L’unica pizza con il proiettore dentro

Pizza Obscura

Si pensa generalmente, a margine del tema alimentare, che se una pietanza fosse in se dotata di occhi vitrei, per guardare il commensale durante l’intero corso del suo pasto, sarebbero davvero in poche le persone in grado di pensare alla conversazione. Che poi è il motivo per cui normalmente, alle tavole di mezzo mondo, gli animali vengono decapitati prima di trovar la dubbia dignità della cottura. Ve la immaginate, una bistecca che vi fissa con intensità ferina? O una lepre portata a tavola completamente intera, con tanto di coda a batuffolo per sottolinear l’essenza del suo sempiterno saltellare, lassù nei pascoli dell’aldilà? Giammai, impossibile. Fa eccezione facilmente il pesce, che come creatura è abbastanza diversa da noi mammiferi nella morfologia, e per questo meno facile a costituire la materia del problematico quanto istintivo affetto interspecie. Ma ecco nascere problemi nuovi: non più soltanto la cernia, la spigola, la vernaccia cotta sopra il fuoco, con lenti per testimoniare l’affamata spietatezza, ma a partire da codesto giorno, addirittura, cose dalle origini diverse. Puramente inanimate, in quanto tali, benché ottime al palato, e fatte fiorire in modo totalmente innaturale, da quel che era stato il grano, il pomodoro, il latte dei bovini ben cagliato: PIZZA, consegnata da un comune fattorino. Tutt’altro che normale, in se e per se, perché dotata di un foro ed una lente, gli strumenti sensoriali del vedere, tanto potenti che…Possono offrire una finestra verso mondi inaspettati, l’antico fascino delle immagini fittizie, eppure in grado di muoversi, per l’effetto di un motore giustapposto. Stiamo parlando di cinema, baby!
È una nuova trovata realizzata a sostegno della catena Pizza Hut, e in modo particolare dagli uffici Hong Kong-esi della grande agenzia Ogilvy & Mather, consistente nell’instradamento attentamente calcolato dei principali processi produttivi a margine della consegna a domicilio. In questo senso, dal punto di vista dei materiali, non è una campagna eccessivamente costosa: consiste nell’impiego da parte delle filiali regionali di una nuova linea di scatole di cartone, adeguatamente illustrate per suggerire un’idea dei “vecchi tempi e grandi schermi” con stampe in quadricromia di robot, mostri e cose simili, oltre ad un foro tratteggiato da ricavare sulla parte anteriore di ciascuna, con un semplice gesto, ma soltanto una volta al sicuro all’interno dell’abitazione ricevente. A ciascun ordine, quindi, è stato aggiunto questo piccolo ma fondamentale gadget: una lente biconvessa, incorporata ad incastro in quell’elemento in plastica, simile a un tavolino per le Barbie, che i negozi dediti all’invio di pizze a domicilio usano talvolta, specie negli ultimi tempi, per proteggere la pietanza dal problematico, quanto tendenzialmente inevitabile, contatto diretto con il suo coperchio cartonato. Una volta separate le due parti vetro-plastica, quindi, il cliente noterà un ulteriore grado di furbizia progettuale. Il ferma pizza ha una forma tale da poter fungere come stand per il cellulare. Ecco, mistero svelato. Tutto quel sistema altro non sarebbe, a conti fatti, che un semplice quanto efficace proiettore. Che funziona grazie ad un princìpio antico, lo stesso alla base dell’intero mondo moderno della fotografia, sia analogica che digitale: il dispositivo ottico della camera oscura. In parole povere, prima di mangiare la pizza, la multinazionale già nota per alcune ottime campagne di viral marketing invita chi l’ha scelta a preparare il campo. Chiudere le finestre, tirare le tende (in alternativa, aspettare la sera per piazzare il proprio ordine) e liberare una parete. Quindi, aprire il foro apposito e incastrarci la lente, con il proprio smartphone già tenuto saldamente dentro l’altra mano. Ciascun ordine include pure, infatti, un codice univoco, da usarsi per scaricare uno a scelta tra alcuni cortometraggi indipendenti, attentamente selezionati dal reparto marketing per costituire il punto cardine dell’intera operazione. Premuto il tasto play, quindi, non c’è più tempo da perdere! Si posiziona attentamente il telefono all’interno della scatola, procedendo per gradi nel trovare la corretta distanza dalla lente, determinando la messa a fuoco, poi si chiude il tutto e ci si mette ad aspettare. Grazie all’accelerometro contenuto nella maggior parte dei dispositivi telematici moderni, non c’è neppure bisogno di controllare il verso: si può star certi che il video partirà rigorosamente invertito sopra-sotto. Perr-fetto. Ah, un’ultima cosa: la pizza l’avevate già tirata fuori dal cartone, giusto?

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Gara di trabucchi per l’assedio che non c’è

Trebuchet competition

1453: per più di mille anni, la città era esistita. Le sue strade rumorose, i mercati carichi di cibo e merci e regalìe lontane. Dal suo trono di avorio ingioiellato nel grande palazzo sacro, l’Imperatore aveva fatto costruire templi, statue dinastiche, piazze munifiche e giardini sconfinati. Lo splendore della saggezza, ormai perduto al mondo della civilizzazione, ancora resisteva dietro a quelle porte di Selymbra, decorate dall’immagine dell’aquila a due teste incoronata, con la lunga coda selvaggiamente simmetrica e gli artigli tesi verso un invisibile nemico. Più e più volte, nel corso dei secoli, il barbarismo che imperversava da un lato all’altro del mondo conosciuto aveva tentato di penetrare in quel sacrario antico, attratto dai miti di ricchezze inconoscibili e l’offesa del concetto stesso di un qualsivoglia ordine costituito che potesse ancora esistere, faticosamente insistere, pesando sopra un tempo in cui le orde si inseguivano con spada, lancia e frecce sanguinarie. Si dice: “Nessun muro può essere più forte dei soldati che hanno ricevuto il compito di difenderlo” e ciò costituisce, in effetti, un inno verso le meraviglie dell’ingegno umano, il riconoscimento che tutto è possibile quando una mente fervida si applica nel perseguire l’obiettivo, per quanto irto sia il sentiero da seguire. E tale affermazione fu più volte riconfermata negli assedi dell’intero mondo antico, così come altrettanto valida sarebbe rimasta per tutta l’epoca di un lungo e cupo tempo medievale. Ma chi, davvero, era presente alla difesa di un luogo come l’intramontabile Bisanzio, quel sito che i romani presero sotto l’egida del loro imperium, rinominandola per farne un centro commerciale prima, una capitale decentrata in seguito, e nelle ultime battute, tristemente, l’ultimo residuo baluardo di un’intera civiltà? I soldati fisicamente armati sulle fortificazioni costruite da Teodosio, sul progetto leggendario del prefetto pretoriano Antemio? Costantino XI stesso, coi suoi ufficiali e servitori, l’ultimo rappresentante di un’intera linea ininterrotta dal quarto secolo al quattordicesimo di stasi, crescita interiore, studio e riflessione sulle arti umane? Oppure la somma di entrambi queste due cose, presente e passato, saldamente uniti per difendere tutto quello che era, la montagna dei ricordi, le immisurabili opportunità per il futuro…Perché quando venne l’ora, lungamente attesa da quegli altri, di scagliare pietre contro le alte mura, si scoprì che non importava quanto fosse grande, possente o spaventosa la catapulta o l’onagro da assedio a disposizione, i più pesanti macigni rimbalzavano contro i bastioni, con un suono sordo e nessun danno duraturo a far da testimone per il tentativo. Non si poteva praticare una breccia nelle mura di Costantinopoli! L’unico modo di colpirla, a conti fatti, era tirare sopra ed oltre quelle merlature. Oltre il baluardo e dritto verso il cuore di un’invalicabile testuggine, così come lo erano state, tanti anni prima, quelle fatte con gli scudi dei conquistatori provenienti da occidente. Ed era un bel problema da risolvere, questo, che per molti anni avrebbe eluso i cercatori ingegneristici di un metodo per prevalere, i genieri, i minatori, tutti coloro che l’esercito in marcia del nascente impero Ottomano manteneva ben nutriti ed al sicuro, senza colpo ferire fino a che…Non restava altra scelta, che affidarsi ai loro metodi e saperi. Così giunse dal Corno d’Oro il temuto sultano Mehmed II, con i suoi giannizzeri ed alcuni prototipi di una macchina spaventosa, costruita in gran segreto nelle officine della Tracia, ad Edirne. Era un oggetto strano e misterioso, eppure stranamente carico di aspettative.
Il trabucco: il terrore. La semplice forza gravitazionale, che dovrebbe attrarre unicamente verso il basso, trasformata ed asservita al desiderio dei conquistatori, con lo scopo di trasmettere un particolare movimento su di un braccio, lungo ad una sola estremità, per meglio moltiplicare la rapidità del movimento. Faticosamente armato, alzando con pulegge o corde il contrappeso inchiavardato, poi bloccato alla precisa altezza necessaria. Segue un attimo di pausa, giusto il tempo di guardare verso l’odiato nemico, rivolgergli maledizioni e chiedere al destino la fortuna di raggiungere il bersaglio; quindi, trattenendo il fiato, si tira via il sistema di bloccaggio, con un gran colpo sopra il perno trasversale e…Ciò che era immobile, ritorna fluido, riconferma la ragione della sua esistenza in un semplice gesto, come quello di chi lancia un sasso sopra un fiume. Ma pesante, questa volta, 100, 160 Kg di smussata ed inquietante forza distruttiva. Se si pensa ad un razzo spaziale dell’epoca dei progetti Apollo, è significativo osservare come una buona parte della sua massa, i primi due o tre stadi del giganteggiante razzo Saturno V, servisse unicamente a trasportarlo fin oltre gli starti superiori dell’atmosfera. Una percentuale minima dell’intero viaggio compiuto fino alla Luna, compiuto da un modulo comparativamente molto più ridotto. E così erano gli assedi medievali, quando condotti tramite l’impiego dei trabucchi: treni di bagagli, bovini per trainarli, tonnellate di legna da assemblare sulla base di un progetto attentamente disegnato. Tutto in nome di un piccolo sasso e i suoi compagni, che potessero colpire gli obiettivi chiave dietro mura impenetrabili, arrecando un danno sufficiente per costringere alla resa gli abitanti del castello. Questa evoluzione tarda delle tradizionali macchine da assedio a torsione dei romani, basata su un concetto fisico al tempo stesso molto più semplice e gravoso da mettere in opera, iniziò a palesarsi presso i campi di battaglia dell’area mediterranea attorno al dodicesimo secolo, come attestato da diversi testi e manoscritti sia cristiani che musulmani. Esiste tuttavia la prova che versioni più primitive della stessa macchina fossero già in uso in Cina, fin dall’epoca arcaica delle Primavere ed Autunni (750-454 a.C.) quando i seguaci della disciplina del Mohismo e della sacra matematica, con intento chiaramente filosofico, aiutavano i signori della guerra costruendo ogni sorta di complesso implemento distruttivo. A quell’epoca, il trabucco più utilizzato era del tipo a trazione, sarebbe a dire fatto funzionare con la pura forza muscolare, da una o più persone, con l’obiettivo di scagliare il più lontano possibile i proiettili a disposizione. Simili armi trovavano ottimo impiego in campo navale, e trovarono successive corrispondenze anche nel remoto passato d’Occidente. L’imperatore bizantino Niceforo II Foca (regno: 963-969 d.C.) ad esempio, fece impiegare dalle sue truppe contro gli emirati di Aleppo un dispositivo simil-trabucco trasportato a spalla, in grado di scagliare massi per disturbare le formazioni nemiche. Ad ogni azione, corrisponde una reazione…

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Oggi cuciniamo la comune batteria stilo

Battery maker

AAA, mancano i veri MacGyver di una volta. AA, piuttosto, ci troviamo sempre a dire inconsolabili: non è possibile, non si può fare, è del tutto inaccessibile per le mie doti. Finiti su di un’isola deserta, assieme a un carico di batterie a bottone, tireremmo fuori dalla borsa il telefono satellitare, che invece ne voleva solo due, ma di mini-stilo. E imprecando contro l’ironia del fato, lì resteremmo. Per mangiare cocco fino all’ultimo dei giorni, della nostra lunga oppure breve vita. L’aneddotica delle vicende umane è piena fino all’orlo di racconti come questi, con un taglio estremamente indicativo dei secondi fini della narrazione. Quello stesso prologo, dell’aereo che precipita, della nave naufragata, è sempre l’inevitabile preludio di un ricco viaggio di scoperta personale. In cui l’individuo rimasto solo, gradualmente, apprende che l’ingegno medio è spesso sufficiente, per sopravvivere laggiù fra i gridi di gabbiano, senza l’aiuto della società. Ma addirittura prosperare, superando le aspettative dello spettatore, quella è tutta un’altra storia…
NurdRage è il giovane scienziato con la voce sempre alterata digitalmente, forse uno studente canadese amante della privacy, che da qualche anno offre al mondo i video dei suoi esperimenti e le molteplici invenzioni che produce. Fra i suoi campi preferiti, a giudicare dai recenti successi, va senz’altro annoverato il campo delle batterie stilo. Lui, che le smonta e poi ricostruisce, che le scarta, che le apre, che ne esplora i limpidi segreti, con gran dispetto delle compagnie produttive. E che addirittura, in questo caso, le costruisce in casa! Possibile? Tutto vuolsi, ove si puote. Si tratta di una pratica ricetta, ecco qui cosa ci vuole: per prima cosa, un paio di siringhe ipodermiche, o anche più, a seconda del bisogno. La loro forma cilindrica di plastica, a quanto pare, è pari nel diametro a quella della pila stilo. Strana coincidenza, quasi…Intenzionale. Un colpo o due di pinze, per ottenere la lunghezza esatta. Tale pratico involucro trasparente, quindi, sarà rivestito nella parte interna di un foglio di zinco, misurante 50 x 30 mm. Un oggettino per nulla inusuale, che si compra normalmente al supermarket (quello canadese. Forse, non saprei.) E adesso, guarda, viene il bello. Da un barattolino (maneggiansi con guanti belli spessi) ecco lui che tira fuori del veleno sopraffino, l’idrossido di potassio, che ivi versa, come niente fosse, dentro a un bricco d’acqua trasparente, messo quindi lì da parte a dissolversi, come un Alka-Seltzer. Nell’involucro plasticoso del suo divertimento precedente, invece, costui ci mette del diossido di manganese (?) Bene avvolto nella carta e pronto da fumare come l’erba, all’apparenza. Però nero quanto l’anima di chi comunemente inquina, senza mai sapere come riciclare… Oppur la pratica mina di matita, messa, guarda caso, lì a fare da conduttore. Ecco che, a questo punto, l’insieme avvolto e multi-strato viene immerso dentro al liquido semi-biancastro appositamente preparato e lì lasciato, per un tempo medio. Lui consiglia una giornata. Ciò “attiverà gli elettroliti” permettendo alla carica d’ingenerarsi, dentro al circuito così ben costruito. Sarebbe difficile crederci, se gli occhi non ci assistessero nell’ardua impresa: quand’ecco, nel finale, lui che mette i due cilindri dentro al corpo cubico di un’orologio digitale. Ed esso vive, per Frankenstein!

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La vita con un mini-termitaio sulla scrivania

Termitat

Siamo recentemente giunti in prossimità di quel periodo dell’anno in cui si pensa, soprattutto, a cosa regalare. Ed è difficile, nell’odierno panorama del commercio informatizzato, non essere sviati dalle mille offerte, dalle strane merci e dai poliedrici gadget divergenti, offerti da tanti portali e siti dell’E-Commerce, di un domani senza centri commerciali, né negozi, ma soltanto schermi, il gesto di cliccare e soprattutto l’intenzione di spuntarla ancora. Cosa regalerai a tuo suocero, se non un drone a forma di banana? E a tua cognata un orsetto gommoso di 30 cm, rosso e verde e giallo, tremulo quanto una tazza di budino. Ma il dono più importante, questo è noto, frutto della percentuale maggiormente ragguardevole d’ogni comune tredicesima, sarà per noi medesimi homines novi, tutt’altro che immuni dai richiami del possente marketing virale. E qui, apriti cielo e corda del borsello. Perché tutti sono pronti a venderti qualunque cosa, addirittura: un sogno. Parliamone per due minuti.
Chris Poehlmann, dall’alto della sua fiammante campagna di Kickstarter, ci offre la possibilità di possedere il più incredibile dei passatempi. Immaginate un topolino bianco, sotto una campana di vetro, con un pezzo di prezioso camembert. L’intero apparato, come da preciso manuale, fatto per essere esposto in casa vostra, da guardare e rimirare, onde trarne un gran divertimento. Sarà, questo piccolo animaletto, perfetto e sempre in salute, per un tempo esatto di tre anni. Non dovrete mai pulirlo. Ogni giorno mangerà il formaggio, senza che questo, miracolosamente, accenni ad esaurirsi. Ed ogni sera lui vi guarderà, coi suoi teneri occhi neri, ringraziandovi di una così gradita prigionia. Ecco, Termitat: quasi la stessa cosa. Con una piccola distinzione: se per caso, non volesse il Fato, vi dovesse cadere la campana, ed infrangersi, potreste perdere la casa. Ebbene si. Whoops! L’ho chiamato topolino bianco? Ecco, l’errore è quasi perdonabile, visto come questi esserini rosicchino, anche loro, tutto il santo giorno. Senza contare che anche il colore è uguale: puta caso ci trovassimo in Australia, queste qui le chiameremmo, senza timore di fraintendimento, le piccole Formiche Bianche. E in America, dove le case sono tanto spesso in legno, forse con maggior sofismo d’espressione: il terrore di chi abita, il nemico del geometra, l’orrido demonio che sminuzza. Ma non ci formalizziamo e poi del resto, le abbiamo nominate già nel titolo! Termiti tipiche, tutte quante tese a sopravvivere, mangiando.
La distinzione, che normalmente è il dove, questa volta è invece il come. Giacché nessuno mai, nel corso della storia nota, ha mai portato insetti di questa genìa tra le proprie quattro mura. Preferendo dopo tutto, persino i biologi incalliti, gli entomologi e tutti gli altri curiosi, di andarsele a cercare nel profondo di svettanti boschi, tra la polvere ed il nulla delle praterie, ‘ste animelle. E per forza! Non c’era Termitat, aha. Chris Poehlmann, nel suo video di presentazione, illustra l’origine ed i punti chiave dell’idea. Che gli venne qualche tempo fà, a seguito dell’interessante esperienza lavorativa di mettere assieme un habitat per insetti sociali in un museo californiano. Lui allora, che aveva lavorato in questo particolare campo da oltre 25 anni ed era ormai stanco delle solite formiche, prese lì l’iniziativa, senza precedenti, di affettare un grosso ramo di abete e chiuderlo nel plexiglass, assieme a qualche ottimo esemplare di Zootermopsis angusticollis, le termiti della costa del Pacifico, largamente odiate dall’Oregon allo stato di Washington, dal Montana alla Columbia Inglese. Il risultato fu fantastico, a vedersi.

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