Per essere la chiave di volta che sorregge l’incastro, ed amplifica la suddivisione, tra Italia, Francia, Austria e Germania, il paese strettamente continentale della Svizzera è un luogo notoriamente piuttosto tranquillo. Politicamente neutrale per lo meno fino all’inizio dell’epoca contemporanea, economicamente solido in forza dei suoi istituti bancari, con una fiorente industria dedita, in maniera particolarmente celebre, all’arte utile dell’ingegneria meccanica applicata alla vita di tutti i giorni. Il che significa, in altri termini, la costruzione di orologi… Ma ci sono specifici casi in cui questa propensione al culto della precisione si trova riflessa nella stessa presenza d’infrastruttura che, sotto determinati punti di vista, sarebbero difficili da immaginare in qualsiasi altro luogo al mondo. Volete un esempio? Prendete atto, grazie al qui presente video del National Geographic, della presenza secolare della Pilatusbahn. La strada ferrata che parte da Alpnachstad sulle rive del lago dei Quattro Cantoni, per proseguire verso la vetta Esel del monte Pilatus, ad un’altitudine di 2.073 metri sul livello del mare. Il che comporta, in effetti, un’ascensione di 1600 metri in poco più di mezz’ora, con una pendenza massima del 48%. Eppure l’osservatore attento ai dettagli potrebbe notare, non senza un comprensibile moto di sorpresa, l’evidente assenza di qualsivoglia cavo di traino, l’imprescindibile segno di quanto ci si sarebbe ragionevolmente aspettati: l’applicazione del sistema della funicolare, qui poco pratico a causa della particolare conformazione topografica, che impediva la costruzione di una linea di ritorno per fare da contrappeso. Evidenziando come l’unica possibilità sia che i piccoli treni elettrici si muovano sul suddetto tragitto mediante l’impiego della potenza sviluppata dai loro stessi motori. Il che, dal punto di vista prettamente fisico, sarebbe generalmente impossibile. Non soltanto per la quantità di potenza ed energia necessarie, ma anche per la semplice attrazione esercitata dalla forza di gravità, del tutto superiore alla capacità di sviluppare attrito da parte di una serie di ruote a contatto con rotaie di tipo convenzionale. Ecco perché è qui, prevedibilmente, che ha luogo la proverbiale magia, intesa come sovvertimento di quanto l’intera storia dei treni abbia previsto fino al 1885, l’anno in cui Eduard Locher, rinomato ingegnere civile di Glarona, decise di rischiare la sua reputazione e la carriera presentando al mondo un’idea che avrebbe portato l’opinione comune di allora, senza particolari remore o esitazioni, a dubitare della sua effettiva sanità mentale. Una linea con sette tunnel e binari dotati di ancoraggi d’acciaio, per raggiungere la singola località svizzera più amata dai turisti di allora, l’unico hotel su un picco montano, con vista su decine dei massicci più prossimi e i confini distanti di quattro diversi paesi europei.
L’idea prevista in prima battuta, chiaramente l’unica possibile, fu quella d’impiegare una ferrovia di tipo a cremagliera, ovvero dotata di ruote dentate più simili ad ingranaggi, concepite per sfruttare l’incastro con dei binari del tutto simili a scale a pioli, analogamente a quanto trovava l’impiego per determinati tratti della Vitznau-Rigi-Bahn, la più celebre strada ferrata della regione. La quale vedeva un’applicazione del mecanismo Riggenbach, brevettato nel 1863, successiva evoluzione di quanto tentato in precedenza, in grado di sfruttare un sistema d’incastro particolarmente sofisticato, benché costoso da implementare. I primi test, tuttavia, evidenziarono subito l’inadeguatezza di un simile approccio, visto come la pendenza assai superiore del Pilatus tendesse a far sollevare letteralmente la ruota dal binario durante la marcia, perdendo l’incastro e provocando condizioni potenzialmente conduttive al deragliamento. Locher lavorò a lungo, quindi, su una maniera per sovvertire il problema, finché una sinergia particolarmente fortunata non condusse la storia ingegneristica d’Europa a convergere, famosamente, presso la città di Parigi, per la singola Esposizione Universale più importante di quel secolo e tutti quelli passati fino ad esso. Era il 1889 e già la Tour Eiffel, recentemente ultimata all’estremità nord-occidentale del Champ de Mars, gettava la sua ombra sul VII arrondissement mentre il Salone delle Macchine, svettante edificio in vetro tenuto in piedi da una struttura reticolare in acciaio, ospitava il catalogo delle macchine più “sensazionali ed innovative” o in altri termini, il sangue stesso della pervasiva epoca industriale. Eduard Locher, in cerca di finanziatori, aveva ottenuto uno spazio espositivo, in cui cui capeggiavano i suoi disegni ed un modellino di treno mai visto prima. In esso, la cremagliera alla base del meccanismo delle ruote non era più orientata in senso verticale, bensì orizzontale, con gli ingranaggi-ruota, a coppia di due, che abbracciavano letteralmente una rotaia centrale disposta in ripida diagonale “montana”. Un’idea destinata a colpire a tal punto, alcune delle persone rilevanti, da giustificare la costituzione di una compagnia privata, che avrebbe costruito e gestito al versione su scala effettiva dell’intrigante idea: il Consiglio di Amministrazione della Pilatus Bahn AG.
La costruzione, prevedibilmente, non fu affatto semplice. Il monte Pilatus in questione, che prendeva il nome da una leggenda sul fatto che l’anima dello stesso governatore della Giudea che condannò Cristo risiederebbe in un lago presso la sommità, era in effetti noto per la sua straordinaria inaccessibilità. E nonostante la struttura turistica costruita sulla cima, raggiungibile unicamente mediante accidentati percorsi o una traballante funivia, manteneva ancora vive molte delle leggende elaborate a suo riguardo, tra cui quella secondo cui tra i recessi più remoti della montagna, trovasse posto una caverna abitata da un’intera famiglia di draghi, in grado d’elargire guarigioni miracolose a chiunque riuscisse a guadagnarsi con mezzi sovrannaturali la loro fiducia. Ma al ruggito immaginario di simili creature, ben presto, si affiancò il rombo regolare dei primi treni a vapore, che a partire dall’aprile del 1886 iniziarono a risalire dalla valle, con vasti vagoni al seguito carichi di pietre di granito, da usare come fondamenta per gli ancoraggi dell’innovativo binario Locher. Poiché in effetti, prima di esso non esisteva semplicemente un modo di trasportare in vetta il materiale, comportando un ordine di costruzione degli elementi della ferrovia generalmente rappresentativo dei luoghi di frontiera: prima le locomotive, quindi il tragitto e soltanto in seguito, una volta completato il resto, le cabine da impiegare a vantaggio dei passeggeri. La linea fu quindi completata, ed aperta, a partire dal 4 giugno del 1889, dopo un febbrile lavoro di quasi due anni.
Ecco la notizia comparire, a quel punto, su tutti i principali quotidiani europei, dando una spinta importante al turismo della regione. Si stima che a partire da quel momento, l’hotel sulla cima del Pilatus sia passato da poche centinaia di coraggiosi ospiti a svariate decine di migliaia l’anno, fino ai numeri ancora superiori di queste ultime generazioni. I piccoli treni, nella loro prima versione, risultavano in grado di trasportare fino a 288 passeggeri per viaggio, con una capacità teorica di 34.400 persone per ogni stagione di attività. Fu ben presto chiaro in effetti come, nonostante la capacità di trazione e resistenza ai venti di traverso degli ingranaggi impiegati, il freddo glaciale dei mesi invernali avrebbe nondimeno costretto alla chiusura annuale del tratto di ferrovia. Il tempo necessario per compiere l’intero tragitto di 4,6 Km, nel corso di questo primo periodo, si configurava su un’ora circa, a causa delle frequenti soste necessarie per provvedere al rifornimento della caldaia speciale di queste locomotive, concepita per non consentire fuoriuscite d’acqua nonostante la pendenza così tanto superiore alla normalità. La situazione, tuttavia, sarebbe cambiata per il meglio nel 1936, quando la ferrovia fu temporaneamente chiusa per provvedere all’integrazione di una sovrastruttura di alimentazione elettrica a 1550 V DC ed al cambio di propulsore per tutti i treni. Occasione in cui i tempi di percorrenza vennero istantaneamente ridotti di circa la metà. A quel punto, la Pilatus Bahn AG aveva ampiamente recuperato il capitale d’investimento, e stava già progettando nuovi metodi d’incrementare ulteriormente le proprie già valide prospettive di guadagno. È significativo notare come, ancora oggi, i treni elettrici non siano stati sostituiti, ed anche se la rotaia mostra evidenti segni di usura, sia stato dimostrato come girarla semplicemente in senso verticale potrebbe concedere altri 100 anni d’impiego o anche di più.
La ferrovia a cremagliera Pilatusbahn resta tutt’ora un caso unico al mondo, anche se pare che alcune miniere dell’epoca, successivamente dismesse, abbiano implementato su scala più ridotta lo stesso approccio per alcune delle loro linee di trasporto sotterranee. Le ragioni sono molteplici, a partire dalla sicurezza sufficiente offerta, in tutti i casi di pendenza ragionevolmente attesa, dagli approcci precedenti sul modello di Riggenbach o gli altri due ingegneri svizzeri, Abt e Strub, molto più pratici sopratutto in presenza di scambi, che nel caso del sistema Locher prevedono un complesso apparato rotante. L’evidenza dei casi dimostra come inoltre, nella maggior parte dei casi, sia semplicemente molto più pratico e meno costoso implementare delle funicolari, come recentemente avvenuto, ad esempio, con la molto pubblicizzata ed esteticamente accattivante linea ferrovia di Stoos, inaugurata nel 2017, del tutto simile a una serie di ruote auto-livellanti incatenate tra loro. Mentre per chi cerchi il brivido e la rapidità, ancora adesso, il trasporto migliore resti la funivia; vedi l’esempio localmente rilevante della Dragon Ride, in grado di raggiungere la sommità del Pilatus, a partire da Fräkmüntegg, nel giro di due soli minuti e mezzo. Con una capacità per lo più incrementata, molto più condensata nel tempo, di ammirare l’unicità del paesaggio montano circostante.
Ma chissà che cosa direbbe, il signore dei draghi dell’intera montagna fin dall’epoca dei vangeli, nell’udire impiegato con finalità di marketing il suo impressionante nome, in grado di gettare nello sconforto intere generazioni di coraggiosi alpinisti. Forse ormai rassegnato, ed in qualche modo persino felice, di ricevere una quantità tanto alta di visitatori annuali. Da guarire come specificato nel folklore pregresso, affascinare grazie allo splendore di quel reame e qualche volta, perché no, spaventare con il suo possente ruggito ultramondano. Perché i draghi, si sa, amano soprattutto i treni. E non soltanto quelli…