L’uomo col trono di Cristo nel suo garage

Persone apparentemente uguali a tutte le altre, con una vita assolutamente ordinaria. Figli o fratelli assolutamente validi, convinti lavoratori, amici conformi nelle apparenze. È quasi del tutto impossibile, salvo le più estreme eccezioni, riuscire a individuare chi siano gli accumulatori seriali. Coloro che non accetterebbero mai di separarsi dai loro cosiddetti tesori, raccolti con un impegno e un’intensità decisamente superiori al quella di un comune essere umano. Finché successivamente alla loro dipartita, qualcuno non entra necessariamente nei locali in cui trovò sfogo la loro mania. Scoprendo l’oscuro baratro dell’inferno in Terra. Figuratevi quindi la sorpresa di Meyer Wertlieb, che ormai da anni aveva sospetti sull’inquilino del suo garage privo di riscaldamento, quando spalancò la porta e trovò all’interno una fedele riproduzione di quello che avrebbe potuto essere il Paradiso.
Non è noto, realmente cosa avesse ispirato, negli ultimi 15 anni della sua vita, l’opera dell’afroamericano James Hampton, uno dei pochi artisti spontanei nella storia moderna degli Stati Uniti ad essere stato riconosciuto dal mondo della cultura accademica dopo la sua morte, sopraggiunta nel 1964, all’età di soli 55 anni. L’individuo riservato e solitario, impiegato come inserviente negli uffici della General Services Administration a Washington DC, che aveva parlato più volte con Mosé e la vergine Maria, ricevendo una fondamentale missione: preparare il mondo alla seconda venuta di Cristo in Terra. Obiettivo per il quale, secondo le precise istruzioni che aveva ricevuto, avrebbe dovuto costruire uno speciale ambiente ecclesiastico, affinché il figlio di Dio potesse comunicare a tutto il mondo la gloria della sua venuta, salvando le anime di tutti coloro che avevano fede in Lui. Preso così in affitto un garage in periferia, s’impegnò segretamente tra un turno di lavoro e l’altro, mettendo insieme quanto gli riusciva di trovare nei rigattieri, in ufficio e in giro per le strade del suo quartiere. Si appropriò di lampadine, vecchi mobili, pezzi di legno, barattoli di marmellata e di caffè, vasi da fiori, scarti metallici… Quindi acquistò quantità ingenti di carta stagnola e fogli d’oro, per ricoprire il tutto ed assicurarsi che il prodotto finale risplendesse spontaneamente della luce che lo avrebbe inondato nel momento della verità. Forse lui credeva, con tutto se stesso, che in quel fatidico giorno l’opera imperfetta delle sue mani sarebbe stata trasformata in qualcosa di realmente immortale, privo di macchia e degno di essere trasportato nei Cieli. Oppure, mantenendo una presa più salda sulla realtà, credeva nel valore della povertà di mezzi, che secondo l’ideale cristiano può condurre all’accrescimento dello spirito dei viventi. Pur non avendo notazioni puntuali sull’intero svolgersi della vita, sappiamo tuttavia che il primo tentativo di costruire questa incredibile opera d’arte, che avrebbe successivamente intitolato “Il Trono del Terzo Cielo dell’Assemblea Generale delle Nazioni [al termine] del Millennio” fu compiuto durante i suoi tre anni di servizio militare nella seconda guerra mondiale del Pacifico, con il ruolo di carpentiere non combattente presso l’isola di Guam. Luogo in cui, mettendo in pratica la sua fede battista ereditata dal padre, predicatore itinerarnte e cantante spirituale, aveva costruito un piccolo altare portatile, presso cui raccogliersi la sera in preghiera. Tale oggetto dell’altezza di 25-30 cm circa, quindi, l’avrebbe poi riportato in patria, integrandolo successivamente nell’ensemble di quanto l’avrebbe reso famoso a livello nazionale e nel mondo.
In un primo momento, il proprietario di casa Wertlieb non seppe ovviamente che cosa fare. Giunta in città la sorella di Hampton, per dare l’estremo saluto al sangue del suo sangue, prese contatto con lei nella speranza che gli liberasse il locale dell’ingombrante opera d’arte. Ma le non volle saperne nulla. Fu così che egli decise di mettere un annuncio sul giornale, nella speranza di riuscire a venderlo e recuperare così i costi dell’affitto arretrato, che Hampton non aveva più pagato da qualche tempo. Caso volle, che poiché in quei giorni nella città di Washington DC si stava svolgendo la Biennale della Corcoran Gallery of Art, svariati artisti vennero a vedere coi loro occhi l’insolita meraviglia. Finché Harry Lowe, giornalista ed assistente presso il celebre museo dello Smithsonian, non decise di acquistare il Trono, facendone quindi dono alla prestigiosa istituzione presso cui lavorava. Dove, tra un diorama dei popoli nativi e una stanza dedicata ai manufatti pre-colombiani, si trova tutt’ora, in una stanza scura dove risaltare in tutta la sua magnificenza.

In questa conferenza viene mostrata una rara foto di James Hampton di fronte alla sua creazione. Completamente disinteressato alla fama terrena, l’artista non diffuse mai simili immagini. È altamente probabile quindi che si tratti di un autoscatto.

Dal punto di vista strutturale, questo capolavoro raccogliticcio è una composizione per lo più simmetrica, con al centro la poltrona ornata riservata al Signore recante al di sopra la scritta a caratteri cubitali “FEAR NOT” (non abbiate paura). A sinistra della stessa, quindi, si trova una serie di oggetti votivi ispirati ai personaggi e alle vicende del Vecchio Testamento, mentre a destra è rappresentato il Vangelo. Tra i motivi più ricorrenti figura quello delle ali d’angelo e della corona, in un insieme che visto da lontano, non sfigurerebbe di fronte al corredo artistico di una importante cattedrale. Finché non cambia la luce, o l’osservatore si avvicina, prendendo finalmente atto della reale natura e composizione dell’insolita opera d’arte, creata da un appassionato privo di preparazione tecnica formale o esperienza pregressa nel campo della scultura. Eppure, l’effetto complessivo misteriosamente rimane, o viene persino accresciuto da tutto ciò. Tanto che Harry Lowe, al suo primo ingresso nel fatidico garage, affermò successivamente di aver provato una sensazione “Paragonabile a quella degli scopritori della tomba del faraone Tutankhamon.” Hampton non si sposò mai, benché avesse annotato la sua ricerca di una santa donna che potesse aiutarlo nel compiere la sua missione. Dal punto di vista artistico, i critici hanno individuato almeno una possibile ispirazione per il Trono, nelle decorazioni in carta stagnola che i devoti erano soliti disporre sopra le tombe nel cimitero della città natìa dell’autore, Elloree, nella Carolina del Sud. Mentre l’aspetto più propriamente letterario ed epigrafico che l’accompagna, come stiamo per vedere, potrebbe derivare da alcune tradizioni dell’Africa sub-sahariana, come la scrittura spirituale del Congo e della Nigeria.
A dotare l’intera vicenda di un ulteriore alone di mistero, infatti, c’è la questione del misterioso alfabeto e la lingua, mediante cui l’artista ricoprì diverse parti del trono e l’intero spazio di un taccuino di 167 pagine, da lui intitolato il Libro delle Sette Dispensazioni. Testo dall’origine ed il contenuto per lo più misteriosi, paragonato più volte al manoscritto medievale di Voynich, che seppe tenere impegnata per anni un’affiatata schiera di linguisti ed appassionati di codici impossibili da svelare. Portando nel 2005 un professore di scienze informatiche dell’università di San Jose, Mark Stamp, a digitalizzare ed inserire tutti e 29.000 i caratteri dell’opera in un programma di analisi statistica, al fine d’individuare dei pattern ripetuti o schemi che permettessero finalmente di avvicinarsi al significato nascosto nell’opera visionaria di Hampton. Con il risultato finale di comprendere che, benché fosse strutturato esattamente come un reale idioma, questo idioma ribattezzato come hamptoniano fosse probabilmente l’equivalente scritto del fenomeno della glossolalia, ovverol “parlare le lingue” da parte degli invasati o le presunte vittime della possessione demoniaca. Eppure, attraverso le poche parti scritte in inglese, sappiamo che il mondo in cui l’autore credeva fermamente di vivere era preciso ed ordinato, con date significative del calendario in cui erano apparse le diverse figure che gli avevano parlato, ed un suo ruolo preciso nell’istituzione della nuova chiesa, come San James, Direttore dei Progetti Speciali per lo Stato dell’Eternità. Adamo, il primo degli uomini, gli aveva parlato ad esempio durante il giorno dell’inaugurazione del presidente Harry Truman. Mentre 2 ottobre del 1946, la Madonna in persona era comparsa sopra la cupola del Campidoglio, nei cieli inconsapevoli della capitale.

Uno degli inni più famosi della religione battista è “In marcia verso Zion” che allude al ritorno verso la Terra Promessa da parte degli ebrei in esilio. Questo concetto ricorre anche nella religione rastafariana, dove si trova in opposizione al regno nefasto di Babilonia.

Uno dei precetti fondamentali della fede battista, fortemente associata all’etnia afroamericana fin dai tempi di Martin Luther King ed oltre, è del resto l’assenza di un intermediario tra Dio e l’uomo. Con un allineamento che rientra a pieno nella visione protestante, benché molti dei fedeli rifiutino una simile classificazione, ricordando che per accogliere a pieno il Signore è fondamentale che il sacramento del battesimo venga concesso soltanto a persone adulte, e quindi capaci di comprendere a pieno le sue implicazioni più profonde. Un’esperienza che viene  vista come profonda e trasformativa, occasionalmente shockante in quanto portata a termine mediante il rito dell’immersione totale. Tanto che anche storicamente, il verificarsi di visioni non fu mai particolarmente raro, né visto negativamente dai fedeli, nel periodo immediatamente successivo ad un simile evento.
È fondamentale notare come, ad ogni modo, il ruolo postumo che seppe guadagnarsi l’opera di James Hampton non fu mai sostenuto dalla sua comunità ecclesiastica, né altre simili, bensì dal mondo laico degli artisti. È difficile immaginare come egli avrebbe interpretato un simile destino. D’altra parte, tutte le anime meritano di essere salvate. E dato che il ritorno di Cristo non si è ancora verificato, avrebbe probabilmente continuato ad attendere, con fiducia, l’epoca promessa del Suo trionfo finale.

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