La scena di una grande battaglia persisteva presso il margine di un mondo: le dozzine di migliaia d’imbarcazioni, con le vele parzialmente ammainate o abbattute ad estendersi sul bagnasciuga della Sardegna. Ed i letterali cumuli appuntiti dei loro nemici, in un susseguirsi di spirali quasi inanellate tra le sabbie e i sassolini dell’inconcepibile clessidra del tempo. Giorni, minuti, ore: concetti ormai scomparsi per le moltitudini di questo luogo e che d’altra parte, nessuna delle due fazioni aveva mai davvero incapsulato come schema del pensiero latente. A cosa potrà mai servire, d’altra parte, contare le albe ed i tramonti, quando non si ha nessuna capacità di vederli? O l’effettiva inclinazione a distinguere il sonno dalla veglia, come attimo transiente in cui le membra smettono di muoversi e in maniera imprescindibile, cala l’oblio. “Ah, quanto dev’essere complessa la vita degli organismi di superficie. O che vivono al di sotto, della superficie.” Avrebbero potuto dire i violacei soldati dallo stolido elmo di colore viola, la cui intera esistenza della vita adulta era consistita nel galleggiare continuando a compiere la sequenza d’azioni che più d’ogni altra era capace di definirli: trarre un singolo respiro, emettere saliva e avvolgerla solidamente intorno al pegno risultante. L’ultima perlina di una sorta di tenda, costituita di traslucidi filari sovrapposti. In un certo senso, l’approssimazione del mollusco al concetto di un uscio di casa. In un altro, la sua astronave verso le regioni di un infinito cosmo Mediterraneo. L’oscura prateria capace di costituire, generosamente, l’ultimo scenario delle sue prede.
Giacché proprio questa è la testimonianza, ovvero lo scenario oltre la lente offerta dalla grande livella dell’incomparabile tempesta, destinato a palesarsi innanzi agli occhi dei potenziali bagnanti per un giorno di maggio nell’anno 2017 (e molti altri prima o dopo di esso) come riportato nello studio di Betti, Bavestrello, Bo e Coppari, sul tema del comune ultimo destino delle due specie, Velella velella e Janthina pallida T, rispettivamente un tipo di medusa trasportata unicamente dalla corrente e il flusso delle maree, ed una lumaca semi-galleggiante destinata più o meno allo stesso destino. Due rappresentanti della categoria di esseri viventi noti neston, per la loro propensione ad occupare, e trarre beneficio, da due elementi allo stesso tempo. Di cui la seconda risulta essere, di gran lunga, quella maggiormente ostile nei confronti della placida e passiva controparte…
molluschi
Oltre un secolo e non sentirlo: l’esasperata metafora parassitaria dell’ipnolumaca
Ah, il GUANO, che magnifico sapore! La deiezione dei pennuti, colazione dei campioni. Escrementi che piovono dai cieli, ovvero: piatti prelibati, i più pregevoli alimenti! Così mentre deambulavo alacremente, l’umida scia un tracciato diagonale sulle foglie, ebbi l’improvvisa ispirazione di dirigermi verso la fonte di quel delicato aroma. L’invitante aurifero sentore di gusci d’insetto consumato, liberi lombrichi, qualche pezzo chitinoso di uno scarabeo danzante. Un pasto sopraffino per un cuore di lumaca dentro il guscio, come il mio, meschino. E sgranocchiando, trangugiando ed espiando, nel profondo, non compresi fin da subito quello che era capitato al mio Destino. Giorno 5: tutto a posto, a parte la sgradita sensazione di un corpuscolo nell’occhio sinistro, o per meglio dire quel tentacolo che lo sostiene, nei molluschi di terra. Poco male, dopo tutto? Basterà che aspetti pazientemente, prima di poter tornare a ritirarlo dentro il corpo centrale. Giorno 10: oh, sventura. L’occhio pulsa e si trasforma, è gonfio, pieno e dolorante. Vedo strani e plurimi colori, avverto un cambiamento nel profondo del mio essere. Cosa diamine c’era, all’interno di quel GUANO traditore?
Leucochloridium paradoxum è l’ingrediente, o per meglio dire la condanna vermiforme, che caratterizza il gravido protrarsi di un così terribile frangente. L’infezione di trematode esteriormente accattivante (e Dio/Demiurgo può saperlo, quante ce ne sono a risultarne tali!) che trasforma la tranquilla chiocciola nella palude in un’attraente versione tangibile e mollusca del più eclettico personaggio del cartoon Futurama, l’ipnorospo. Le cui pupille cambiano continuamente geometria, al rimbombo sottilmente inquietante di una nota metallica ed aliena. E di certo tra gli uccelli molti devono essere gli appassionati di una tale serie, se crediamo alla visione non del tutto scientifica, secondo cui le povere lumache infette a questo punto si trasformano in letterali esche ambulanti, con due approssimazioni ragionevole di bruchi sulla testa. Che ogni passero, ogni merlo, qualsivoglia corvide o gabbiano vorrà fin da subito fagocitare. Nel momento stesso in cui gli riuscirà d’avvistarlo. Ed è proprio qui il nesso, l’effettivo nodo dell’intera questione. Poiché se provate a cercare, anche soltanto per un attimo, su Internet la storia di quel parassita, verrete bombardati da definizioni quali “zombificatore di lumaca” oppure “controllore ostile dei gangli mollicci” per il modo tutto suo, reale o presunto, di riuscire a trasformare il comportamento dell’ospite tutt’altro che volontario. Creando una lumaca che spontaneamente tenderà a salire verso l’alto, nei luoghi assolati o pienamente esposti. Ove risulti più probabile l’incombente predazione ad opera di uno dei suddetti produttori di GUANO. Ah, la natura!
L’oblungo insetto nero che infigge la sua testa nel cuore della lumaca
In un sistema di valori basato sulla ricompensa delle buone azioni, e la commisurata punizione dei gesti malvagi, può sembrare necessaria l’elaborazione della dimensione parallela definita con il termine di “Aldilà”, dotata di un davanti ed un dietro, dove ciascun individuo può essere smistato in base al sentiero che ha percorso fino all’ultimo dei propri giorni di esistenza terrena. Accanto a un tale approccio alla questione, in Estremo Oriente, sussiste d’altra parte il valido sistema che prevede l’utilizzo della vita stessa per gratificare i viventi, o in casi alternativi confinarli nel recinto dell’estrema punizione simile a un supplizio che neppure Dante, nei suoi giorni migliori, avrebbe saputo tradurre nelle armoniose terzine della origini della letteratura italiana. Sto parlando a voler essere specifici di una casistica del tutto giapponese, così come a un simile contesto nazionale appartiene la più prossima equivalenza terrena di un demonio cornuto, l’affilato forcone stretto tra le sue mandibole e impiegato per trafiggere instancabilmente le anime di quelli che dovrebbero in teoria aver fatto qualche cosa per meritarlo. Un legge soggettiva ed altrettanto universale, questa del contrappasso karmico delle culture parallele, che in qualche modo ci consola ed al tempo stesso rassicura. Poiché come potremmo spiegare altrimenti, il comportamento del Damaster blaptoides?
Terrena manifestazione dell’odio per tutto ciò che ha un guscio e striscia sul terriccio umido alla ricomparsa dell’astro solare. Tormentatore di quelle creature semplici, ermafrodite, perennemente alla ricerca di melmose o marcescenti fonti di cibo. Inoffensive, tranquille, silenziosissime lumache. Il cui grido di terrore, se soltanto potesse essere udito da orecchio umano, congelerebbe e addenserebbe il sangue stesso nelle nostre vene. Come dolorosa conseguenza di molti millenni d’evoluzione, sufficienti a renderle comparativamente impervie all’assalto di una vasta gamma di predatori. Finché nella continua corsa agli armamenti perseguita dalla natura, qualcuno di sapientemente attrezzato non si presenta nel mezzo del cammino scelto di una semplice giornata di primavera. Per compiere sprezzantemente il singolare gesto, che gli riesce meglio di qualsiasi altra cosa al mondo. Dopo tutto, ad osservarlo, nessuno potrebbe dubitare che lo scarabeo carabide di terra noto in termini informali come “mangiatore di lumache” o “cappello di lumaca” (maimaikaburi/マイマイカブリ) sappia rendere perfettamente omaggio ai suoi soprannomi. Rapido ed affusolato con la forma vagamente simile a una zucchina, le lunghe zampe abili a manovrare un corpo della lunghezza di fino a 7 cm sormontato da mascelle a tenaglia, tranquillamente sufficienti a farne un potenziale predatore per una larga maggioranza degli insetti del suo ambiente di provenienza. Ma perché, in definitiva, faticare, quando l’effettivo corso delle circostanze pregresse si è dimostrato abile a fornirgli un pasto niente meno che perfetto e significativamente più semplice da consumare? Colei o colui che inconsapevolmente striscia, sperando di essere del tutto impervia ai rischi di una simile portata situazionale. Benché l’inclinazione dell’ago della grande bilancia che regola l’interazione tra i viventi, in quel fatale giorno, sembri avere un’opinione ben precisa sul suo domani…
L’orrido dualismo tra il tesoro degli abissi e morire intrappolati dall’ostrica gigante
Secondo il testo taoista parzialmente autobiografico dello Huahujing (Conversione dei Barbari) nel momento in cui l’umanità divenne sufficientemente consapevole dell’esistenza del Dao, dinnanzi alla luce del sole si formò una nube formata dalle tre energie fondamentali, Jing, Qi e Shen. Quindi, consolidando la sua essenza sul sentiero della luce, il Venerabile Signore che risiedeva in essa scelse di vivere una vita sulla Terra, concretizzando se stesso come il nascituro nel predestinato grembo della Fanciulla di Giada del Mistero e delle Meraviglie. Secondo il filippino-americano Wilburn Dowell Cobb, in visita presso il suo paese natìo nel maggio del 1934, la presunta immortalità del divino Lao Tzu fu tuttavia dovuta al possesso di un singolo talismano: la raffigurazione scolpita di se stesso, Buddha e Confucio, delicatamente posta all’interno di un mollusco affinché fosse ricoperta da strati multipli di rigida ed impenetrabile conchiolina. Più e più volte, il profeta avrebbe quindi trasferito l’oggetto all’interno di un’ostrica più grande, fino all’ottenimento di un bulboso ammasso bianco del peso di 6,3 Kg dalla forma approssimativa di tre volti, lungamente identificato come la perla più congrua al mondo. Successivamente al suo ritorno nel Regno Celeste, il sacro talismano sarebbe rimato quindi tra i mortali, passando tra una dinastia imperiale e l’altra, fino ad essere trasportato segretamente nell’arcipelago delle Filippine, dove Cobb ebbe modo di ottenerlo come ricompensa per aver salvato dalla malaria il figlio di un capo villaggio. Una vicenda molto affascinante di cui effettivamente, soltanto l’ultima parte parrebbe contenere un tenue barlume di verità, visto il modo in cui il precedente proprietario della reliquia, non del tutto ignoto alle cronache, avrebbe in seguito identificato la perla come il “turbante di Allah”, per la sua presunta somiglianza con il copricapo e il volto del fondatore dell’Islam. Ed ovviamente, l’effettiva provenienza del divino talismano, il quale applicando la semplice regola del rasoio di Occam, poteva solamente nascere dall’opera di un singolo animale molto imponente, piuttosto che l’improbabile trasferimento presunto dal suo possessore, evidentemente impreparato su questioni relative alle formidabili capacità ed il ciclo vitale del genus Tridacna. Più comunemente detto delle ostriche/vongole giganti o alternativamente, assassine, data la leggenda secondo cui potrebbero idealmente chiudersi in corrispondenza della gamba o braccio di un nuotatore disattento, intrappolandolo senza possibilità di scampo fino al sopraggiungere dell’annegamento. Il che potrebbe anche essere fisicamente possibile, data la dimensione acclarata di fino a 130 cm di ampiezza degli esemplari più grandi, la forma ondulata del loro guscio bivalve e l’effettiva tendenza, agevolata dal possesso di una lunga fila di ocelli primitivi, a serrarsi non appena un’ombra si palesa nei più immediati dintorni, con conseguente percezione da parte del subacqueo di un’improvviso spostamento d’acqua commisurato alla grandezza della stranissima creatura. Benché si tratti nella realtà dei fatti di un’attività motivata dal bisogno di proteggersi dai predatori, piuttosto che da eventuali ed improbabili aspirazioni carnivore della bestia nella conchiglia, che si nutre effettivamente di semplice plankton filtrato mediante l’utilizzo di un efficace sifone. Vittime non poi così dissimili da ciò che lei stessa era stata, nelle settimane e mesi successivi alla fuoriuscita dal minuscolo uovo fluttuante…



