L’incompreso simbolo del brutalismo berlinese: giù le mani dal bunker dei topi

Fino a che punto le colpe dei predecessori dovrebbero ricadere sui loro lasciti immanenti? Quale oscura battaglia, combattuta in mezzo a queste mura, dovrebbe condannarle all’irrilevanza e l’irrecuperabile demolizione? Sulle rive artificiali del Teltowkanal, al confine tra i quartieri di Lankwitz e Lichterfelde, una vecchia nave corazzata giace nella più totale immobilità e silenzio. Strane feritoie triangolari al posto degli oblò, chiaramente pensate per deviare il moto delle onde o i proiettili in arrivo. Le quattro alte ciminiere, che si stagliano perpendicolari verso il cielo. Il ponte di comando dalle ampie finestre puntato verso settentrione. I numerosi cannoni di un color blu intenso, pronti a una bordata devastante verso il vascello nemico. Eppure altri elementi sotto l’occhio degli osservatori, e al di sopra della loro testa, rivelano in maniera chiara l’effettiva realtà: scalinate metalliche che partono dal livello stradale, per accedere al primo livello della strana piramide in cemento armato. E le balaustre macchiate dall’umidità che circondano, in maniera indifferente, i viali d’accesso e l’ampio ingresso sopraelevato. Così che, fin dal giorno del suo ponderoso “varo” per un ordine dell’antico ospedale universitario della Charité, il gigante non si è mai spostato da questo luogo destinato a trovare l’inaspettate associazione. In una delle proprietà di maggior pregio situate lontano dalle strade di scorrimento, eppure in pieno centro a Berlino.
Largamente sconosciuto anche tra gli abitanti della capitale tedesca, o almeno così si dice, il peculiare Forschungseinrichtung für experimentelle Medizin (Centro di Ricerca per la Medicina Sperimentale) venne finalmente ultimato nel 1981, dopo svariate cause nella sua costruzione per mancanza di fondi, a partire dagli inizi degli anni ’60. Il suo scopo primario, che lo avrebbe visto utilizzato fino all’inizio degli anni 2000, consisteva in qualcosa di alquanto sgradevole, benché necessariamente molto attuale: la sperimentazione di farmaci sugli animali molto spesso vivi, che qui venivano allevati e custoditi a scopo di studio secondo le regole talvolta fluide dell’etica scientifica contemporanea. Proprio per questo, il nome comunemente utilizzato per identificarlo si è configurato negli anni nell’espressione descrittiva Mäusebunker, traducibile nella breve sequenza di parole “Bunker dei Topi”. Il che spiega, tra le altre cose, il bizzarro aspetto del sistema di ventilazione puntato nella direzione generica dei passanti tanto simile a una serie di bocche di fuoco, ma in realtà pensato per incamerare e veicolare grandi quantità d’aria negli stretti ambienti al centro dell’edificio, nei quali era considerato fondamentale mantenere l’isolamento con l’ambiente esterno. Finalità per la quale, inoltre, la coppia di architetti sposati Gerd e Magdalena Hänska avevano concepito il centro con un piano tecnico ogni due, al fine di permettere il ricircolo ideale del flusso catturato all’esterno del tronco piramidale che costituisce il bizzarro corpo dell’edificio. In cui ogni aspetto della progettazione, in realtà, ha un scopo ben preciso. E a ciascuna caratteristica della sua composizione generale, piuttosto di essere nascosta, è stato permesso d’influenzare l’aspetto esteriore nel suo complesso.
Ora in molti e per le ragioni più diverse, vorrebbero disfarsene in maniera permanente. Ma un movimento d’intellettuali, artisti ed architetti si è attivato negli ultimi anni, per cercare di mantenere integro questo iconico ed ingombrante pezzo di storia berlinese.

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Dalla Cina la campana che risuona grazie al sacro fuoco della curiosità intellettuale

Vista in superficie sembra soltanto un gadget, un altro strano giocattolo scientifico della variegata, celebre collezione di Tim Rowett, che potreste riconoscere come l’uomo più britannico di tutto YouTube. Personaggio singolare e distinto, dal raffinato accento, con un suo modo molto per esporre di volta in volta la funzione e la provenienza di alcuni degli oggetti più bizzarri e interessanti che gli riesce di reperire in giro per tutto il mondo. Cose come “La sorprendente campana di Yi”, compatto strumento musicale da tavolo, dotato di una caratteristica assai particolare: quella di suonare in due modi radicalmente differenti, alla temperatura ambiente e nel caso in cui sia stata, preventivamente, riscaldata sul fuoco fino a 100 e più gradi. Riuscendo a riprodurre in ciascuno dei corrispondenti casi, secondo quanto spiegato dalle istruzioni ufficiali facilmente reperibili online, il suono sordo di un pezzo di legno oppure quello armonico, e decisamente più gradevole, di una vera e propria campana in bronzo. Dualismo chiaramente dimostrato nel corso del suo video di appena 5 minuti, in cui con l’aiuto di un pirometro a infrarossi e l’incluso fornelletto ad alcol, facente parte della struttura dell’ingegnoso apparato, esamina e dimostra l’intero spettro della questione uditiva, senza inoltrarsi eccessivamente nel merito dell’effettiva provenienza ed etimologia del nome. Una di quelle questioni, d’altra parte, capaci di allungare in modo significativo il tempo necessario per una soddisfacente trattazione…
La campana di Yi infatti, o esperimento scientifico U30002 come sembrerebbe essere chiamata in molti dei possibili contesti, ha una provenienza contemporanea poco chiara ma una genesi remota tra le più certificate ed importanti: quella intenzionata a collocarne l’ispirazione, tra tutti i luoghi possibili, all’interno di una tomba risalente al 433 a.C. e ritrovata soltanto nel 1977, durante alcune manovre dell’Armata Rossa per la costruzione di una fabbrica a Leigudun. Luogo destinato all’eterno riposo, per l’appunto, del personaggio storico noto come marchese Yi del regno di Zeng, uno dei molti stati in perenne conflitto durante il periodo di continui sconvolgimenti sociali e politici passato alla storia con il nome di Primavere ed Autunni (722-421 a.C.). Uomo il quale, secondo quanto è solita affermare un’interpretazione piuttosto nota, preferiva “Al fascino insanguinato delle armi, il suono pacifico di una musica celestiale.” Affermazione che potrebbe sembrare fuori dal contesto, finché non si viene a conoscenza del più significativo degli oggetti ritrovati all’interno del suo mausoleo: il più massiccio, antico e significativo esempio di un bianzhong (编钟) che sia giunto fino ai nostri giorni senza essere passato più volte attraverso le mani di ladri di tombe, commercianti senza scrupoli e contrabbandieri d’arte. Finestra impareggiabile ed ancora funzionante, in altri termini, di quella che poteva essere la specifica musica rituale e di corte in un’epoca persino antecedente a quella della Grande Muraglia, oltre alla magnifica fattura metallurgica e reiterata di un qualcosa che, in Occidente, non sarebbe uscito da una forgia fino all’epoca delle grandi cattedrali: la campana in bronzo capace di produrre due note allo stesso tempo, a seconda delle esigenze e in base alle capacità del suonatore…

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Florida: il mistero di una sfera precipitata da molto, molto lontano

Nello scenario di una società con un livello tecnologico cronologicamente definito, la comparsa di un oggetto fuori dal contesto può avere significative derivazioni storiche, sociali e ingegneristiche. Immaginate, ad esempio, l’inspiegabile ritrovamento di un iPad nel XVI secolo, oppure un aeroplano che sorvoli all’improvviso Roma all’epoca di Leonardo da Vinci. In talune interpretazioni ipotetiche, il semplice verificarsi di simili eventi può essere il fattore scatenante alla base di una spinta evolutiva possente e inarrestabile: vedi il monolito alieno teorizzato in 2001: Odissea nello Spazio dallo scrittore di fantascienza Arthur C. Clarke. In casi alternativi, la portata del fenomeno non viene giudicata semplicemente abbastanza significativa da costituire, per l’opinione pubblica, poco più che una curiosità transitoria. Vedi le strane steli che si sono palesate, con una serie di entusiastici servizi televisivi, in giro per il mondo verso la fine dell’anno 2020. Ciò detto, in una società mediatica come quella contemporanea, difficilmente qualcosa di simile può verificarsi senza lasciare un qualche tipo di traccia. E ciò risulta vero adesso, come il 27 marzo del 1974, quando l’intera famiglia Betz riunita nella loro grande e vecchia casa solitaria sull’isola di Fort George, Florida, udirono un boato poco fuori l’uscio sul retro. Per precipitarsi immediatamente fuori, scorgendo qualcosa d’assolutamente inaspettato.
Fuoco tra i cespugli, come se qualcosa d’incandescente fosse precipitato dal cielo. E proprio lì in un angolo, ai margini del piccolo vialetto, una sfera metallica scintillante del diametro di 20 centimetri e 9,68 Kg di peso, con l’unico elemento riconoscibile di un segno triangolare. Zero saldature, bulloni o rivetti. Così l’imprenditrice femminista Antoine, l’ingegnere marittimo Gerri ed il figlio ventenne Terry, studente di medicina, incontrarono per la prima volta l’oggetto che avrebbe cambiato la loro vita. Sospettando, in un primo momento, che potesse trattarsi di un reperto archeologico, magari un’antica palla di cannone, così che presero la strana cosa e la poggiarono sul pavimento del salotto. E quella, senza nessun tipo di ragione apparente, cominciò a rotolare. “Niente di strano” direte voi, se non che la sfera dimostrò una propensione surreale a muoversi secondo schemi ed intenti apparentemente definiti. Ritornando al mittente, ogni qualvolta si tentava di allontanarla, e seguendo le persone da una stanza all’altra, come un gatto o un cane. Una volta messa sulla superficie sopraelevata di un tavolo, inoltre, essa dimostrava un’apparente intento di autoconservazione, cambiando direzione ogni qualvolta rischiava di cadere. Il giovane Terry, di sua spontanea iniziativa, registrò l’esito di una serie di esperimenti dal taglio prettamente scientifico, tra cui quello di percuotere delicatamente la sfera con un martello, producendo una sorta di trillo riecheggiante più volte. Ma la maggiore stranezza auditiva si sarebbe verificata, quasi casualmente, quando si trovò a suonare la sua chitarra nella stessa stanza del surreale “visitatore”; che immediatamente rispose alla vibrazione musicale con una serie di rimbombi armonici, paragonabili al suono di un organo da chiesa. Progressivamente, gli eventi iniziarono a crescere d’intensità, con la sfera che iniziava a muoversi misteriosamente di sua iniziativa, e strani suoni uditi in giro per i corridoi della casa. La famiglia decise quindi che qualcosa dovesse essere fatto, mettendo l’oggetto all’interno di una sacca affinché non “riuscisse a scappare via la notte” e contattando, responsabilmente, le autorità.

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Senza pista e senza le ali, avremmo continuato a chiamarlo aeroplano?

Un altro tempo, un altro anno, un altro universo. 1975: la base di risposta tattica dell’ALA “Talpa Nascosta” Nr. 45 reagì con prontezza al suono dell’allarme, per il decollo immediato di una squadra d’intercettazione, contro il rapido avvicinamento dei bombardieri nemici. Era il quarto giorno di guerra e come nell’ipotesi paventata fin dall’epoca di Einstein, una buona parte della superficie terrestre si presentava ormai ricoperta da una coltre nube radioattiva, sollevata dalla prima raffica di missili provenienti dal confine orientale. Intere città nella parte settentrionale della Francia, tuttavia, erano state temporaneamente risparmiate dal vortice di fuoco, richiedendo l’intervento vigile di quella particolare branca dell’aviazione ancora in grado, nonostante l’apocalisse, di portare a compimento dei risultati. Mentre il pilota Barrault prendeva posto nella cabina del C.450 Coléoptère assieme ai suoi 15 colleghi, un rombo cavernoso sovrastò la sirena: era dovuto all’apertura del coperchio superiore, non dissimile da quello di un silos usato per tenere nascosta la tipica arma di distruzione di massa. Il preciso protocollo di lancio, più volte messo in pratica durante le esercitazioni, prevedeva quindi il posizionamento in sequenza di ciascun caccia all’interno dell’angusto passaggio verso la superficie, per un decollo metodico e perfettamente perpendicolare alla stratosfera in paziente attesa. Trattenendo momentaneamente il fiato, Barrault si voltò quindi al di sopra della spalla destra sul suo sedile posto in orizzontale, per vedere il primo aeroplano che completato il breve periodo di riscaldamento e i test di volo, iniziava a sollevarsi con rapidità esponenziale, per sparire quindi dall’angusto spazio del suo campo visivo. Poi, accadde di nuovo. Due turni a seguire, venne finalmente il suo turno. Azionando quindi l’apposita leva, il pilota ruotò la sua posizione di 90 gradi all’indietro, ritrovandosi con lo sguardo rivolto in alto e il corpo adagiato in modo tale da assorbire l’impressionante accelerazione verticale. Stringendo impercettibilmente i suoi occhi come reazione alla luce distante, premette quindi il tasto di accensione; era il momento di far vedere ai russi chi comandava nei cieli d’Europa. Era il momento di spiegare le invisibili ali…
Volendo essere puntuali, d’altra parte, il nome stesso dell’aereo conteneva il suo segreto. Identificato per la prima tra la metà e la fine degli anni ’50 con il termine francofono per riferirsi ai coleotteri, un termine derivante dall’espressione greca koleópteros (ali nascoste) laddove quella dell’insolita proposta volante della SNECMA (Safran Aircraft Engines) era soltanto una, benché sotto mentite spoglie. Ovvero con la forma di un anello, costruito in modo tale da circondare la parte posteriore della fusoliera, le cui ruote direzionabili simili alla configurazione di una sedia d’ufficio, collocate sul retro del congegno, tradivano la rara eppure non sconosciuta posizione di decollo con la coda poggiata a terra ed il muso diretto verso il cielo, definita dagli anglofoni tail sitter. Ponendoci effettivamente di fronte all’ultimo siffatto approccio alla questione di un aeroplano VTOL (a decollo verticale) nell’epoca in cui la conveniente direzionabilità dei motori a reazione, in maniera analoga a quanto avviene in un moderno F-35 o i jet inglesi della serie Harrier, non era semplicemente ancora stata posta su di alcun tavolo da disegno. Lasciando ai progettisti l’unica metodologia possibile di voltare, senza troppe cerimonie, l’intero corpo del velivolo inusitato…

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