I maestri delle palle dell’alta tensione

Sotto ogni rilevante punto di vista, il volo a motore è l’arte di chi sa gettare il suo sguardo lontano. Schiere di strumenti e tecnologie come i radiofari, il GPS e il pilota automatico, non possono cambiare il fatto che l’elemento più veloce dello spaziotempo sia la luce, e che gli occhi siano il modo più efficiente di percepirla ed interpretarla in maniera proficua. Perciò per chi vola a bassa quota, con gli scopi più diversi immaginabili (scattare foto al panorama, sfuggire al vento sovrastante, salutare la fidanzata sul terrazzo di casa) la vista diventa l’unica ancora di salvezza in una selva di pericoli sporgenti, tra cui palazzi, antenne, le chiome degli alberi o il profilo dei colli erbosi. E se il proprio velivolo appartiene, tra l’altro, alla classe dei piccoli aerei da turismo, la situazione è persino peggiore, in quanto diventa impossibile rallentare al di sotto della velocità di stallo. Se rallenta oltre i 50 Km/h, o li mantiene per un tempo eccessivamente lungo, persino il più piccolo Cessna cadrà giù. “Chi è il peggior nemico dell’aviatore?” Se mi rivolgessero una simile domanda, la mia mente correrebbe subito a quella struttura ricorrente, soprattutto negli ambienti di periferia: l’alto scheletro del palo della luce. Che non è in se stesso totalmente impossibile da evitare, ma sostiene un qualcosa di diabolico, nella sua pervicace tendenza all’invisibilità. È il filo. Disse un saggio: “Datemi una corda sufficientemente lunga, ed io v’impiccherò il mondo.” Non è soltanto un modo di dire… Le linee che collegano le centrali alla rete urbana sono molto, molto lunghe.
E se proviamo a pensarci bene, c’è un’altra cosa che si trova in quell’interregno crepuscolare tra il tramonto della campagna e l’alba dei palazzi cittadini: gli aeroporti. Una convivenza difficile con l’esiziale sagoma e le sue propaggini infernali, a dir poco. Poiché è inerente nel concetto stesso di “aviazione” l’esperienza di spingersi oltre i territori ignoti, ritrovandosi in uno spazio i cui pericoli, purtroppo, risultano tutt’altro che familiari. Si potrebbe così pensare che l’incidente letale, del pilota disattento che si trova ad impattare come la mosca in una ragnatela, sia del tutto ascrivibile all’incedere inesorabile del caso. E sarebbe forse proprio così, se non fosse per l’opera di alcuni inventori specializzati, e i coraggiosi che giorno dopo giorno, gli permettono di realizzare la loro visione. Non è purtroppo reperibile, su Internet, il dato di chi abbia pensato per primo ai marker aeronautici sferoidali. Forse più persone sono arrivate a questa conclusione in via parallela, oppure all’improvviso, come gli slimes di Puyo-Puyo, i grandi oggetti arancioni, gialli, bianchi e rossi hanno iniziato a fare la loro comparsa lassù in alto, svolgendo una funzione paragonabile a quella dei galleggianti in un bacino portuale. Delimitare, contenere e soprattutto, rendere visibile il pericolo, prima che sia già troppo tardi. In questo video di un manutentore delle linee dell’alta tensione, alias Helicoperlineman lo sforzo che si è disposti a compiere per poter dire di aver fatto tutto il possibile appare in tutta la sua palese ed ottima evidenza. Lavorando in tandem con un elicotterista dall’abilità niente meno che ineccepibile, l’operaio viene trasportato fino al punto cardine della missione, mentre si trova all’estremità remota di una passerella di metallo, tenendo in mano la cosa più simile ad un gran pallone da spiaggia. Ma che in realtà, può essere fatta in alluminio, polimeri plastici ABS o fibra di vetro: materiali fatti per durare nel tempo, insomma. Se devi fare le cose, tanto vale farle bene. Una volta fatto accostare delicatamente al punto d’interesse, l’uomo aggancia il filo con un apposito morsetto, che ha lo scopo di equalizzare il potenziale elettrico tra il mezzo volante e le pericolose scintille che fanno funzionare i nostri frigoriferi e forni a microonde. Già questo tipo di interventi, normalmente, vengono effettuati senza staccare la corrente, ma ciò è ancora maggiormente vero nel caso dell’installazione della sfera, che dovrà trovare posizione sul filo di messa a terra (una sorta di parafulmine) dove normalmente non scorre l’alta tensione. Ma se soltanto l’elettricità contenuta nel resto dell’ensemble dovesse scavalcare istantaneamente l’aria, come talvolta càpita, per andare a colpire un elicottero non protetto, sappiatelo: non soltanto lui ma anche il pilota, morirebbero istantaneamente folgorati. Questa è l’effettiva pericolosità di quanto stiamo per vedere…

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Premi qui per essere rapito da un drone

Molti di voi probabilmente non se lo ricorderanno, oppure non l’avranno mai visto. In fondo, ormai il problema è stato risolto. Ma quando Twitter era un sito in rapida crescita che non riusciva a far fronte all’alto numero di accessi, era solito mostrare un caratteristico messaggio di errore: “Mr. T è sovraccarico!” Diceva in inglese, con sotto l’immagine della prototipica balena fiabesca (sembrava quella di Pinocchio) faticosamente sollevata in aria, mediante delle funi strette nei becchi di una certa quantità di uccellini arancioni. La metafora, se vogliamo, era piuttosto chiara. E si trattava anche di una figura accattivante, sopratutto per la sua capacità di appellarsi al nostro spirito d’empatia: chi è che non ha mai desiderato di volare? Come un mammifero marino, oppure un sito web?! Sopratutto e nel caso specifico, tutt’altro che infrequente ai ritmi assurdi dell’attuale quotidianità, di trovarsi in ritardo per un importante appuntamento, trovandosi a tirare fuori il cellulare per chiamare l’altro…Quando all’improvviso… Prende forma un impossibile pensiero… “Se soltanto potessi superare il traffico, trovandomi a destinazione in un minuto.” Attenzione. Una rivelazione. La realtà che appare fra le pieghe dello spazio tempo: se vogliamo, possiamo avere un’anteprima del futuro. Basterà installare le giuste App sul cellulare. Dal che deriva quindi, la questione fondamentale: affidereste la vostra vita a Firefox, a Google Chrome? A Facebook? A Clash of Clans? Beh! “Se soltanto ciò potesse portarmi un minimo vantaggio personale, semplificando la seconda parte della faticosa settimana…” Sembra aver pensato quest’uomo dalla barba straordinaria, pienamente disposto a far da cavia per le nuove generazioni. Sopratutto visto il ruolo interpretato nel video di presentazione dell’Ehang 184 (una persona, 8 rotori, quattro piloni) il dron-one dell’omonima compagnia cinese di Pechino, destinato a spiccare il volo entro quest’estate nei già affollatissimi cieli di Dubai.
È una trovata, in effetti, tutt’altro che insignificante. Molti ormai hanno sperimentato la semplicità d’impiego e l’affidabilità superiore alle aspettative del diretto erede degli antichi modellini radiocomandati, un micro-velivolo che è al tempo stesso un hobby, un importante strumento video e qualche volta, ancora adesso, la tremenda arma militare che era stato da principio. Nel cui immediato domani, come continua enfaticamente ad illustrarci Amazon, potrebbe trovar posto il ruolo dell’autonomo corriere che consegna i nostri pacchi direttamente nel cortile di casa, in corrispondenza di un enorme QR Code. Vicini col cannone spara-rete permettendo, per non parlare di falchi, aquile, cani, gatti e i molti altri pericoli del mondo urbano trans-oceanico e trans-continentale. Però ecco, a ben pensarci, quale potrà mai essere la differenza, dal punto di vista dell’oggetto in se, tra il trasportare cose inanimate o esseri viventi? Umani, persino? Beh, tanto per cominciare, la scala dell’oggetto. Sollevare fino a 100 chili con una configurazione multi-rotore, e l’alimentazione solamente elettrica per contenere il peso, non è esattamente un qualcosa che il mercato consumer fosse preparato a fare, almeno fino gennaio dello scorso 2016. Quando si è iniziato a parlare, presso le fiere tecnologiche e i vicini ambienti di settore, del sogno finalmente realizzato col prototipo di Huazhi Hu, CEO della Ehang, che aveva perso in rapida sequenza un caro amico in un incidente con l’ultraleggero, subito seguìto dal suo insegnante di volo con l’elicottero. Portandolo a giurare che entro breve, grazie all’esperienza maturata tramite l’immissione sul mercato del suo drone radiocomandato di successo Ghost, egli avrebbe prodotto il metodo più sicuro, e moderno, per staccarsi da terra nell’assoluta e più totale serenità. Il che voleva dire, in parole povere, rinunciare del tutto ai comandi di volo. No, davvero! Aspettate a dire “È una follia!” Tutto nasce da un preciso calcolo dei rischi e dei possibili imprevisti. Giacché lo studio delle statistiche, su scala pressoché globale, ci dimostra come la prima causa di incidenti aerei sia l’errore degli umani. Perché non fare il possibile, dunque, per eliminarli dall’equazione…Così.
La cravatta omessa per ovvie ragioni di sicurezza relative all’imbarco su un velivolo con i rotori all’altezza delle caviglie, il fascinoso uomo d’affari carica quindi la sua valigetta nel portabagagli. Con un sorriso che denuncia grande sicurezza, apre lo sportello e si accomoda sul sedile di volo con mega-tablet incorporato. Meditando per pochi secondi, preme un paio d’icone, guarda dritto verso l’orizzonte e preme GO. Se doveste avere il coraggio di seguirlo, scoprirete molte cose…

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Pilota veterano spicca il volo grazie all’autorotazione

Ken Wallis Flight

L’avevano chiamato pazzo e invece, guarda qui, adesso! No, non lui. Questo è Ken Wallis, beneamata personalità dell’aviazione inglese impegnata in uno dei suoi celebri voli della terza età, decollando ben oltre il confine dei 90. Stavo parlando invece di Juan de la Cierva, l’uomo che nel 1923 ebbe ad inventare questa particolare classe di velivoli, i primi a compiere dei voli significativi grazie allo strumento di un’ala rotante. Che non erano, in alcun senso immaginabile del termine, degli elicotteri: in primo luogo perché le pale del rotore principale, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non erano motorizzate. Da cui il nome: autogiro, benché l’amore moderno per i termini immediatamente comprensibili ci abbiano portato a ribattezzarli, in epoca più recente, come girocotteri. Ma ciò è molto meno descrittivo. E soprattutto, ingiustificatamente derivativo da quell’altro tipo di ventilatore volante, a noi molto più familiare. Mentre tre prototipi successivi di quell’epoca, C1, C2 e C3, assomigliavano piuttosto a degli aerei, con elica di trascinamento (ovvero, posizionata davanti) ali convenzionali dotate di superfici di controllo ed in AGGIUNTA, come una sorta di optional bizzarro, l’elica posizionata parallelamente ad esse, che aveva uno scopo ben preciso ed in un certo senso, persino evidente: impedire lo stallo dell’apparato volatore. Come mai, tanta preoccupazione? Tutto aveva avuto inizio nel ’21, quando l’ingegnere aeronautico spagnolo di Murcia aveva avuto l’occasione di partecipare ad un concorso dell’esercito, per la progettazione di un bombardiere a tre posti da usare nell’allora futura, già paventata ma ancora distante, seconda guerra mondiale. Se non che il suo presunto capolavoro, durante i primi test di volo, venne fatto rallentare troppo dal pilota, che trovandosi privato della portanza, quella forza che le ali generano ricevendo un forte flusso d’aria, cadde rovinosamente giù (fato dell’individuo: a me ignoto). Il che portò de la Cierva alla comprensione di come, se soltanto avesse potuto concepire il primo mezzo volante privo di questo problema, avrebbe non soltanto reso un gran servizio all’umanità. Ma si sarebbe pure guadagnato un posto a pieno titolo nella storia dell’aviazione. Ed anche i diritti sulle concessioni del brevetto ai produttori, perché no…
Fast-forward 90 anni: chi, cosa, come? Siamo in molto pochi, temo, ad avere familiarità con simili dispositivi volanti, con la possibile esclusione di chi è un appassionato specialistico di questa specifica branca dell’aviazione, oppure i semi-giovani che ben ricordano il videogioco per Super Nintendo, Pilotwings. O ancora, tutti coloro che siano abbastanza cresciutelli, o in alternativa appassionati di cinema, da aver visto il film del 1967, “Si vive solo due volte” con Sean Connery nel ruolo di James Bond. E nel ruolo di quest’ultimo a sua volta, per lo meno in una delle scene culmine della vicenda, proprio quello stesso protagonista del nostro video di apertura, quel Ken Wallis che, pur non essendo mai stato chiamato pazzo, di folli macchine volanti se ne intende, eccome! Sopra il monte Shinmoedake nel Kyushu, un vulcano tutt’ora attivo, per ore ed ore, a bordo del suo fido Wallis WA-116 Agile dall’elica a spinta, uno dei più piccoli autogiro mai costruiti…. Proprio per questo soprannominato “Little Nellie”. L’aveva fatto lui, con le sue mani. Benché dubito che potesse essere fatto a pezzi e messo in una serie di valige, come fatto nella trama cinematografica da Q, lo scienziato variabilmente pazzo (anche lui ha le sue giornate) che lavora ormai da decadi per la versione immaginifica del MI6. E che in questo caso, ci aveva visto giusto, considerato come i girocotteri di concezione moderna presentino notevoli vantaggi, sopratutto nelle mansioni di sorveglianza che una spia potrebbe, teoricamente, trovarsi ad affrontare in terra straniera: sono leggeri, non eccessivamente rumorosi. Pur non potendo effettuare il vero e proprio volo stazionario, essi possono rallentare fino al punto che, nel caso in cui ci sia un forte vento, puntare il muso in direzione contraria gli permetta di restare pressoché fermi in aria. Ed anche questo, può servire. Essi sono, inoltre, molto più facili da pilotare dell’alternativa dotata di rotore, avendo in effetti solamente alcuni accorgimenti da tenere rispetto ad un aereo convenzionale, laddove l’elicottero, notoriamente, tende ad uccidere saltuariamente i piloti che facciano il benché minimo errore ai comandi. E poi, sopratutto: non possono entrare in stallo, ovvero perdere troppa velocità e conseguentemente, cadere. Ciò era stato dopo tutto l’obiettivo principale del suo inventore: giacché un girocottero che perda completamente il suo motore, continuerà comunque a procedere per la sua strada, e il suo rotore principale, viste le sue particolari caratteristiche aerodinamiche, non cesserà affatto di girare. Il velivolo, così, potrà essere portato a toccare terra con delicatezza successiva alla sopravvivenza. Esattamente come un aereo ed anzi, anche meglio di esso: la ridotta velocità, infatti, ridurrà di molto la probabilità d’impattare contro qualcosa di solido, come un muretto, e/o inamovibile, come una quercia. E poi, lo sapevate? Può farlo anche l’elicottero. Proprio così…

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Dalle ceneri risorto: l’aeromobile possente di Piasecki

Piasecki PA97 Helistat

Se c’è un terreno intriso dello spirito dei sogni infranti, questo è certamente il campo d’atterraggio della Stazione Navale d’Ingegneria Aerea di Lakehurst, 25 miglia ad est-sudest della città di Trenton, nel New Jersey. Un luogo che non molti conoscono per nome, ma che fu famoso nell’immaginario collettivo, a suo tempo, almeno quanto l’iceberg che aveva condannato il Titanic nel 1912, fra le oscure, gelide acque dell’Atlantico Settentrionale. Mi sto riferendo, per usare un antefatto celebre, al disastro meno costoso in termini di vite umane ma altrettanto significativo nella storia dell’ingegneria progettuale, del possente Hinderburg, l’oggetto volante più grande mai costruito dall’uomo (245 metri di lunghezza). Che proprio in questo luogo, il 6 maggio del 1937, fu tragicamente distrutto da un incendio scatenatosi in fase di atterraggio, divampato a causa dell’idrogeno che usava per restare in aria, sostituito al più sicuro gas elio per l’embargo commerciale tra Germania e Stati Uniti. E fu a seguito di questo evento che, nel giro di pochi anni, finì il sogno commerciale della ditta produttrice Luftschiffbau Zeppelin, a causa dell’inevitabile fallimento, assieme al sogno delle grandi navi passeggeri dell’aria, un metodo per spostarsi da un lato all’altro del globo ritenuto all’improvviso, troppo costoso, poco pratico, pericoloso. Privo di un futuro. O almeno così apparve all’epoca e per diverse decadi a venire.
Fast Forward fino al più recente 26 aprile del 1986: di nuovo presso il campo aereo dell’87° squadrone c’è il vociare della folla, che trattiene il fiato per la vista di un qualcosa di straordinario. Si tratta però questa volta di ufficiali e addetti ai lavori, provenienti da diversi organi statali, invitati per assistere al volo inaugurale di un mezzo di trasporto dotato si di pallone più leggero dell’aria, ma tuttavia rientrante nella categoria dei velivoli dinamici, ovvero dotati di sistemi a motore per massimizzare la portanza. Proprio così, avete capito bene: entrambe le caratteristiche, allo stesso tempo. Un Leviatano come il PA-97 Helistat, sia in termini di costi che prestazioni potenziali, non si era mai visto prima. Né sarebbe ritornato dopo, almeno fino all’epoca contemporanea. La sua vista faceva tremare gli occhi nelle orbite e spaventava gli uccelli a miglia di distanza, per il rombo dei suoi possenti e plurimi motori. Il suo destino sarebbe stato spropositato, se non fosse per l’orribile, tremenda fine a cui sarebbe andato incontro di lì a poco. Ora, osservando il mostro a posteriori, sarebbe certamente facile criticarlo con enfasi, come hanno fatto molti dei commentatori al video di apertura: davvero, pensavano che avrebbe funzionato? Ecco un Frankestein ingegneristico, nato dall’incontro di elementi totalmente differenti tra di loro. In cui il corpo centrale dell’aerodinamico pallone lungo 104 metri, per il resto non dissimile da quello dell’illustre quanto sfortunato predecessore, vedeva l’aggiunta nella parte inferiore di una struttura metallica reticolare, alla quale erano stati assicurati niente meno che quattro elicotteri Sikorsky H-34, residuati dell’epoca della guerra del Vietnam. Privati ad arte del rotore di coda, diventato del tutto inutile in una tale configurazione, sostanzialmente l’anticipazione del concetto di un quadricottero, secondo quanto ci è ormai familiare nel comune drone telecomandato. Ora la domanda primaria che potremmo porci è: perché? C’era, chiaramente, un obiettivo chiaramente definito. La strana creatura, fuoriuscita dagli hangar della compagnia del pioniere del volo di origini polacche Frank N. Piasecki, avrebbe di lì a poco generato una forza verticale tale da poter sollevare fino a 25 tonnellate, come da precisa richiesta del servizio forestale degli Stati Uniti. Sarebbe dunque diventato, di lì a poco, la manifestazione lungamente ritenuta desiderabile dell’aerologger, un mezzo tecnologico in grado di sollevare un’intero carico di legna, dai luoghi più remoti immaginabili, per trasportarlo senza strade fin dove ce ne fosse la necessità. Una missione impossibile. Un sogno eccezionale. Destinato, ancora una volta, a naufragare in un disastro totalmente inaspettato.

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