Recentemente ricomparso sul canale ufficiale della BBC Earth, per la prima volta in forma ragionevolmente autoconclusiva, questo spezzone in HD proveniente dal documentario del 2013 “The Polar Bear Family & Me” rappresenta il singolo momento, nella vita di Gordon Buchanan, in cui un naturalista tanto esperto ha avuto l’occasione di trovarsi DAVVERO vicino ad una di loro. Abbastanza da poter contare i peli fuori posto attorno al muso dell’animale. Abbastanza da sentire il suono di un respiro preso dall’affanno, per lo sforzo di trovare il modo di arrivare al nocciolo della questione. L’interno, il nucleo, ovvero a voler essere più schietti, la persona. Che per una qualche ragione (o pluralità di esse) totalmente incomprensibile da parte di un tanto temuto super-predatore, ha scelto di sottoporsi alla portata momentanea dei suoi artigli e denti, resi ancor più acuminati dal bisogno. Continuando a emettere quel suono stridulo e continuo che è rappresentato dalla voce umana… Cos’hai da parlare, snack dentro il cestino? Cosa vai argomentando, Simmenthal di chi non ha, purtroppo, un’apriscatole a portata di zampa? (Zampa stessa, esclusa.)
Il che d’altra parte non può certo definirsi una trovata totalmente originale. Dopo tutto, in diverse regioni del turismo acquatico nel mondo, è reiterato spesso quel concetto della gabbia semi-galleggiante, sommersa in mezzo ai flutti popolati dagli squali, che portati ad avvicinarsi tramite l’impiego di qualche esca sanguinosa, finiscono per sorvegliare attentamente le strane foche dietro una barriera sempre invalicabile, di sbarre fastidiosamente ravvicinate tra loro. È il dominio, tutto questo, nonché l’assoluta riconferma della supremazia dell’uomo nei confronti della natura. Ovvero la dimostrazione che tra le doti concesse dall’evoluzione, una domina sulle creature dell’intera Terra: la costruzione d’involucri capaci di restare chiusi, quando necessario.
Occorre tuttavia tenere ben presente come, in simili contesti, l’esempio dato dai predecessori sia nient’altro che fondamentale: non è detto che quanto puoi fare con i pesci… Fu dunque una notizia spesso ripetuta al tempo, nonché ancora reperibile, il problematico seguito di quanto qui mostrato, con la minaccia di serie sanzioni e riqualifica come “persona non benvenuta” sulla terra gelida delle isole norvegesi di Svalbard, da parte dell’allora governatore regionale nei confronti di Jason Roberts, consulente tecnico e geniere, in senso quasi militare, dello show. Colui che, lavorando alacremente presso un qualche luogo adatto, aveva costruito la struttura stessa del contenitore “Ice Cube” in acciaio e perspex, con la ragionevole certezza di riuscire a proteggere dall’insistenza orsina colui che, per sua spontanea iniziativa, si era dimostrato pronto a mettersi a repentaglio. Non che tale iniziativa, d’altra parte, possa definirsi tanto più pericolosa di qualsiasi altro tipo d’interazione con l’Ursus maritimus, tutt’altro che benevola mascotte dell’iper-celebre bevanda analcolica in lattina…
Ciò che occorre ricordare in merito al più atipico di tutti mammiferi marini, così classificato a causa della dipendenza abitativa nei confronti delle lastre di ghiaccio galleggianti, staccatisi dal continente artico, è che il suo istinto lo porta essenzialmente a considerare gli esseri umani alla stregua di un benvenuto spuntino. Facendo di lui l’unico animale, tra tutti i grandi predatori rimasti su questa Terra, il cui particolare stile di vita lo porta ad inseguire con insistenza qualunque bipede faccia l’ingresso nel suo territorio, indipendentemente dal colore del cappello o della giacca indossata da quest’ultimo, e dal fatto che possano esserci dei testimoni. Il che giustifica ampiamente la critica mossa dal governatore delle Svalbard nel 2013 alla troupe televisiva, quando si considera che solamente due anni prima, uno di questi animali aveva attaccato un gruppo di giovani turisti inglesi, finendo per uccidere nella sua tenda un ragazzo di soli 17 anni. Con un seguito fin troppo facile da immaginare: la messa a morte pressoché immediata dell’animale, del tutto inconsapevole del male che aveva arrecato nei confronti dell’umana società. Ed è in considerazione di un così tragico, possibile finale, che l’approccio della scatola in perspex può apparire alquanto inappropriato, perché mettendo a rischio il documentarista per sua medesima scelta fa lo stesso, d’altra parte, nei confronti di colui o colei che assolve unicamente al ruolo ecologico assegnatogli dalla natura e l’evoluzione.
Ciò che è fatto, è fatto, ad ogni modo e ancor più illogico sarebbe scegliere di non trarre alcun insegnamento dall’opera di Roberts e Buchanan. In grado di rappresentare in modo assai visibile un aspetto molto interessante del comportamento dell’orsa protagonista, sorprendentemente simile a quello delle sue controparti situate più a meridione: la propensione a insistere, finché è sicura che il problema non può essere risolto con i metodi di cui dispone. Il che significa, una volta colto col suo naso iper-sensibile un’odore inaspettato, che un orso come questo può perseverare per diversi minuti o persino ore, a seconda del languorino che sta provando in quel particolare momento della sua vita. Come più volte dimostrato in video spesso reperibili online, non è in effetti possibile dissuadere un plantígrado dal suo percorso operativo individualmente selezionato, a meno che sia quest’ultimo a rendersi conto, a fronte di una barriera tecnologicamente adeguata, che sta soltanto sprecando preziosissime calorie. Il che significa d’altra parte che, in un luogo totalmente privo di stimoli come la superficie glaciale del Polo Nord, qualsiasi traccia di movimento, non importa quanto insignificante, va investigata fino alle più estreme conseguenze. E se possibile, assaggiata con l’utilizzo delle proprie fauci a cui nulla (sembrerebbe) può resistere sufficientemente a lungo.
Largamente discussa a più livelli da parte dell’opinione globale, la sopravvivenza nel tempo degli orsi dal bianco manto è stata più volte considerata un letterale termometro dello stato ecologico della Terra, in quanto condizionata in maniera particolarmente diretta dall’avanzamento progressivo del riscaldamento globale. Ciò perché tali esseri, benché nascano e vadano spesso a riprodursi sulla terra ferma, non possono letteralmente sopravvivere al di fuori del particolare ecosistema del cosiddetto ice pack, lo spesso strato glaciale che si estende dalla banchina fino alle prime propaggini del mare aperto. Che condividono, nel loro emisfero boreale, soltanto con uccelli fuori portata e l’occasionale foca.
Con il ridursi degli spazi adatti alla loro sopravvivenza, non può che apparire probabile, l’incontro tra orsi polari ed esseri umani non potrà che verificarsi sempre più spesso. Fino ad un culmine oltre il quale, per necessità oltre che un comprensibile disinteresse, le ampie fasce di popolazione costrette a temerli farà il possibile per fuoriuscire dalla metaforica scatola che si erano autoimposti, mettendoci dentro, invece, i problematici predatori.
Esiste a tal proposito almeno uno studio scientifico del 2017, pubblicato sulla rivista della Wildlife Society da James M. Wilder e colleghi (Polar bear attacks on humans: Implications of a changing climate) che tenta di mettere in guardia sull’interrelazione possibile tra riduzione del territorio ed attacchi ai danni degli inconsapevoli, talvolta incolpevoli coabitanti umani. Ma come spesso avviene in merito a simili questioni, è difficile che sia la scienza pura a fare breccia nella percezione popolare, lasciando tale compito ai documentari spettacolari come quello di Buchanan, o serie Tv fantastiche sulla falsariga di The Terror di David Kajganich (marzo 2018). Nell’ambito della conservazione naturale divulgativa, occorre a volte fare dei piccoli sacrifici. Come stressare momentaneamente una pacifica benché famelica creatura, soltanto affinché il suo psicodramma possa restare impresso nella mente dei telespettatori. Nella speranza che il loro senso d’indignazione, se ancora presente, possa condurre a un qualche gesto valido ad aiutare la causa. Come spegnere la luce durante il giorno, o evitare di tenere aperto il frigorifero troppo a lungo mentre si sceglie la Coca-Cola?