Per sei mesi ti abbiamo aspettato. Dopo aver lungamente sperato… Dal pubblico in sala, si ode in boato: “La spada non è più nella roccia; Re d’Inghilterra, Re d’Inghilterra!” Da quel giorno, egli fu nominato. Al supermercato, non ci è più andato. Di un arancione profondo come il mare, questo è lo strale. Che sacro pugnale! L’arma finale. Dritta e la carota, stretta e la scia. Credo che meglio, non ve ne sia? Lo credevo… Il problema di chi percorre una strada verticalmente conica che dovrebbe condurre all’eccellenza, è non soltanto il rischio d’incontrare ostacoli, buche profonde, deviazioni o tronchi caduti sul suo cammino. Bensì l’ascia affilata di quegli altri boscaioli, che lungi dal rimanere in attesa ai margini della situazione, faranno il possibile affinché alla fin della fiera, possa essere la LORO visione, il LORO trionfo a soverchiare ogni altro pretendente nei confronti di un trofeo orribilmente ambìto. Quello del miglior coltivatore di allotment (termine che significa letteralmente “appezzamento di terra”) ad aver dimostrato un sincero e duraturo interesse nei confronti della Daucus carota, pianta delle ombrellifere che abbiamo associato a tal punto all’utilizzo tipico nelle nostre cucine, che ormai nell’immaginario corrisponde essenzialmente a una sola cosa: il fittone centrale, ovvero la possente radice dal colore intenso, il cui sapore dolciastro appassiona uomini, donne, conigli e bambini. Niente fusto, fiore o frutto spinoso. Lasciando la percezione vaga di un qualche tipo di fronda verdognola, a cui il contadino dovrebbe idealmente attaccarsi e tirare, tirare una volta giunto il momento predestinato. Purché si tratti, in effetti, di un agricoltore per professione.
E sarebbe ben difficile approfondire la storia personale dell’autore e protagonista inglese del canale YouTube Allotment Diary, che senza pubblicizzare eccessivamente il suo vero nome, risulta titolare anche di un sito e una pagina Facebook sullo stesso tema. Il minimo indispensabile, insomma, affinché possa dirsi di lui che stia conducendo un’opera divulgativa, sui metodi migliori e le notevoli soddisfazioni che possiamo aspirare ad ottenere coltivando alcune delle più notevoli qualità nascoste della natura. Chi avrebbe mai pensato, ad esempio, che la succitata radice gastronomicamente rilevante potesse raggiungere la lunghezza di una tipica longsword medievale, impugnata in battaglia dai più celebri cavalieri della tavola rotonda? E con risultati altrettanto lodevoli per quanto riguarda l’alimentazione, sopratutto contro l’invecchiamento della pelle, le malattie del fegato, il cancro, le carenze d’emoglobina, le discontinuità della diuresi o quelle di natura intestinale. Così a tal punto viene generalmente lodata la straordinaria gamma di effetti positivi di una tale pietanza, che nella sua versione sovradimensionata verrebbe da credere di essere davanti a una sorta di alchemica panacea, una cura di tutti i mali corrispondente all’erba di mandragora, espressione antropomorfa dei misteri sotterranei della vegetazione.
Che una carota come questa non sia del tutto “normale”, come del resto tutt’altro che spontanea risulta essere la maturazione in appena sei mesi di molte varietà artificiali di tale pianta, appare straordinariamente evidente. Eppure resterebbe chiaramente deluso chiunque dovesse pensare ad artifici di natura genetica, o alterazioni chimiche di quello che dovrebbe idealmente finire sul piatto dei fortunati consumatori. Poiché dietro ogni grande ortaggio c’è un grande creativo, e qui siamo di fronte a un creativo di nutrimento, nient’altro che quello, all’interno di una sorta d’incubatrice che la natura, in se stessa, non avrebbe mai potuto costituire…
terra
L’aereo che ha trovato un iceberg rettangolare nei pressi del Polo Sud
Per chi ne ha osservato le dinamiche sufficientemente a lungo, apparirà evidente che le opinioni del pubblico di Internet funzionano in maniera simile a quella del tendone di un circo: qualcuno pianta un palo più alto al centro, e tutti gli altri tendono verso di esso, avendo cura di restare saldamente puntellati nel proprio specifico angolo di terreno. All’ombra della nuova struttura che risulta da un tale sforzo, quindi, si esibiscono gli artisti. Creativi dell’informazione “social”, nel nostro caso, che fanno il possibile per sottolineare quanto sia raro, e prezioso, l’insignificante scampolo d’informazioni che stanno veicolando attraverso il proprio profilo, nome utente o (Ymir ce ne scampi) pagina di un blog. È successo l’ultima volta, ed è successo in maniera evidente, all’inizio di questa settimana, quando la NASA ha postato su Twitter un singolare ritrovamento della sua lunga missione aerea IceBridge, in corso dal marzo 2009, finalizzata al monitoraggio e l’osservazione dello stato della calotta glaciale antartica terrestre, affinché tutti possano convincersi finalmente che si, si trova attualmente in corso di scioglimento. Mentre il messaggio estratto per questa volta dalla fotografia in questione sembrerebbe essere l’inevitabilmente assai popolare “Una cosa simile non può avere origine NATURALE!” Un palo del tendone verso cui tendono i sempre fondamentali tiranti di: “opera del governo” e “qui c’entrano gli alieni” per non tralasciare mai l’essenziale “non vogliono dirci la verità”. E di certo, bisogna ammettere che l’iceberg in questione, lungo un miglio e recentemente staccatosi dalla piattaforma Larsen C facente parte della Penisola Antartica, ha un aspetto quanto meno singolare, con la sua superficie apparentemente piatta e gli angoli retti che segnano i suoi confini a rilievo sul mare, facendolo sembrare un perfetto rettangolo tracciato su un compito in classe di geometria.
Ma è proprio questo concetto che esistano forme naturali e altre prodotte dagli umani, fin troppo spesso dato per scontato nelle aule di scuola, quando non addirittura incoraggiato, che avrebbe bisogno di essere profondamente rivalutato. Laddove, come avevano scoperto già i primi filosofi naturali del mondo classico, la regolarità è osservabile in natura spesso quanto lo è il suo contrario… Se solo si sa dove guardare. E questa forma chiaramente definibile non fa certamente eccezione; considerate, tanto per cominciare, la scienza sperimentale della cristallografia, finalizzata a visualizzare mediante l’impiego di raggi X il reticolo atomico di un certo tipo di solidi. Esistenze appartenenti al mondo minerale, come il quarzo, per cui la forma minima si è rivelata essere per l’appunto, il tetraedro. E il ghiaccio. Ora io non sto certamente affermando che un iceberg rettangolare sia un caso frequente; ciò vorrebbe dire, semplicemente, spostarsi in direzione opposta alle regole dell’evidenza. Semplicemente la sua formazione è possibile, per non dire probabile, al verificarsi di particolari condizioni di partenza.
Prima di descriverle, tuttavia, non sarebbe più interessante gettare uno sguardo nei confronti del velivolo che si trovava lì, in quel momento, ad effettuare la prima fotografia pubblicata sui giornali di una delle più lunghe e importanti ricerche scientifiche degli ultimi 30 anni? Perché soltanto un stolto, mentre gli viene indicato il trapezio, sceglie di guardare il dito piuttosto che l’acrobata in volo. O nel nostro caso, un aereo di linea Douglas DC-8 equipaggiato con alcuni dei sensori e obiettivi fotografici più avanzati della corrente generazione tecnologica digitale…
Il trattore venuto dal futuro per bonificare gli acquitrini d’Olanda
Nel film del 1994 Timecop, l’attore e artista marziale Jean-Claude Van Damme viaggia indietro da un futuro 2004, per fermare ad ogni costo i piani di un’organizzazione terroristica che si era impadronita della macchina del tempo. C’è una storia lievemente surreale basata su uno degli argomenti più cari alla fantascienza classica, ci sono arti marziali, ci sono “copie” multiple dello stesso attore, invecchiato ad arte per collaborare con la copia più giovane di se stesso. Con un incasso di oltre 100 milioni di dollari, la pellicola costituisce ad oggi il più grande successo di JVCD, arrivando ad essere citato in molti ambiti della cultura pop moderna, per alludere concetto di un operatore anacronistico capace di risolvere situazioni di crisi. Non era ancora capitato, tuttavia, che un simile percorso venisse battuto nel campo dell’agricoltura tecnologica, un mondo dove tutto è praticità e materialismo, fatta eccezione per il marketing, questa finestra d’accesso all’arte creativa che si affaccia su ogni recesso della società commerciale moderna. Del resto, l’associazione non può che essere chiara, quando si prende in considerazione un veicolo la cui stessa ragione d’esistenza è l’imponente “V” puntata verso il terreno, che impiega al fine di svolgere la sua mansione principale. Posizionare “tubi” in mezzo ai campi. Ma forse stiamo impiegando un’eccessiva semplificazione, nell’approcciare la questione come se fosse un comune passaggio procedurale di un’urbanizzazione impossibile, quando si considera la velocità straordinaria con cui tale complicata mansione viene portata a termine, quasi come se l’infrastruttura in questione fosse letteralmente evocata dagli strati di terra sepolti, mentre l’autista del mezzo serenamente preme sul pedale magico dell’acceleratore. Questo scavatore no-dig o come viene chiamato in olandese, sleufloos, si presenta come l’interpretazione presente di un veicolo usato per l’esplorazione di Marte, con i suoi appariscenti cingoli cromati coperti di punte di metallo anti-corrosione, in realtà concepite per massimizzare la superficie a contatto col suolo, salvaguardando così l’integrità della vegetazione di superficie. Ecco, in parole povere, ciò di cui stiamo parlando: un dispositivo capace di lavorare nel sotto, senza compromettere il sopra. Praticamente, l’equivalente agricolo-edilizio di un intervento in video-laparoscopia.
Ma perché, esattamente, un contadino olandese (terra d’origine di un tale mostro meccanico) dovrebbe avere interesse a disporre una rete di tubi sotto il proprio terreno fertile, indipendentemente da quale sia il tipo di sementi oggetto del suo lavoro stagionale? Le risposte sono molteplici e fanno tutte capo alla stessa problematica concettuale: rimuovere quella cosa generalmente buona che è l’acqua, la quale tuttavia in quantità eccessiva, può causare un’infinità d’importanti problemi. Come evidenziato dalla presenza dell’apposito fiumiciattolo di drenaggio posizionato ai margini del campo coltivato, completamente ricoperto da uno strato di lenticchie d’acqua (Lemnoideae) capaci di soffocare, ed eliminare del tutto ogni creatura vegetale di terra, se soltanto riuscissero a dilagare al di fuori dell’area di confine precedentemente scavata. E sfortunatamente esistono luoghi, come questo, in cui la natura argillosa del terreno impedisce all’acqua di essere assorbita, rendendo una tale ipotesi estremamente probabile in caso di pioggia, per non dire una matematica, quanto indesiderabile certezza. Chi chiamare, dunque, al sopraggiungere di un simile rischio? Se non la macchina straordinaria di Van Damme. Un evidente concessione al benessere collettivo del più avveniristico recesso della tecnologia. Senza un minimo d’esitazione, dunque, l’operatore singolo guida il trattore cingolato fino al margine del canale. Premendo l’apposita leva, quindi, abbassa il braccio meccanico che sostiene la “V” di metallo, ponendone il cuneo al di sotto del livello dei suoi stessi cingoli, per poi innestare la marcia indietro. Ciò che succede a quel punto, è che una sezione orizzontalmente estesa di terra viene spinta verso l’alto, creando uno spazio vuoto pronto per essere riempito da… Qualcosa. Un qualcosa che già si trova, con estrema praticità e convenienza, ordinatamente avvolto attorno all’apposita spoletta veicolare, dalla quale viene progressivamente srotolato e posizionato in automatico sotto terra. È una notevole semplificazione, questa, di uno dei sistemi di salvaguardia del raccolto più dispendiosi e complessi da implementare, fin da quando ne parlarono a distanza di tempo gli storici Catone e Plinio il vecchio, nei tre secoli a cavallo della nascita di Cristo. Stiamo parlando, se non fosse già estremamente chiaro, di una procedura davvero interessante…
I molti misteri dell’enorme lago sepolto tra i ghiacci del Polo Sud
Per anni e anni e anni, gli astronomi hanno puntato i loro telescopi verso i corpi esterni del Sistema Solare, interrogandosi in merito alla possibile esistenza di un ecosistema alieno, non a centinaia, o migliaia di anni luce dal nostro pianeta, bensì nelle sue immediate vicinanze. Per lo meno, scegliendo di adottare una metrica proporzionale alle incommensurabili dimensioni del cosmo. Luoghi come le Lune di Giove o Saturno, pianeti talmente massivi da poter costituire dei veri e propri Soli in miniatura, ciascuno circondato da lune che rivaleggiano coi mondi della letteratura fantascientifica, per la loro diversificazione, varietà e complessità ambientale. Alcune, come Europa, ricoperte di ghiaccio o altri tipi di “calotte” impenetrabili, al di sotto delle quali ogni forma di vita appariva possibile a patto di usare la fantasia. Poi, verso l’apice di questa bollente estate, la scoperta più rivoluzionaria: grazie alle analisi da parte di scienziati italiani dei dati radar raccolti dalla sonda europea Mars Express, nel sottosuolo dei poli marziani potrebbe esistere, e sia chiaro che nonostante il condizionale si tratta praticamente di una certezza, un lago alla profondità di circa 4 Km. Una letterale capsula del tempo, potenzialmente contenente le tracce di forme di effettive vita. Batteri estremofili? Alghe? Pesci? Un’intera civiltà Chtonia? Troppo presto per dirlo, e forse non potremo mai davvero saperlo. Quando si considera che un luogo identico, come sospettavamo fin dal remoto XIX secolo, esiste nel continente più meridionale di questo nostro pianeta. E nessuno, allo stato attuale dei fatti, può dire realmente di conoscerne il senso ed il significato ulteriore…. Eppure, in molti ci hanno provato! A partire dal giorno ispirato in cui lo scienziato Peter Kropotkin, barbuto filosofo dell’anarco-comunismo russo, teorizzò che le enorme pressioni dovute la peso della calotta artica potessero generare temperature sorprendentemente elevate man mano che si procedeva al di sotto del livello del mare. Fino al crearsi di zone liquide, letterali mondi segreti e sommersi dalla vastità inimmaginabile per l’uomo. La prova effettiva di tutto questo dunque, non sarebbe arrivata che nel 1959, quando il geologo sovietico Andrey Kapitsa, parte di una spedizione inviata verso il Polo Sud geografico, dispose degli accurati sismografi in prossimità della stazione scientifica Vostok, con l’obiettivo di determinare lo spessore della calotta di ghiaccio. Scoprendo invece, l’inaspettato ed inimmaginabile: una cavità dell’ampiezza di 250 Km e una profondità media di 432 metri, contenente un volume stimato d’acqua di 5.400 Km cubi. In altri termini, poteva effettivamente trattarsi del sesto lago più capiente della Terra, classificabile tra quelli di Malawi e del Michigan, situato secondo i suoi calcoli a una profondità dal livello del suolo di 3.406 metri.
Ora, queste sono le scoperte che il più delle volte, nella storia dell’uomo, tendono a rimanere un mero accrescimento teorico del nostro bagaglio effettivo di conoscenze, senza che nessuno effettivamente, si sogni neppure di agire sulla base di quanto regolarmente discusso nel corso di simposi e conferenze varie. Ma i russi che, come è noto, di perforazioni verso il centro del pianeta hanno sempre fatto una sorta di perverso ed insolito divertimento (vedi la decennale ricerca del buco superprofondo della penisola siberiana di Kola) non potevano certo lasciare le cose così come stavano, rinunciando a una nuova opportunità di essere “i primi” verso qualche impossibile destinazione. Così fu decretato, a partire dal 1998, che la nuova missione principale degli scienziati intenti a soggiornare in questa località in grado di toccare gli 80-90 gradi Celsius sotto lo zero, sarebbe stata apprendere le nozioni di base necessarie a perforare nel sottosuolo. In tempo per la consegna dei macchinari necessari, possibilmente, a farlo. Entro la fine di quello stesso anno, senza ulteriori ritardi, sarebbe quindi iniziata la prima operazione di carotaggio, per l’estrazione di un lungo cilindro glaciale fin quasi alle propaggini superiori del lago, il più esteso che fosse mai stato creato da macchine umane. Analizzando il quale fu possibile datare alcuni frammenti all’epoca remota di 420.000 anni fa, permettendo per inferenza di moltiplicare esponenzialmente una tale cifra, fino ai 15 milioni di anni attribuiti, su per giù, al vasto spazio cavo nelle viscere della Terra. Fu tuttavia una scelta fortunata, in tal caso, quella di fermare la trivellazione a circa 100 metri dalla superficie dell’oscuro specchio d’acqua, affinché la miscela di freon e kerosene impiegati per evitare la chiusura spontanea del foro non andasse a contaminare le acque perdute prima ancora che fosse possibile riportarne in superficie un campione. Ciò detto naturalmente, non ci si può sempre aspettare che la nostra compagine più curiosa, appartenente coloro che hanno fatto della scienza una ragione di vita, rimanesse sempre tanto eccezionalmente prudente…



