La baia canadese in cui l’oceano danza per l’origine dei continenti

In origine, era la Pangea. Ed ora un elefante parzialmente crollato, costruito in arenaria e conglomerato, sormontato da vegetazione rigogliosa nel clima umido della costa del Nuovo Brunswick, fa la guardia a una porzione ormai rimasta sola dell’originale ed unico super-continente. Come siamo giunti a questo punto? La risposta va cercata, ancora una volta, nell’impulso al cambiamento posseduto dai recessi esposti della Terra, sottoposti nel trascorrere dei secoli alla forza inarrestabile dell’erosione. Ma sarebbe approssimativo, e al tempo stesso superficiale, attribuire lo scenario unico della baia di Fundy solo al vento, la pioggia, il moto ricorsivo delle onde. Poiché se ciò fosse tutta la storia, altri simili recessi farebbero a gara, sulle guide turistiche del mondo, nell’attrarre l’attenzione della gente armata di macchina fotografica delle alterne nazioni. Qui dove al dividersi di ciò che un tempo era unito, la crosta terrestre e la litosfera si sono distese fino al formarsi di profonde spaccature o in termini geologici, rift riempiti dall’oceano, entro i quali molto gradualmente, col trascorrere dei secoli, furono depositati strati successivi di detriti. Fino al formarsi, attorno a 200 milioni di anni fa, dei rinomati graben ovvero sezioni della faglia poste ad un livello più basso, capaci di agire come naturali punti di raccolta delle acque, non importa quanto tranquille o in tempesta. Ma capaci di ricevere, soprattutto quando dimensione e forma degli spazi risultano perfetti per indurre l’effetto oscillante noto come risonanza, l’equivalenza liquida di una costante lavatrice naturale, corrispondente nel caso specifico a una marea dall’escursione verticale di 17 metri, che s’incunea nell’imbuto geografico situato tra le coste del continente nordamericano e la penisola di Nova Scotia, poco a meridione della regione di Terranova. Per un’altezza equiparabile, in altri termini, a una palazzina di tre piani, come ampiamente esemplificato dall’aspetto notevole di questa costa del tutto priva di termini di paragone.
Simbolo maggiormente rappresentativo di Fundy, frequentemente rappresentato nelle cartoline e altro materiale commemorativo in vendita da entrambi i lati della baia, risultano essere nel frattempo le notevoli rocce di Hopewell (dal nome della località) anche dette dai locali “vasi da fiori” per la forma esteriormente riconoscibile con la sommità di una certa ampiezza, ed il collo più stretto rimasto solo a sostenerne l’intero peso. Una visione vagamente surreale capace di ricordare gli scenari di Wile E. Coyote, sebbene trasportati in luogo oceanico piuttosto che la secchezza priva di confini dei vasti deserti situati nell’entroterra dei confinanti Stati Uniti. Ed ha costituito verso la fine dello scorso luglio un indubbio, nonché ampiamente giustificato momento d’orgoglio nazionale il momento in cui, al termine di un lungo processo di valutazione, questo luogo è stato inserito ufficialmente dall’UNESCO nell’elenco dei parchi geotermici patrimonio naturale dell’umanità, all’inizio di un percorso che potrebbe renderlo, nel giro di pochi anni, una delle attrazioni turistiche più importanti del Canada intero. Si tratta certo di una visita, questo resta evidente, con ben pochi termini di paragone nel pur ampio repertorio paesaggistico di un continente…

Leggi tutto

Progetto Skycar, l’orizzonte mai raggiunto di una vera macchina volante

“Se la vostra civiltà moderna è tanto grande, umano, allora perché la stragrande maggioranza dei veicoli che utilizzate per spostarvi su questo pianeta continua laboriosamente strisciare lungo inefficienti e pericolose strade asfaltate? Abbiamo studiato con interesse, da Alpha Centauri, i vostri film e videogiochi, e sappiamo quanta familiarità abbiate col concetto di un dispositivo di spostamento personale capace di attraversare lo strato superiore delle nubi argentate…” Qui il Grigio fece una pausa, la grossa testa con gli occhi bulbosi voltata, per quanto possibile con l’articolazione limitata del suo collo, verso la finestra panoramica dell’astronave, la città di Sacramento ormai poco più che un ammasso di luci grande come un pugno, che continuava a rapidamente a ridursi nelle dimensioni. Paul Moller, con un’espressione infastidita, guardò ancora una volta l’orologio portato al polso sinistro: “Ve l’ho già detto e ripetuto, sedicenti alieni. Le macchine volanti esistono da 50 anni e sono stato IO a inventarle; se non sono da tutte le parti ciò costituisce una chiara scelta del grande pubblico che, per non un motivo o per l’altro, non le ha volute. Ora abbiamo finito con questo rapimento? Sulla Terra ho un progetto per lo sfruttamento del carburante biologico, da perfezionare.”
Più in salute e fisicamente attivo che mai, il professore ormai in pensione, inventore e imprenditore di origini canadesi ma operativo in California di 84 anni si guardò intorno pensierosamente, apprezzando se non altro lo spazio utilitaristico dell’astronave interstellare. “E comunque, sia chiaro che neanche la vostra tecnologia è perfetta. Scommetto che questo arnese richiede anni ed anni di apprendimento, prima di essere pilotato con accettabile efficienza.” Il punto debole, come lui ben sapeva, della maggior parte delle tecnologie finalizzate al trasporto di esseri dalle proporzioni ragionevolmente antropomorfe: la semplicità di utilizzo. Ciò che aveva, da sempre, impedito all’uomo della strada di possedere un aeromobile a decollo verticale, poiché l’elicottero, in se stesso, costituisce una macchina che tenta costantemente di uccidere il pilota seduto nella sua cabina di comando. Mentre pensava questo, riandò quindi con la mente alla famosa seconda offerta di Henry Ford, che esattamente 10 anni prima della sua nascita, dopo il grande successo conseguito dall’automobile Model T aveva pensato di adattarne l’economica produzione al volo con ala fissa, mostrando all’America il monoplano Ford Flivver, un aereo economico, semplice, alla portata ideale di chiunque. Almeno finché il pilota sperimentale, perdendone il controllo, finì per schiantarsi nell’oceano presso Melbourne, dimostrando a tutti l’effettiva complessità del progetto.
Macchina volante, automobile fluttuante; la risposta al sogno, universalmente impresso nelle nostre menti, di potersi sollevare in cielo la mattina prima di andare al lavoro. Per atterrar soavi, soltanto una manciata di minuti dopo, nello spiazzo di fronte alla scrivania dell’ufficio. Un approccio veicolare che potrebbe, da un punto di vista individuale, migliorare sensibilmente la vita delle persone. E non c’è niente che Paul Moller abbia mancato di fare, nel corso della sua lunga e complessa vita professionale, nel tentativo di dare una forma valida e realmente pervasiva a questo concetto di vecchia data. Incluso reinvestire, con chiaro intento operativo, una cifra stimata attorno ai 100 milioni di dollari attraverso il reiterato trascorrere delle decadi, nel tentativo di veder staccarsi da terra quella che originariamente aveva chiamato Discojet, quindi Volantor ed infine, con un nome commerciale che resiste tutt’ora, M400 Skycar. Un qualcosa di al tempo stesso meno ambizioso, ma dal potenziale largamente più realizzabile, dell’auto del Professore in Ritorno al Futuro o i velivoli impiegati in Bladerunner e il Quinto Elemento. Eppur cionondimeno, largamente frutto di una possibile fantasia futura…

Leggi tutto

Un bruco senza i binari, ultimo treno verso il grande Nord

Incuneata tra le Alpi al confine tra la Svizzera e l’Austria, si trova lo stato del principato del Liechtenstein, in corrispondenza di un’importante arteria stradale romana. Utilizzata originariamente al fine di raggiungere la terra e i campi legionari di Brigantium, luogo di profonde miniere, fertili campi e un’intera popolazione ragionevolmente disposta a sottostare alle direttive del vasto Impero. Fin da quel distante mondo, dunque, ai successori degli antichi prìncipi fu concesso di mantenere il proprio potere, con il patto inespresso che il mantenimento della viabilità fosse non soltanto ragionevolmente valido, bensì eccelso sotto ogni possibile punto di vista. Con i suoi 160 Km quadrati d’estensione, dunque, potremmo definire il Liechtenstein come il paese meglio collegato al mondo poiché esso stesso costituisce, sotto molti punti di vista, il collegamento stesso. Ciò detto è chiaro che con l’aumentare di un territorio, tale mansione tende a diventare molto più difficile e complessa: vedi il caso dell’odierna Russia coi suoi 17 milioni di chilometri, le cui strade fuori dai grandi centri abitati sono semplicemente le più fangose e ardue da percorrere al mondo, oppure i sabbiosi sentieri dell’entroterra australiano, tanto pericolosi da giustificare la creazione di almeno un reality show sull’ardua vita dei camionisti. E per quanto riguarda le due maggiori nonché vaste superpotenze dei nostri giorni, la Cina e gli Stati Uniti…
All’inizio degli anni ’50, il già prolifico inventore e imprenditore originario dello stato del Vermont Robert Gilmour LeTourneau era l’uomo giusto, con l’idea giusta, al momento giusto; in quel periodo privo di certezze, tranne la latente sensazione che nel giro di qualche decade al massimo, l’incombente rombo di una squadra di bombardieri sovietici avrebbe risuonato nei cieli d’Alaska, dando inizio al conflitto a fuoco che sarebbe stato l’ultimo, il più veloce della storia. Ma che cosa, esattamente, questo progettista di veicoli da cantiere e filantropo devotamente religioso soprannominato “Colui che muove uomini e montagne” aveva effettivamente a che vedere, con una concatenazione d’eventi tanto grave e irrimediabile, almeno in linea di principio appannaggio di spietati guerrafondai con il binocolo in una mano e la valigetta dei bottoni nell’altra? Per rispondere a una simile domanda occorre definire prima di tutto l’ente governativo chiamato con l’appellativo TRADCOM, creato dopo il termine del secondo conflitto mondiale con lo scopo di risolvere il complesso problema logistico di un mondo moderno: Transportation Research and Development Command, organo dell’Esercito il cui primo compito sarebbe stato anche il più arduo da portare a termine. Sto parlando della costruzione della DEW (Distant Early Warning) line, sostanzialmente nient’altro che una serie di antenne radar e altre installazioni di avvistamento al di sopra dei confini canadesi, laddove l’Artico incontrava l’Alaska e, si riteneva, era situato il punto debole della nazione. Obiettivo per il quale era stata stimata la necessità di trasportare circa 500 tonnellate di carico tra materiale di costruzione, macchinari e provviste. Una missione potenzialmente impossibile o quanto meno terribilmente gravosa, a meno di trovare una diversa via tecnologica al fine di portarla all’auspicabile coronamento. Passaggio affine a quello offerto dalla recente implementazione fortemente innovativa, da parte di LeTourneau, di un concetto ormai largamente assodato nel mondo dei trasporti: la motorizzazione diesel-elettrica, sinonimo di una nuova, e più efficiente tipologia di treni…

Leggi tutto

La grave storia del ronzio che perseguita l’umanità

Descrivi il suono: simile al rumore che proviene da un motore diesel a basso regime, che riecheggia da una posizione lontana. Quanto devi concentrarti per riuscire a sentirlo? Abbastanza. In quale orecchio sembra essere più forte? Uguale in entrambe. Momento della giornata: più forte la sera ma udibile anche durante il giorno, se c’è silenzio. Da che anno hai iniziato a percepire The Hum? 1996. E così via, moltiplicato per letterali migliaia di testimonianze, ordinatamente disposte su una versione ragionevolmente interattiva di Google Maps. Lo scopo del sito del Dr. Glen MacPherson, matematico dell’Università della Columbia Inglese a Vancouver con oltre 16 anni di esperienza, non potrebbe apparire più chiaro: catalogare e connotare i numerosi episodi, verificatosi attraverso gli anni, di quello che gli studiosi chiamano da tempo in lingua inglese The Hum, ovvero letteralmente “il Brusìo” un suono misterioso, persistente ed a bassa frequenza, che persone isolate o intere comunità affermano di aver udito, attraverso la storia pregressa degli ultimi cinque decenni. Una condizione, questa, spesso giudicata dai medici come una forma cronica o ricorrente di acufene, ovvero suono inesistente generato dal nostro stesso apparato uditivo, sebbene ciò non spieghi la corrispondenza multipla di luoghi e momenti, né come Tom Moir possa essere riuscito, nel 2006, a incidere su nastro una registrazione del cosiddetto brusio di Auckland, in Nuova Zelanda, manifestazione particolarmente insidiosa ed insistente del problema presumibilmente attribuito a un’arbitraria percezione umana. Il brusìo si manifesta, generalmente, con la progressione ripetuta di una serie di suoni tra i 32 e gli 80 Hz, descritti anche come un tuono distante o subwoofer acceso a significativa distanza, sintonizzato sul rumore bianco di un canale privo di trasmissioni radio. Le cui conseguenze, come documentato in episodi precedenti, possono anche risultare spiacevoli dopo lunghi periodi, tra cui mal di testa, male al petto, nausea e fuoriuscita di sangue dal naso. Nei casi più estremi, come il primo riportato da centinaia di residenti della città di Bristol in Inghilterra verso l’inizio degli anni ’70, The Hum è stato riportato essere capace di far increspare i vetri, vibrare i vetri e persino danneggiare a lungo termine le fondamenta delle abitazioni, ponendo le basi di un problema certamente difficile da qualificare, ma non per questo soggetto ad essere completamente trascurato. Verificatosi nuovamente nel Regno Unito attraverso gli anni successivi e con un altro caso pervasivo nel 1980 a Largs, in Scozia, il Brusìo trova dunque il suo più celebre caso statunitense a Taos, in Nuovo Messico centrale, dove circa 10 anni dopo quel momento le testimonianze hanno iniziato a sovrapporsi, generando un’ampia serie di teorie cospiratorie tra cui esperimenti del governo, cause extraterrestri o attività illecite da parte di misteriose società private. Ma la diffusione a macchie di leopardo del brusìo, e la sua ricorrenza anche a distanza di molti anni, hanno quasi sempre impedito di qualificarne la natura al di là di ogni possibile incertezza…

Leggi tutto