La piccola città che ha voluto inventare il culto del curculionide del cotone

Nei racconti dell’orrore cosmico scritti da H.P. Lovecraft, l’adorazione di antichi dei extraterrestri ha influenzato e modificato profondamente il funzionamento della psiche umana attraverso il susseguirsi dei lunghi secoli di storia. Fino al caso estremo di talune comunità come l’immaginaria Innsmouth della contea di Essex, Massachusetts, dove l’influenza di tali esseri inconoscibili ed innominabili ha raggiunto un punto tale da causare mutazioni anche fisiche nell’aspetto e nell’organismo delle persone. Ma non ci sono veri e propri uomini pesce nella cittadina da 28.000 abitanti di Enterprise, situata nello stato dell’entroterra dell’Alabama (del resto, non sarebbe stato di sicuro appropriato) quanto un certo numero di strane personificazioni dai multipli arti sovrapposti, accompagnati da un lungo naso. È possibile notarne la presenza lungo un percorso tematico chiamato ufficiosamente la Weevil Way (Strada del Curculionide) dove un filare di statue in fibra di resina posizionate di fronte ai negozi ed istituzioni rilevanti sembra voler puntualizzare e ribadire insistentemente l’insolito crossover: abbiamo così l’uomo-insetto poliziotto, il pompiere, il cuoco, il dottore. E persino varianti più specifiche, come il coleottero antropomorfo vestito con l’abito del clown di McDonald, o quello che a giudicare dal suo segnale aspira ad ottenere la carica di sindaco del paese. Non che rischierebbe di ricevere una quantità risicata di voti, a giudicare dalla quantità di omaggi apprezzabili nei confronti della sua specie disseminati lungo la parte centrale del centro abitato, a partire dal murales di grandi dimensioni sulla parete di un edificio adiacente la grande piazza, raffigurante un contadino sopra cui grava l’ombra di un sovradimensionato esponente della stessa specie, questa volta di un tipo perfettamente conforme al proprio aspetto di tipo naturale, prelevato direttamente dalla specie di origini messicane Anthonomus grandis, più comunemente detto boll weevil, o “punteruolo del fiore/frutto di cotone”. Il cui omaggio di maggiore importanza storica può essere individuato nella statua vagamente neoclassica posta nel centro esatto della statua quadrata del paese, in cui una figura femminile solleva le braccia sopra la testa, impugnando un grande trofeo con l’effige tridimensionale della creatura in questione, identificata da una placca come “araldo della prosperità” e “catalizzatore del cambiamento”. Va pur notato, d’altronde, come per i primi 30 anni dalla sua costruzione per volere dell’uomo d’affari Bon Fleming ella tenesse in mano una semplice fontana. Ma le cose cambiano col tempo, così come il bisogno di rendere omaggio a chi tanto danno aveva arrecato. Davvero niente male, per una creatura misurante un massimo di 6 mm e che almeno dal punto di vista storico, dovrebbe essere considerata come uno dei principali nemici dell’umanità.
Se le analisi statistiche hanno ormai da tempo dimostrato che la zanzara ucciso il maggior numero di persone, trasmettendo la malaria ed altre orribili afflizioni, non credo possano esserci dubbi sul fatto che il maggior danno di tipo economico arrecato in tutta storia pregressa dell’emisfero occidentale possa essere collocata per l’appunto attorno alla fine del XIX secolo, nei dintorni di questa zona ed a causa di un minuscolo coleottero dal rostro acuminato, sistematico distruttore di quella che aveva costituito, fino a quel momento, l’industria più importante dell’intera parte meridionale degli Stati Uniti americani. Persino, contrariamente a quanto ci si sarebbe potuti aspettare, quattro decadi dopo l’emancipazione degli schiavi come parte del 13° Emendamento (18 dicembre 1865) che aveva dato inizio ad una serie di cambiamenti radicali nell’organizzazione sociale ed economica del paese. Coadiuvata, soprattutto in campo agricolo, da una serie di contingenze collaterali, la prima delle quali avrebbe finito per giungere sulle ali di un flusso di migrazione internazionale…

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Scoperta l’altra rana che si nascondeva sotto il muschio di palude vietnamita

Quante volte, quanto tempo, quali giorni. Dei molti trascorsi allegramente, presso i margini più esterni della giungla nella florida regione di Việt Bắc. Con un sacco di amicizie, un sacco di cartine e un piccolo sacchetto d’erba, coltivata nei giardini della nostra pura sussistenza. Cibo…Fumo… Nutrimento, per l’anima e qualche volta la mente, utile al prolungamento dei momenti in cui dimenticare quel Difficile bagaglio di pensieri ereditati dalle circostanze. Questioni semplici & leggere, s’intende. Alterazioni lievi che non violino la legge di Hanoi. Niente che potesse giungere a creare un allucinazione… Come questa? L’erba che cammina? Quattro zampe ed una testa triangolare, un paio d’occhi neri che si affacciano dal bordo del sacchetto trasparente? E un suono tanto ripetuto ed insistente… Che riecheggia tutto attorno ai tronchi, senza nome e privo di una chiara direzione o provenienza. Come il canto stupefacente di un uccello, ma tradotto nella lingua dei roditori. “Ahimé ho visto un topo, un topo fatto d’erba.” Se non fosse per il modo in cui insisteva a muoversi, poco prima d’inoltrarsi fino al bordo di quel tronco. E quando con un balzo lieve, va per scomparire sotto il pelo dello stagno. Plof!
Questa una delle diverse circostanze, assai possibili ma non verificabili, in cui una siffatta creatura potrebbe essersi introdotta all’occhio degli spettatori umani. Accidentalmente, come si confà a creature tanto timide e incostanti, assai remote per l’estendersi del proprio habitat, tutt’altro che semplicemente raggiungibili, persino dalla scienza più determinata. Per cui se dici Theloderma fuori da un determinato ambiente, tutto ciò che ottieni è un senso di totale indifferenza, forse accompagnato dalla classica scrollata di spalle nei confronti di quel genere assai poco noto. Purché tu non stia parlando con figure professionali come quella del Dr. Tao Thien Nguyen del Museo Naturale del Vietnam ad Hanoi e i suoi diversi colleghi tedeschi, collaboratori dello studio pubblicato alla metà di marzo dedicato all’approfondita descrizione, e prima classificazione tassonomica, di quella che può soltanto essere una specie totalmente nuova: la T. khoii, trovata a 1.320-1.750 metri d’altitudine sopra il livello del mare. Una maestosa raganella, ricoperta di tubercoli sporgenti, la cui livrea su varie tonalità di verde appare totalmente indistinguibile da un pacco di muschio pressato venduto spesso nei negozi di modellismo. O altre… Più divertenti o alternativamente amorali concrezioni d’erba. Così come le altre sue parenti già note alla scienza, appartenenti a una ventina abbondante di specie diverse, assomigliano volutamente a strati di corteccia, foglie morte o addirittura guano d’uccello. Poiché chi vorrebbe mai provare ad assaggiare un simile rifiuto posto ai margini del sentiero? Fatta eccezione per l’eventuale cane… Coprofago… S’intende…

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Il significato pratico e spirituale di un incontro con il lupo nero del Minnesota

La ragione per cui la natura è giudicata “semplice” o “selvaggia” va generalmente ricercata nel rapporto molto umano tra le immagini e il pensiero, ovvero l’interpretazione pratica delle diverse contingenze situazionali, che realizzano la propria essenza nel susseguirsi delle passeggiate o escursioni di ciascun giorno della nostra vita. Con i presupposti più inimmaginabili e distinti, vedi quello dichiarato dallo stesso Conrad Tan, fotografo del cosiddetto stato dei 1000 laghi, che volendo visitare il favoloso parco naturale dei Voyageurs, dice ora di averlo fatto per lo scopo di “Poter guardare un wallpaper che lui stesso aveva creato” unendo in questo modo l’utile al dilettevole, ovvero l’informatica del mondo moderno all’ancestrale fascino della natura, intesa come il tipo di soggetti, animali e inconsapevoli, che meglio riescono a far bella figura tra le fronde digitalizzate e gli altri pixel che compongono il tipico desktop dei nostri grigi PC. Il che non toglie la possibilità, a noi persone dalle più accessibili esigenze, di apprezzare il suo lavoro e incorniciarlo in quel contesto, senza preoccuparci necessariamente della provenienza o di non disturbare con il flash l’affascinante cane… Lupo che campeggia al centro dell’inquadratura frutto di una tanto approfondita competenza fotografica ed il senso imprescindibile dell’avventura.
Poiché questo non è l’animale che semplicemente incontri nel cortile, bensì la versione originaria di quel tipo di creatura, intesa come il Canis lycaon della classificazione al tempo erronea di Linneo, proprio perché almeno in apparenza ben diverso dal C. lupus di cui Cappuccetto Rosso sembrava non conoscere la ferocissima fisionomia. Ma in merito al quale, resta chiaro, colei o colui avrebbe potuto giovarsi di un più istintivo ed immediato terrore se soltanto fosse stato nero come la notte, rispecchiando nella sua tonalità la cupa fame che riusciva a connotare ogni potenziale interazione con eventuali bambine umane. E “Che occhi grandi che hai!” avrebbe potuto rispondere l’animale stesso, dinnanzi all’espressione del celebre naturalista svedese trovatosi dinnanzi a una creatura tanto rara e preziosa. Proprio perché, contrariamente a quanto si potrebbe essere inclini a pensare, il lupo nero è una creatura ben distinta con un percorso genetico particolare, che l’ha relegata al giorno d’oggi solamente in dei particolari ambienti tra cui l’Europa meridionale (incluse parti dell’Italia, tra cui il Trentino e l’Appennino Tosco-Emiliano) ed un paio di grandi parchi nazionali statunitensi: Yellowstone e i Voyageurs. Dove ormai soltanto un numero particolarmente ridotto di visitatori ancora ricorda il vero significato dell’incontro con un Lupo dello Spirito, come tendevano a chiamarlo con indubbia deferenza gli abitanti indigeni di queste due regioni, ogni qual volta lo incontravano lungo il sentiero variabilmente onirico delle proprie peregrinazioni. Un esperienza capace di rivelarsi, ogni singola volta, trasformativa…

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La corona di piume dorate sul solenne sovrano del gruismo d’Uganda

Gioia, orgoglio ed entusiasmo sono i sentimenti che traspaiono nello spezzone in cui Megan, guardiana dello zoo di Columbus (Ohio) mostra il risultato di tante ore di condivisione dei momenti con la sua fedele amica Maybelline, un magnifico esemplare di gru coronata grigia proveniente dall’Africa Orientale. E sarebbe assai difficile negargliene il diritto. Quanto spesso capita, d’altronde, di poter conoscere direttamente una creatura straordinaria al pari di un favoloso unicorno, ippogrifo o inimmaginabile chimera dei bestiari medievali? A un tale punto appare fuori dal comune, questo uccello disegnato dal pennello di un pittore consumato, la livrea perfettamente armonica in un susseguirsi di colori contrastanti: bianco, nero, grigio, rosso sulla gola ed il marrone sulle ali. Fino all’ornamento letterale frutto di un sentito vezzo dell’evoluzione, consistente nella cresta di uno sfolgorante tonalità giallo dorato. Oh, invitato d’onore nella grande festa dedicata all’alba di una nuova Era! Oh, perfetto paradigma di cosa può essere o talvolta diventare la Natura! Quando l’ora è “giusta” e i materiali del tutto “adeguati” a compiere il miracolo del tutto inusitato dell’esistenza. Una visione degna di comparire al tempo stesso in un libro d’arte, ed il catalogo dei più tangibili volatili di questo mondo. La vera e incontrastata protagonista della scena, quando la corrispondente umana di quei mistici momenti allunga il braccio in senso parallelo al suolo, un gesto concordato tra le due per dare inizio all’agile balzo, che porterà l’uccello guardarla dall’alto in basso, prima di procedere a nutrirsi col becchime che costituisce la sua ricompensa finale. Eppure, il tutto con un’iperborea grazia o attenta ed innegabile delicatezza, di un paio di zampe lunghe e flessibili come quelle di una cavalletta gigante, sollevate ed appoggiate delicatamente sopra l’arto facente funzioni di un pratico trespolo nel sottobosco. Questo perché la Balearica regulorum, assieme alla specie consorella tanto simile della B. pavonina o gru nera coronata, costituisce il raro esempio di un volatile alto un metro e di 3,5 Kg di peso, che ancora nonostante tutto preferisce soggiornare lungamente sopra i rami degli arbusti più imponenti, al fine di riuscire a sorvegliare ed elevarsi dal pericolo costante dei suoi molti predatori. All’interno di quel vasto areale, capace di estendersi dalla Repubblica Democratica del Congo, fino all’Uganda, il Kenya ed il Sudafrica, dove il territorio tende a sovrapporsi a quello della controparte dal piumaggio più scuro. Oggetto di una lunga disquisizione tassonomica, in merito al fatto che le due potessero costituire a conti fatti mere variazioni della stessa discendenza, se non fosse per gli aspetti più profondi rilevati grazie agli strumenti dell’odierna analisi genetica di laboratorio. Una via d’accesso confluente alla più diretta osservazione di questi esseri, per carpir le implicazioni di un conveniente approccio alla vita, l’Universo e tutto il resto…

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