L’elica da dirigibile del primo treno iperveloce

Vi siete mai chiesti quanto a lungo possa resistere un record di velocità su rotaie? Che ne dite di 86 anni? Certo, perché sussista un caso tanto incredibile, occorre limitarsi a una categoria estremamente specifica: “Treno più veloce… Con il motore a benzina.” Niente energia elettrica accoppiata ad un motore diesel dunque, come si usa fare ai tempi moderni. Ma persino allargando il campo a tutte le alternative immaginabili, il veicolo Schienenzeppelin dalla lunghezza di 25 metri ed il peso di 20,3 tonnellate, sarebbe rimasto il primo dall’epoca della sua costruzione, il remoto 1929, fino a ben 23 anni dopo il suo ritiro, per il nuovo record stabilito dalla locomotiva Alsthom CC 7121: era ormai il 1954, ed “appena” 230 Km/h non avrebbero più impressionato nessuno. Ciò che rende davvero unico l’antecedente tedesco, tuttavia, è il metodo stesso scelto per la sua propulsione, poiché si tratta essenzialmente di un raro esempio di treno con propulsione ad aria. Ovvero spinto innanzi dalle pale di un’elica di frassino e soltanto quella, posta nella sua parte posteriore neanche si trattasse di un bombardiere sperimentale dell’intercapedine cronologica tra le due guerre. Ipotetico velivolo da cui, del resto, traeva in massima parte anche la sua filosofia costruttiva. L’aveva progettato infatti Franz Kruckenberg, ingegnere aeronautico, che a differenza di tutti i suoi colleghi non credeva fermamente nel grande futuro dei dirigibili, a causa dell’alto contenuto di gas infiammabile a base d’idrogeno e il conseguente alto potenziale d’incendi. E pensare che il disastro dell’Hinderburg, che avrebbe fatto la storia nel 1937, era ancora ben lontano dal verificarsi. E di strane idee ne aveva anche un’altra, relativa all’impiego civile degli aeromobili di qualsivoglia tipo: egli amava ripetere che i loro costi e la complessità di manutenzione fossero troppo elevati per qualsiasi contesto d’utilizzo, escluso quello bellico relativo alla sopravvivenza di una nazione. Così tutto quello che gli rimaneva da proporre all’industria dei trasporti, in effetti, era un mezzo di trasporto che si spostasse via terra. Questo non significava, per sua fortuna, che egli avrebbe necessariamente dovuto spostarsi a velocità di lumaca.
Non è davvero noto se Kruckenberg si fosse nei fatti ispirato al suo unico insigne predecessore, nel campo della ricerca e sviluppo, operativo da un capo diverso del continente: il russo Valerian Abakovsky, che nel 1917 era riuscito a far raggiungere al suo Aerowagon su rotaie ben 140 Km/h, grazie all’impiego di un altro motore da aereo, ben più piccolo ma comunque performante. Nient’altro che un vagoncino, concepito per trasportare gli ufficiali sovietici, che sfortunatamente subì un tragico deragliamento nel 1921, costato la vita a 6 persone tra cui lo stesso inventore del mezzo. Ma per la versione proveniente dalla Germania della stessa cosa, come tante volte sarebbe successo in seguito durante quell’epoca di grandi progressi tecnologici, fu scelto di non badare a spese. Sembra strano parlare di un dispositivo sperimentale tedesco che non sia stato il prodotto delle aspirazioni imperialistiche del fallimentare partito nazista, eppure lo Schienenzeppelin proveniva palesemente da un contesto del tutto diverso, quello della repubblica di Weimar e l’estetica della scuola d’arte Bauhaus, in cui il modernismo dell’Art Dèco veniva sposato all’estremo razionalismo di tutto quello che sarebbe venuto dopo.
Questo veicolo dunque, costruito nello stabilimento di Hannover-Leinhausen della Deutsche Reichsbahn (Ferrovia Imperiale Tedesca) avrebbe assunto un’aspetto esteriore dai notevoli propositi aerodinamici, ma nel contempo rassomigliante ad una sorta di astronave di uno sfrenato futuro d’esplorazioni spaziali. I romanzi del francese Jules Verne, dopo tutto, erano ormai stati assorbiti da oltre un ventennio ad opera della nascente cultura di massa, mentre già cominciavano a palesarsi i primi autori della cosiddetta epoca classica della fantascienza, come Edgar Rice Burroughs e Philip Francis Nowlan. In quel momento più che mai, il domani appariva chiaro. E l’ombra oscura della guerra, un fantasma ancora distante.

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Dalle ceneri risorto: l’aeromobile possente di Piasecki

Piasecki PA97 Helistat

Se c’è un terreno intriso dello spirito dei sogni infranti, questo è certamente il campo d’atterraggio della Stazione Navale d’Ingegneria Aerea di Lakehurst, 25 miglia ad est-sudest della città di Trenton, nel New Jersey. Un luogo che non molti conoscono per nome, ma che fu famoso nell’immaginario collettivo, a suo tempo, almeno quanto l’iceberg che aveva condannato il Titanic nel 1912, fra le oscure, gelide acque dell’Atlantico Settentrionale. Mi sto riferendo, per usare un antefatto celebre, al disastro meno costoso in termini di vite umane ma altrettanto significativo nella storia dell’ingegneria progettuale, del possente Hinderburg, l’oggetto volante più grande mai costruito dall’uomo (245 metri di lunghezza). Che proprio in questo luogo, il 6 maggio del 1937, fu tragicamente distrutto da un incendio scatenatosi in fase di atterraggio, divampato a causa dell’idrogeno che usava per restare in aria, sostituito al più sicuro gas elio per l’embargo commerciale tra Germania e Stati Uniti. E fu a seguito di questo evento che, nel giro di pochi anni, finì il sogno commerciale della ditta produttrice Luftschiffbau Zeppelin, a causa dell’inevitabile fallimento, assieme al sogno delle grandi navi passeggeri dell’aria, un metodo per spostarsi da un lato all’altro del globo ritenuto all’improvviso, troppo costoso, poco pratico, pericoloso. Privo di un futuro. O almeno così apparve all’epoca e per diverse decadi a venire.
Fast Forward fino al più recente 26 aprile del 1986: di nuovo presso il campo aereo dell’87° squadrone c’è il vociare della folla, che trattiene il fiato per la vista di un qualcosa di straordinario. Si tratta però questa volta di ufficiali e addetti ai lavori, provenienti da diversi organi statali, invitati per assistere al volo inaugurale di un mezzo di trasporto dotato si di pallone più leggero dell’aria, ma tuttavia rientrante nella categoria dei velivoli dinamici, ovvero dotati di sistemi a motore per massimizzare la portanza. Proprio così, avete capito bene: entrambe le caratteristiche, allo stesso tempo. Un Leviatano come il PA-97 Helistat, sia in termini di costi che prestazioni potenziali, non si era mai visto prima. Né sarebbe ritornato dopo, almeno fino all’epoca contemporanea. La sua vista faceva tremare gli occhi nelle orbite e spaventava gli uccelli a miglia di distanza, per il rombo dei suoi possenti e plurimi motori. Il suo destino sarebbe stato spropositato, se non fosse per l’orribile, tremenda fine a cui sarebbe andato incontro di lì a poco. Ora, osservando il mostro a posteriori, sarebbe certamente facile criticarlo con enfasi, come hanno fatto molti dei commentatori al video di apertura: davvero, pensavano che avrebbe funzionato? Ecco un Frankestein ingegneristico, nato dall’incontro di elementi totalmente differenti tra di loro. In cui il corpo centrale dell’aerodinamico pallone lungo 104 metri, per il resto non dissimile da quello dell’illustre quanto sfortunato predecessore, vedeva l’aggiunta nella parte inferiore di una struttura metallica reticolare, alla quale erano stati assicurati niente meno che quattro elicotteri Sikorsky H-34, residuati dell’epoca della guerra del Vietnam. Privati ad arte del rotore di coda, diventato del tutto inutile in una tale configurazione, sostanzialmente l’anticipazione del concetto di un quadricottero, secondo quanto ci è ormai familiare nel comune drone telecomandato. Ora la domanda primaria che potremmo porci è: perché? C’era, chiaramente, un obiettivo chiaramente definito. La strana creatura, fuoriuscita dagli hangar della compagnia del pioniere del volo di origini polacche Frank N. Piasecki, avrebbe di lì a poco generato una forza verticale tale da poter sollevare fino a 25 tonnellate, come da precisa richiesta del servizio forestale degli Stati Uniti. Sarebbe dunque diventato, di lì a poco, la manifestazione lungamente ritenuta desiderabile dell’aerologger, un mezzo tecnologico in grado di sollevare un’intero carico di legna, dai luoghi più remoti immaginabili, per trasportarlo senza strade fin dove ce ne fosse la necessità. Una missione impossibile. Un sogno eccezionale. Destinato, ancora una volta, a naufragare in un disastro totalmente inaspettato.

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Il problema del dirigibile anti-missili JLENS

JLENS

L’occhio scrutatore dei cieli che sarebbe diventato, nell’idea progettuale alla sua base, l’evoluzione moderna del concetto dei 300 opliti che difesero la Grecia dall’esercito di Serse: come trasformando il passo alle Termopili, dal valico montano che era stato, in uno spazio vuoto grande quanto il Texas, apparentemente indistinguibile dall’atmosfera circostante. Ma in cui nulla di potenzialmente pericoloso, né alcun malintenzionato alla guida di velivoli di qualsivoglia tipo, avrebbe mai raggiunto il suo obiettivo indisturbato. Che vista la collocazione, poteva essere soprattutto uno, la White House presidenziale. Si, ma come proteggerla? Era una questione estremamente complessa da realizzare, perché allo stato dei fatti attuali, le regole della guerra hanno subito una sostanziale inversione: laddove prima, trovarsi a difendere un qualcosa dall’avanzata del nemico era lo stato preferenziale, poiché permetteva di sfruttare il territorio o le fortificazioni a proprio vantaggio, oggi le armi appiattiscono qualsiasi territorio. Non c’è un muro abbastanza alto da fermare un missile a lungo raggio, né una cupola che possa deviare le moderne bombe ad alto potenziale. L’unica speranza, dunque, resta l’intervento preventivo. Vedere per decidere, prima del tempo, come e dove dare il via alla propria contromossa. E lo strumento principe di un tale proposito, naturalmente, non poteva che essere lo stesso emettitore ad onde elettromagnetiche inventato nel 1922 da Guglielmo Marconi, poi perfezionato ed adottato dai diversi schieramenti all’epoca della seconda guerra mondiale: il sistema RAdio Detection And Ranging (RADAR) che finalizza e amplifica il suo grido pipistrellesco, per coglierne la radiazione di ritorno e metterla su schermo, poco prima di…
Nella sua versione contemporanea, un dispositivo di questa classe può raggiungere parecchie miglia di portata, grazie all’impiego di generatori a microonde che raggiungono anche i 1000 watt di potenza. Il principale collo di bottiglia alle sue prestazioni, quindi, diventa quello inerente della curvatura terrestre. Le onde emesse con finalità di rilevamento, come qualsiasi altra, seguirebbero un moto retto e lineare nel vuoto assoluto, mentre nell’atmosfera inevitabilmente assumono una traiettoria relativamente curva. Ciò detto, non hanno alcuna tendenza dominante a seguire il suolo, ed oltre una certa distanza dal punto di partenza, vanno a disperdersi presso delle quote tanto alte, da non essere più utili a nessuno. Per evitare che succeda questo, la soluzione preferenziale è quella di porre l’antenna ad altissima quota, quindi rivolgerla verso il basso, onde massimizzarne la portata funzionale. Stiamo parlando in poche parole dell’Airborne Warning and Control System (AWACS) un approccio che consiste nel posizionare un’antenna aerodinamica e rotante (il rotodome) su un aereo in grado di volare ad oltre 30.000 piedi di quota, ponendosi al sicuro dagli attacchi delle armi del nemico. Ne basterebbero sostanzialmente tre, di questi velivoli, per coprire un’area dell’intera estensione dell’Europa Centrale. Ma per quanto tempo, ed a che prezzo? La sorveglianza continuativa di un’area mediante un simile approccio non potrebbe prescindere da un consumo di carburante tale da far girare la testa. Dal che deriva la necessità, fortemente sentita dall’esercito statunitense, di trovare una soluzione più economica, silenziosa, dall’impatto ambientale meno pronunciato. Questa ha preso il nome non proprio brevissimo di Joint Land Attack Cruise Missile Defense Elevated Netted Sensor System  (in breve JLENS, un singolare caso linguistico in cui per la prima volta si usa l’acronimo, dell’acronimo).
La prima stesura del progetto nacque nel 1996, quando il Segretario della Difesa degli Stati Uniti chiese all’esercito di stabilire un punto d’osservazione radar elevato presso la base di Huntsville, Alabama. L’approccio selezionato da subito per l’operazione, non del tutto nuovo dal punto di vista tecnologico, fu quello di impiegare un aerostato, ovvero un pallone non guidato pieno di un gas più leggero dell’aria e saldamente assicurato al suolo, tramite una lunga cima di ancoraggio. Dopo un paio d’anni in cui la questione fu affrontata a tavolino, senza raggiungere le costruzione di un prototipo definitivo, gli ufficiali interessati decisero di coinvolgere ancora una volta il fornitore californiano Raytheon, la stessa azienda colossale, ormai con oltre 60.000 dipendenti, che all’epoca della seconda guerra mondiale aveva effettuato i primi esperimenti con il dispositivo del magnetron, alla base del concetto moderno di radar. E così fu proprio quest’ultima, a seguito di una collaborazione con la Hughes Aircraft, a guadagnarsi l’appalto da 11,9 milioni di dollari per la costruzione del dispositivo, con un costo stimato alla fine del progetto di circa 292 milioni di dollari complessivi. Cifra che in effetti, si sarebbe rivelata estremamente ottimistica…

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