Due storie adrenaliniche di salvataggi nella neve

Avalanche danger

Non importa quanto ci si senta preparati, le ore e i giorni di profondo allenamento, la conoscenza approfondita delle condizioni circostanti; ci sono luoghi in cui il pericolo è lo stato naturale, ed è soltanto la diffusa convenzione assieme all’uso di particolari norme che può giungere a fornire, a torto o a ragione, un senso di parziale sicurezza. È la tendenza di un elastico a riprendere la forma, l’acqua nel bicchiere che straripa, la tempesta dell’Oceano che inghiottisce. Quando meno te lo aspetti, o anche se per caso eri già pronto, il mondo cambia e si trasforma in una morsa cruda e disumana – ovvero, senza posto per gli umani. Mare, montagna: due lati della stessa medaglia. E la discesa verso l’inferno, come la traversata di un acquoso purgatorio, è pur sempre lastricata di ottime intenzioni, sotto un manto ameno e biancastro, oppure trasparente, ma pur sempre asciutto di fluidifica pietà.
30 gennaio scorso: quattro uomini sorridono entusiasti della loro bella idea. Sulle Alpi Svizzere, lontani dalle piste più battute, Andrew e Dan, australiani, con Leonard che vanta natali proprio in quei gelidi luoghi e Mort, James Mort, il quale cognome mai assumeva un doppio senso più appropriato alle future prospettive di sopravvivenza. Era il momento sul finire di una splendida vacanza, quando tutto appare ancor più accattivante, e si rimpiangono, assieme ai giorni ormai trascorsi, le esperienze che stavolta non ci è capitato di sperimentare. La gioia e il senso di assoluta libertà, nello specifico, di avventurarsi lungo una discesa morbida e perfetta, con la consistenza della spuma di champagne. Quella superficie piatta ed uniforme, pronta a ricevere due solchi paralleli per persona, che possa accompagnare ciascuna avventurosa piega con la nube di gustose particelle, l’onda del passaggio che raggiunge infine, con gran soddisfazione, chi si fermi per riprender fiato. Una sensazione, Unica. Uno di quei rischi calcolati che si corrono talvolta, dimentichi delle pericolose implicazioni, perché la vita è fatta pure di momenti rari, non soltanto grigia quotidinità. L’intera sequenza, ripresa con la classica GoPro da caschetto dello sciatore terzo della fila *Daniel, inizia nel suo attimo più transitorio, nel momento in cui i quattro si chiamano l’un l’altro, e ridono, gioiosamente scivolano verso il basso. Quando ecco che d’un tratto, l’atmosfera cambia. Non si vede bene da principio: l’accidentale cameraman dell’ora della verità si ferma allarmato, mentre un’alta quantità di bianco gli si muove ai lati, come se…La montagna stessa, dopo tutto, si fosse risvegliata dal suo sonno mattutino. Lui si volta e d’improvviso scopre, con un moto d’orrore, che l’amico non c’è più. Letteralmente svanito sotto il suolo: James Mort.
Ora, non è facile immaginarsi al posto del malcapitato subito sepolto. Cosa fare, in simili momenti? Trattenere il fiato, girarsi da una parte, tentare di fare il macigno. Assumere una posa che possa massimizzare il proprio ingombro, per garantirsi poi un maggiore spazio di manovra… Tutti approcci potenzialmente utili, ma la maggior parte delle volte inefficaci. Da una valagna non si scampa senza aiuto. Così l’uomo ha avuto forse la migliore idea possibile puntando il braccio verso il cielo, con la racchetta fortunata a far da boa in quel mare bianco, boia. Con gli altri tre, sull’immediato, che scorgono il segnale e accorrono sulla non-scena…

L’intera esperienza narrata sul Tumblr blog di Mort, An Avalanche Survival Story, viene proposta dal protagonista involontario come una sorta di novella cautelativa, sul rischio di sciare fuoripista e quello che può capitare a chi risulti totalmente impreparato, come si sono sentiti i quattro amici in tali assurde circostanze. Tuttavia, a mio parere, l’intera storia poteva finire molto, molto peggio e tutto considerato, la capacità di mantenere un relativo sangue freddo (!) da parte di Andrew, Leonard e di Dan con la sua telecamera, gli è senz’altro valsa l’occasione lieta di sopravvivenza. Subito quest’ultimo, con fare frenetico, si toglie lo zaino con equipaggiamento standard da valanga, sostanzialmente obbligatorio per chi usa avventurarsi in simili remoti luoghi, ed estrae il bastone per sondare la neve preparandosi ad un approccio troppo metodico in qui fatidici secondi. Nel kit, anche una pala plasticosa, strumento che si rivelerà invece provvidenziale. La vittima era dotata di suo, grazie ad un acquisto piuttosto recente, di un salvifico trasmettitore radio da valanga; peccato che il suo fosse l’unico del gruppo, impedendo sostanzialmente ai suoi compagni di trovarlo grazie a un tale ausilio tecnologico. Provvidenziale si rivelerà invece l’espediente della racchetta di segnalazione, subito usata per localizzarlo. Scavando rapidamente, Dan giunge presto a liberare il volto dell’amico, che riprende grato  a respirare.
Forse il punto più ansiogeno scritto da Mort risulta il brano successivo del suo racconto autobiografico, in cui tenta di trasmetterci l’assurda sensazione di sollievo sull’immediato, mista all’incipiente terrore di quei momenti durante i quali, ancora prigioniero per il resto del suo corpo, temeva il rimettersi in moto della valanga, contro il quale nulla avrebbero potuto neppure i gesti di concerto dei suoi tre compagni. Cosa, fortunatamente, che non ebbe modo di verificarsi. Sul concludere dell’atroce versante, un gruppo di cinque addetti alla sicurezza del vicino Ski Resort svizzero vengono chiamati sulla scena, per liberare faticosamente l’ultimo miracolato dalla sorte. Ci vorrà quasi un’ora di lavoro.

Tree well rescue

Dovremmo allora credere che l’unico pericolo della montagna, ciò da cui guardarci ad ogni attimo della discesa, sia il rischio di possibili valanghe? Così la neve può essere del tutto disarmata, evitando i luoghi in cui è friabile e invitante, carica di un senso di vendetta? Ecco, in realtà è innegabile che sciare sia un gradito passatempo. Ma i rischi si moltiplicano in base ai luoghi scelti per avventurarsi giù da una signora del paesaggio, la montagna. In Italia e Svizzera, per esempio, a tanto temperate latitudini, esite pur sempre un limite alla profondità di un tale strato candido sopra le cose permanenti, prima che sopraggiunga la stagione di un graduale scioglimento. Raramente da queste parti, al contrario del vasto e distante Canada, si è assistito alla suggestiva scena dei cosiddetti fantasmi di montagna, alberi semi-ghiacciati le cui punte fuoriescono da metri e metri di materia scivolosa, densa e fredda acqua-due-O.
Ecco un’altra narrazione ripresa grazie a telecamerina portatile di una disgrazia scampata, questa volta sulle montagne Chilcotin della bassa Columbia Inglese, dove un gruppo di 12 amici si stava godendo il gusto e il frutto dell’inverno. Discendendo sopra un bosco intero, a far lo slalom tra gli spettri, senza uccelli né scoiattoli di sorta, resi immobili da quella morsa senza tempo. Tutti conoscono il pericolo delle classiche avalanches, mentre resta drammaticamente poco noto, invece, il rischio di quelli che vengono in gergo definiti tree wells, i pozzi degli alberi. Quando la neve cade giù nel bosco, infatti, e continua a cadere e cadere, succede a un certo punto che si assesti sulla mezza altezza dei possenti tronchi pre-esistenti. Ma a causa delle dinamiche di tensione tra i fluidi compatti, succede che attorno a ciascuna cortecciosa colonna si formi un vuoto, stretto e profondo fino al suolo. Lo sciatore che dovesse, dunque, pericolosamente avvicinarsi a tali trappole della natura, finirà per cadervi dentro, spesso a testa in giù, con una rapidità tale da svanire subito dagli occhi dei presenti. Nella versione più tragica di un simile episodio, il malcapitato tende a finire tanto distante dalla superficie da impedire un pronto salvataggio, finendo per morire asfissiato. Però ecco che in, questa singola sequenza di sfortunati eventi, ci troviamo a ringraziare il caso! La vittima delle circostanze, prima di finire nel profondo, ha visto i suoi due sci mettersi di traverso, impedendo la discesa ultima nel buco. Ciò permetterà, per sua fortuna, l’arrivo provvidenziale dei compagni, incluso quell’utente YouTube-iano con telecamera LEADUSALLC, che gradualmente, un po’ tirando, un po’ scavando, riuscirà a portarlo nuovamente tra i viventi.
Nel concludersi del video quest’ultimo, con fare fascinoso, trafelato ed ottimista, si fa ripredendere mentre declama fiero: “Non c’è nessun episodio di pericolo che un gruppo di persone, con la giusta leadership e il senso del dovere, non possa risucire a risolvere. Perciò, non fatevi fermare dalla paura. Fate della vostra vita una magica avventura!” Che differenza, con la morale evidenziata nel patto dei quattro amici in Svizzera, il quale recitava pressappoco: “Non scieremo mai più fuori pista, quanto è vero il Mare.” E non è davvero facile capire quale approccio all’apprendimento situazionale, fra questi avversi due, fosse il più appropriato per conoscere un gradevole futuro.

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