell’età riproduttiva dopo circa un paio d’anni, quando le abitudini della specie cambiano verso la composizione di gruppi di appena 20 o 30 esemplari. Momento in cui l’autodifesa, piuttosto che sull’illusione ottica, varia verso un differente ed altrettanto utile strumento: la spina estremamente velenosa, situata sotto la loro penna pettorale in grado d’infliggere anche agli umani notevole dolore, riduzione della circolazione del sangue, spasmi e in qualche raro caso, la morte. Il che lascia intendere come, in linea di principio al pari della prima possibile reazione istintiva, questa particolare meraviglia della natura sia preferibilmente osservabile da lontano, evitando di restare ipnotizzati dal suo aspetto stranamente magnetico e seducente!
Il che potrebbe, un giorno non troppo lontano, diventare una pratica da tenere in prudente considerazione anche nel nostro Mar Mediterraneo, visto come simili creature originarie del Pacifico abbiano iniziato, ormai da oltre un secolo e mezzo, a discendere la corrente del Canale di Suez per abbandonare le acque eccessivamente salmastre del Mar Rosso, fino alle regioni più orientali di quel bacino naturalmente protetto che fu la culla della nostra ed altre confinanti civiltà. In un processo che viene normalmente definito migrazione lessepsiana, dal nome (Ferdinand de Lesseps) del diplomatico posto a capo della costruzione del canale, già capace di coinvolgere numerose specie ittiche, crostacei e molluschi. Quasi nessuna delle quali, tuttavia, capace di riprodursi con l’estrema rapidità ed enfasi di questi siluriformi, tanto da vedersi assegnato in terra d’Israele il soprannome problematico di pesce-Nasrallah, dal nome del leader del gruppo militarizzato degli Hezbollah. Ciò detto ed al di là di simili considerazioni politiche, appare chiaro come il progressivo propagarsi del pesce gatto zebrato abbia causato significative problematiche fuori dai suoi ambienti naturali d’appartenenza, monopolizzando la fonte di cibo dei microrganismi ed altri esseri bentonici (situati sul fondali) tramite la loro ineccepibile efficienza in fase di raccolta e pulizia marina, grazie all’impiego degli organi di localizzazione elettrica noti come ampolle di Lorenzini. Simili ausili, in aggiunta alle quattro paia di baffi sensibili disposti attorno alla bocca, permettono loro di portare a termine la missione ecologica che gli era stata assegnata dall’evoluzione, con un’efficienza forse persino superiore a quella che sarebbe lecito ritenere opportuna, fuori dagli specifici ambienti di appartenenza originari, fino alla fagocitazione diretta di altre specie ittiche di piccole dimensioni, praticata soprattutto dagli esemplari adulti.
Una volta raggiunta l’età riproduttiva e la massima lunghezza di 30 cm quindi, come dicevamo, questo pesce gatto abbandona il comportamento super-gregario dei 100 membri formando branchi più piccoli e stanziali, tra i quali le coppie formate tra maschi e femmine andranno a ritirarsi, ordinatamente, presso rocce o affioramenti vicini, ove lei potrà deporre quietamente le sue uova. Gesto compiuto il quale, secondo un preciso programma comportamentale, sarà quindi il maschio ad averne cura fino al momento della schiusa, a seguito del quale i piccoli in forma larvale saranno trasportati via dalla corrente, verso un primo periodo di vita all’interno del flusso ineffabile del plankton vagabondo. Inizialmente neri anche una volta assunta la forma riconoscibile di un pesce, quindi, i componenti della nuova generazione inizieranno gradualmente a guadagnarsi la riconoscibile livrea lineare, mentre inizieranno ad assumere la tattica dell’unione rafforzativa, usata per scoraggiare e spaventare i possibili avversari nell’imprescindibile catena di alimentazione marina.
Aspetto tuttavia degno di nota è come le analisi effettuate del veleno posseduto dai pesci di questa specie che hanno completato la migrazione attraverso il Canale di Suez, dopo tanti anni, abbiano dimostrato in esso presupposti tossici di natura significativamente inferiore. Quasi come se l’ambiente più accogliente e privo di coabitanti ostili abbia permesso loro di adottare approcci maggiormente congeniali alla convivenza reciproca, nella valida dimostrazione di una tendenza implicita della natura ad appianare le divergenze nate da una modificazione improvvisa delle condizioni in essere. Non è perciò impossibile pensare che un domani, raggiunto nuovamente l’equilibrio delle forze in gioco, l’ambiente acquatico occupato da questi invasori provenienti dai più vasti oceani del pianeta veda una situazione di pace e coesistenza che da tempo immemore, ha saputo costituire il sinonimo di vita lunga e priva di tribolazioni per l’ineffabile e mutevole consorzio degli umani. Un qualcosa che da molto tempo, a più livelli, si sta cercando nuovamente di portare innanzi nel contesto delle terre circostanti al Mediterraneo Orientale.