L’invisibile giardino dei divertimenti sotto la città più affollata dell’America Latina

Generalmente quando tre voragini profonde 35 metri fanno la loro comparsa nel bel mezzo di un sovraffollato distretto finanziario, non è l’inizio di un buon capitolo nella storia urbana di una grande capitale nazionale. Soprattutto quando, come nel quartiere denominato Santa Fe di Città del Messico dal nome di un antico ospedale del pueblo, oggi poco più che un rudere, tale faccenda si palesa nel bel mezzo nella piazza abbandonata intitolata a Guillermo González Camarena, ormai da tempo utilizzata dagli impiegati dei moltissimi uffici circostanti al fine di parcheggiare abusivamente le loro automobili. Fortuna quindi che per tali veicoli, dopo una precisa segnalazione dell’amministrazione locale, un’altra collocazione fosse stata trovata, prima che il suono delle ruspe e dei martelli pneumatici potesse iniziare a diffondersi nell’aria. Perché già, ho mancato di evidenziare fino a questo punto la maniera in cui il “disastro”, inteso come punto di rottura con le aspettative o le condizioni operative pregresse, sia in effetti la diretta risultanza di un preciso accordo tra la città e il settore privato, o per essere più precisi i due importanti conglomerati Gruppo Carso e Copri, previo coinvolgimento degli studi architettonici messicani KMD e Arquitectoma. Per la creazione di un qualcosa che in tutta l’area culturale nordamericana, ma anche nel resto del mondo, nessuno aveva mai tentato con le stesse identiche modalità: la creazione di un centro commerciale sostenibile, dall’impatto ambientale contenuto e al tempo stesso, incredibile a dirsi, posizionato per almeno il 90% al di sotto del livello del manto stradale cittadino. Come una stazione della metropolitana ma con più marmo di pregio, negozi e soprattutto, senza SEMBRARE una stazione della metropolitana. Proprio grazie al particolare accorgimento nato dalla collaborazione dalle due figure dei progettisti principali dei rispettivi studi Francisco Martín del Campo e Jose Portilla Riba: i colossali lucernari a pianta circolare dal diametro di circa 30 metri ed ancor più profondi, con la forma approssimativa di un cono rovesciato in grado di ricordare, per una mera coincidenza, l’esatta forma dei gironi dell’Inferno Dantesco.
Nessuna punizione o diabolica presenza nel fondo della struttura inaugurata a maggio del 2014 con il nome stranamente anglofono di Garden Santa Fe, bensì un luogo di ritrovo “pubblico ancorché privato” dalla straordinaria luminosità e circolazione dell’aria nonostante il posizionamento, proprio grazie alla totale trasparenza della copertura interna delle suddette voragini, con un complesso sistema di vetri sovrapposti e apribili che bloccano l’ingresso dell’acqua durante la pioggia ma non l’ossigeno di ricambio. Nati, secondo un aneddoto raccontato da Martín del Campo, proprio a seguito della caduta accidentale di un mattone ad opera di un operaio distratto durante la costruzione, lasciando scaturire l’intuizione di quanto potesse risultare utile un tale accorgimento, nell’incrementare il già notevole eclettismo funzionale di un simile spazio ad uso commerciale. Chi avrebbe mai voluto visitare, d’altra parte, gli oltre 90 negozi disposti nei 12.000 metri quadri del nuovo ambiente, se la sensazione restituita fosse stata quella di trovarsi all’interno di una prigione sotterranea del Medioevo…

I lucernari verticali del centro commerciale, costruiti secondo modalità innovative, trovano all’interno l’ulteriore merito situazionale di pavimenti in marmo candido, capaci di riflettere ed incrementare il loro effetto d’illuminazione degli ambienti.

Il Garden Santa Fe, maggiore innovazione architettonica dell’intera Città del Messico negli ultimi anni, al punto da guadagnarsi il prestigioso premio della rivista AD Iconos del Diseño 2014, non costituisce tuttavia il semplice risultato materialistico di una speculazione finalizzata a incrementare i guadagni. Trovando la sua stessa ragione d’esistenza collaterale nei quattro livelli di parcheggio, per 2500 automobili complessivi, posizionati al di sotto dei soltanto due di negozi, con l’obiettivo di fornire assistenza per uno dei principali problemi di questo particolare recesso urbano: la viabilità. Molto si è parlato in effetti, a partire dal suo significativo sviluppo a partire dagli anni ’90, delle difficili condizioni di spostamento e fermata veicolare all’interno di un’area decentrata a sud-ovest ma ormai diventata fondamentale per la gestione centralizzata dell’economia di molte aziende, con tempi di percorrenza del tutto paragonabili a quelli del sopracitato e punitivo aldilà descritto in versi dal Sommo poeta della nostra distante penisola europea. Con un eccesso di investimenti, incentivi, concessioni di permessi edilizi e un’altrettanto problematica carenza d’infrastrutture o la sempre valida soluzione di un trasporto pubblico realmente efficiente. Ragion per cui, almeno all’inizio, non mancarono veementi critiche nei confronti dell’ennesima follia di zona, in grado di aumentare ulteriormente il congestionamento e il sovraffollamento, se non che un poco alla volta, le molte qualità del Garden cominciarono a diventare palesi. E non sto parlando solamente dello spazio offerto, dietro ragionevole pagamento, a tutti coloro che usavano precedentemente lo spiazzo Guillermo González Camarena, ma anche della notevole riqualifica dello spazio superficiale in questione, con l’allestimento di un vero e proprio parco pubblico completo di panchine minimaliste e generose aree del sempre gradito verde cittadino. Per non parlare della notevole coscienza ambientalista dimostrata dai creatori del centro, dotato di pannelli fotovoltaici situati sui due grandi chioschi con la funzione d’ingresso e uno speciale sistema per l’instradamento e riciclo dell’acqua piovana, da cui conseguono consumi inferiori, rispettivamente, di 1,8 MW di corrente elettrica e 147.000 litri giornalieri rispetto a una struttura convenzionale di comparabili dimensioni. Aspetti, questi ultimi, quanto mai dirompenti rispetto alla cognizione diffusa secondo cui i centri commerciali debbano necessariamente essere delle pietre di paragone dello spreco e lo scriteriato consumo delle sempre più preziose risorse rimaste sopra e sotto la superficie di questo pianeta.
Detto ciò, la costruzione del più intrigante luogo di svago del quartiere Santa Fe non risulta certo facile da emulare altrove, con un racconto da parte dei suoi stessi creatori, nella tipica intervista rilasciata in materia, della particolare ed innovativa procedura basata sul posizionamento ed ancoraggio di un completo sistema di fondamenta con tiraggi a soli tre metri d’intervallo, prima di fissare con attenzione le scoscese pareti di ciascun “foro” mediante l’impiego di rigide pareti di cemento armato. Ciò al fine di prevenire un potenziale disastroso crollo delle strade soprastanti, con un’applicazione del notevole know-how tecnico acquisito dalle aziende ingegneristiche della città nel corso degli ultimi anni. Frutto di una coscienza urbanistica, quella della capitale messicana talvolta abbreviata come CMDX, che ormai da decadi sembra aver raggiunto il limite massimo della sua estensione orizzontale, ricercando più volte in aggiunta alla solita soluzione dei grattacieli anche le loro controparti direttamente speculari rivolte verso le viscere stesse della Terra, definite con l’interessante termine in lingua spagnola di rascasuelos.

Visto dall’alto grazie all’assistenza del solito drone, il Garden si presenta come una struttura al tempo stesso futuribile e coscienziosa, con gli spazi verdi portati ad estendersi, incredibilmente, anche dentro gli spazi circolari a 35 metri di profondità creati dalle tre gigantesche prese d’aria.

Esiste la diffusa cognizione, al giorno d’oggi, secondo cui le principali innovazioni in campo tecnico, ingegneristico e architettonico debbano necessariamente provenire ogni volta dai soliti due o tre paesi del cosiddetto “primo” mondo, laddove l’esperienza c’insegna piuttosto che colui che ha già raggiunto l’apice, generalmente, non possiede più i presupposti per continuare a cambiare le regole del gioco. Per cui sempre più spesso, su Internet, si legge dell’ultimo “bizzarra” (in realtà, pere lo più rivoluzionaria) proposta di nazioni come la Cina, l’Indonesia o perché no il Messico, ampiamente in grado d’invalidare l’istintiva diffidenza memetica creata da un certo tipo di comunicazione politica nordamericana. Un fattore ancor più rilevante quando si considera un luogo come questa insolita struttura, frutto esclusivo del pensiero, gli approcci ingegneristici e la creatività di aziende situate sul suo territorio.
Non ci resta che porci l’interrogativo, a questo punto, su quanto a fondo potrà andare, nei prossimi anni, la coraggiosa gente di CDMX. E quali misteriosi segreti del sovraffollato e caotico stile di vita contemporaneo, in questo modo, potranno essere svelati a vantaggio del mondo intero. Dopo tutto, con la pendente e progressivamente più vicina crisi della situazione ambientale planetaria, non è impossibile che un giorno tutti i luoghi d’aggregazione civile inclusi i centri commerciali debbano venire collocati al di sotto degli sguardi famelici di uccelli radioattivi, anguille di terra e ragni giganti. Perché dopo l’epoca del grande Impero Umano, è cosa nota, dovrà iniziare quella dei rifugi sotterranei. Ma non c’è ragione alcuna, persino allora, per cui dovremmo smettere di divertirci.

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