La pernice con la cresta che primeggia tra i punk dell’Asia meridionale

Baldanzoso uccello dal comportamento solitario e superbo, che si staglia tra i cespugli della foresta, momentaneamente intento al tuono di un ruggito distante. Silenziosamente attento a pattugliare, da un lato all’altro, l’intera estensione del tuo territorio. Combattivo quando serve. Rapido a fuggire, se dovessero mancare i presupposti di una situazione interamente sotto il tuo controllo! Qual è il segreto di un simile successo evolutivo? Forse il becco corto ma acuminato, in grado di cercare con furtiva efficienza frutta, semi o vermi tra la terra lievemente smossa. Forse le zampe forti e rapide, capaci di sfuggire dalle tigri, leopardi, serpenti e varani troppo attenti ai movimenti di allettanti merende aviarie. Oppure chi lo sa, le tue corte ali, capaci di portare quella forma tondeggiante in cima ai rami quando lo ritieni veramente necessario. Ma soltanto come ultima risorsa, poiché la stessa soluzione non risulti applicabile alle preziose uova e colei che le cova, vista l’abitudine per entrambi di fare il nido in terra, in mezzo a una catasta vegetale con la forma di una cupola, costruita nel momento in cui riesci a rintracciare l’indizio per il più importante momento della tua volatile esistenza, l’amore.
Partner speculare di uno specchio che riflette molte cose, fatta eccezione per i colori; poiché tanto riescono a sembrare differenti, questi lui con la usa lei, da aver fatto credere per lungo tempo ai naturalisti che potessero appartenere a specie distinte. Il primo nero come il fumo, fatta eccezione per i grandi occhi cerchiati di rosso e il glorioso ornamento di piume irto sulla testa, di un colore degno del leggendario uccello che risorge dalle fiamme d’Arabia. E la seconda, invece, con il corpo e le ali verdi raganella, tranne le chiazze marroni in punta, e una testa grigio come la foschia dell’alba. Stiamo parlando, d’altra parte, di una specie appartenente alla famiglia dei fasianidi, uccelli razzolatori per cui il dimorfismo sessuale è il fondamento stesso dell’incontro e comunione tra i sessi, benché ciò finisca spesso per comportare una diversa strategia mimetica, metodologia d’autodifesa e stile di vita. Come avviene indubbiamente nel caso della pernice crestata o Rollulus rouloul, dallo stravagante nome scientifico probabilmente derivante dall’onomatopea usata per riferirsi al suo caratteristico verso ripetuto dall’alba al tramonto, ovvero, per l’appunto, roul-roul. Ragionevolmente noto alle popolazioni indigene che vivono nelle aree rurali di Tailandia, Malesia ed Indonesia, così come avviene per la sua cognata paleartica chukar (Alectoris chukar) il cui suono ripetuto risulta essere una vera e propria colonna sonora che risuona dalla Siberia al Medio Oriente. Benché l’uccello del Sud Est Asiatico risulti essere, di contro, relativamente raro e difficile da incontrare, tanto che si dice sia maggiormente probabile conoscerlo di persona all’interno di uno zoo, piuttosto che nel suo habitat naturale. Una questione, quest’ultima, purtroppo esacerbata dalla classificazione dello IUCN come creatura soltanto a “lieve rischio” d’estinzione, e la conseguente assenza di alcun tipo di protezione normativa all’interno del suo pur vasto areale. Riconfermando ancora una volta, se pure fosse necessario, il più ostinato ed invincibile invasore di quel contesto. Colui che tutto cerca di sfruttare a suo vantaggio, inclusi i più preziosi e inimitabili tesori della natura…

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La volpe con il radar per sentire il passo delle termiti

Le storie dei saggi parlano del distruttore senza nome, il cui arrivo simboleggia l’ora della fine tristemente reiterata nel procedere delle Ere. Quando un intero ciclo di rivoluzione del pianeta è prossimo al compimento, e la tenebra fa scomparire l’ombra del monumentale grattacielo, i suoi abitanti si rannicchiano all’interno degli spazi cavi, fermando le sottili zampe e antenne, quasi fossero in attesa di… Qualcosa. Decine di migliaia, centinaia, milioni d’individui spaventati, sono stati già strappati dall’interno delle loro case, distrutte con le unghie e con i denti dal gigante con il muso a punta, i cui denti non smettono mai di chiudersi, ancora e ancora, stritolando i loro corpi condannati, ricoperti di un’inutile corazza di chitina. Osservati, fratelli artropodi, la gran divoratrice. Volgete le vostre mandibole al cielo, prima del sopraggiungere dell’ora della fine, sua sorella, suo fratello e suo cugino. Concentrandovi sull’unica possibile maniera per salvarvi, ovvero il voto, mantenuto ad ogni costo, del silenzio.
Per la selezione antologica di esempi usati a modello nella maggior parte dei proverbi, da sempre significativo riesce ad essere il ruolo degli appartenenti alla categoria dei cani: fedeli al padrone se domestici, altrimenti a loro stessi e all’istituzione sociale del branco, attenti ad ogni minimo dettaglio perché preoccupati, in ogni attimo, di garantirsi la sopravvivenza. E fra tutti certamente, non sembra far eccezione la volpe, sinonimo in tanti contesti nazionali di “furbizia” applicata ai bisogni del vivere quotidiano, intesi come ricerca del cibo e un metodo efficace al fine di sfuggire ai cacciatori. Che siano questi ultimi di tipo umano, oppur degli animali, l’approccio risulta essere del resto sempre quello. Fare affidamento, per quanto possibile, sulla furtività e l’individuazione di efficaci nascondigli, qualche volta già presenti, in altri casi scavati dall’animale stesso, nel terreno friabile della radura. Immaginate, dunque, l’alternativa collocata in Africa centro-meridionali di una creatura che in aggiunta a questo, possiede un senso che è a tal punto sviluppato da modificare il suo integrale aspetto, assolvendo alla funzione addizionale del regolamento del calore, come avviene per la piccola cugina dei deserti del nord, la scattante e rumorosa Fennec. Sto parlando, in questo caso, della cosiddetta volpe dalle orecchie di pipistrello, anche chiamata nella lingua dei latini Otocyon megalotis, col significato letterale di “cane-orecchie dalle grandi orecchie” (sic.). Il che determina e rafforza, in un sol colpo, l’effettivo tratto distintivo di questa creatura, per il resto ragionevolmente conforme all’aspetto di una Vulpes europea, con colorazione criptica focata tendente al grigio-marrone, zampe nere ed un’accenno di maschera sul muso, affine a quella del suo altro distante parente nordamericano, il procione. Con cui condivide l’appartenenza a un genere ragionevolmente esclusivo, in questo caso addirittura contenente l’unica specie sopra nominata, i cui ritrovamenti fossili hanno lasciato intendere l’esistenza fin dall’epoca del Pleistocene, risalente a circa 800.000 anni fa. Chi volesse trarre da questo la conclusione che siamo di fronte a un essere in qualche maniera primitivo & vulnerabile, tuttavia, sarebbe certo incline a ritrovarsi in fallo, data l’eccezionale raggiungimento della nicchia ecologica cui questo carnivoro occasionale appartiene, il cui cibo principale resta sempre & soltanto quello: l’isoptero terrestre, insetto affine alle formiche per struttura sociale, ma inserito nella categoria biologica dei blattoidei. Termiti pronte per il pasto facilmente guadagnato, da mattina a sera…

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Lettere africane sull’anello mancante tra la rana e l’uomo

Avere un superpotere non è la parte difficile, che sia frutto della propria eredità genetica o persino quando, nonostante i presupposti, si riesce ad acquisirlo tramite l’impegno nell’addestramento. Ciò che riesce, nella maggior parte dei casi, a fare realmente la differenza è in prima analisi l’effettiva capacità d’usarlo, coadiuvata dallo charme ovvero il fascino, la propria essenza personale in grado di cambiare per il meglio il mondo e le persone attorno a noi. Il che presuppone, d’altra parte, un certo grado d’intelligenza e d’empatia, possibilmente unito alla prestanza fisica esteriore sufficiente a risultare, in qualche modo, belli oppure affascinanti, simpatici, possibilmente “un tipo”. Poni il caso, per esempio, che il destino vi abbia dato l’opportunità di un superare un baratro, compiendo un salto equivalente a 7 volte e mezzo la lunghezza del vostro corpo; ora ciò che occorrerebbe chiedersi, è PERCHÉ vogliate compiere l’impresa. Per salvare? Per mangiare? Per sfuggire a un predatore? Oppure per il mero fatto che non farlo, costituirebbe un’occasione ormai perduta. La prova del fattore secondo cui ogni tentativo mancato è la negazione stessa di quello che siete finalmente diventati, grazie ai molti secoli d’evoluzione della specie…
Buongiorno! Il mio nome è Galago. Ma tutti sono soliti chiamarmi Bush baby (bambino della prateria) più che altro in forza del mio verso, ovvero la specifica maniera dell’eloquio, che uso nella notte per riuscire ad affermare la presenza del mio essere peloso e qualche volta solitario, un massimo vantaggio per me stesso, e gli altri. Certo non facile vederci, sopra gli alti rami di un arbusto, data quella dimensione che si aggira in genere tra quella di uno scoiattolo e di un gatto, benché gli occhi riflettenti siano soliti risplendere contro il bagliore di una luce artificiale (se presente). Il mio insieme tassonomico è quello degli strepsirrini, “l’altro” tipo di primati contenente vari tipi di proscimmie, inclusi lemuri, lorisiformi e tarsi. Ed in effetti c’è una somiglianza, tra noialtri e il Nycticebus coucang o loris lento della Sonda, l’animale che più d’ogni altro viene in mente al senso comune, quando si ricerca la corrispondenza naturale di un caratteristico pupazzo come Furby, oppur 14 specie diverse di Pokémon. Ma le somiglianze concettuali, dopo tutto, non sono tanto significative: a partire dall’areale, che vede quest’ultimo abitare nel Sud-Est Asiatico, laddove i nostri piccoli consimili, dal canto loro, si trovano più che altro tra il lati del triangolo che corrisponde sulle mappe al continente africano. E sopratutto, ancor più di questo, la naturale capacità di spostamento, consistente nella realizzazione dei più eccezionali salti da terra, in proporzione, praticati nell’intera classe dei mammiferi, capaci di condurci fino a meta. Di che tipo, siete a chiedermi? D’accordo, non se quanto sia in grado di descriverlo a parole. Proviamo con un video…

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Il fiore pendulo creato dall’accoppiamento delle lumache leopardo

Innegabilmente complessa risulta essere l’esistenza di una specie costretta in ogni momento a bilanciare l’equilibrio tra due sessi differenti: ciascuno con le proprie esigenze, propensioni, preferenze, indotte in egual misura dai tratti genetici ereditari e l’educazione precedentemente ricevuta. Molto meglio non sarebbe, forse, appartenere tutti alla genìa sessualmente versatile degli ermafroditi? Per cui qualsiasi essere possiede il potenziale per creare la vita, dall’incontro con chiunque altro. Giusto, giusto, sbagliato. SE dovessimo basarci, in questa presa di coscienza, dallo studio di chi ha preso tale strada evolutiva. Ossia quando tra gli esseri di terra, a noi ragionevolmente affini per quanto concerne l’habitat di appartenenza, prendiamo in esame il più complesso e affascinante di ogni altro: la categoria delle grandi lumache da giardino (o limacce) senza guscio e senza nessun tipo di vergogna. Tra cui la propensione innata ad essere creature maschili e femminili al tempo stesso presenta, spesse volte, vaste implicazioni problematiche ulteriori! Perché vedete, non è sempre chiaro in quegli incontri, quale parte della coppia sia destinata a dare e quale invece, a ricevere. Con risultanti inseguimenti verticali, in cerchio ed a spirale, che possono durare lunghe ore, culminanti in una vera e propria guerra per riuscire ad amputare prima il pene dell’amata/odiata controparte, grazie a centinaia di minuscoli denti assassini.
Immaginate ora, di contro, la perfetta realizzazione di un’incontro d’interscambio sessuale: in cui le controparti possano giocare al tempo stesso l’uno e l’altro ruolo, scambiando i propri fluidi nell’assoluta comunione d’intenti. Ed ora, bando alle metafore: poiché tutto questo esiste veramente. Costituendo la prerogativa innata, strano a dirsi, dell’anello mancante tra le lumache e i più grandi felini arboricoli dell’Asia meridionale. Non tanto dal punto di vista genetico (ciò sarebbe alquanto sorprendente, trattandosi di creatura proveniente dall’Europa del sud, soltanto successivamente diffusa a macchia d’olio in tutti e cinque i continenti) quanto per l’aspetto specifico di quella pelle lucida di muco, ricoperta in casi alterni da strisce, macchie o piccole rosette, con tonalità che variano dal grigio al marrone chiaro. Dal che dovremmo definirle in vari casi, per analogia, lumache serpente, tartaruga o trota, se non fosse che dal punto di vista genetico, appartengono tutte alla stessa specie: Limax maximus, la più grande (spoiler: coi suoi circa 15-20 cm non è affatto la più grande) la più magnifica (opinabile benché potenzialmente vero) la maggiormente impressionante. Ed in quest’ultima categoria, potrei affermare che ci siamo. A pieno titolo, sopratutto se prendiamo in considerazione quel momento, ripetuto almeno due volte l’anno, in cui si esibisce nel suo comportamento più notevole e distintivo, il complesso rituale che permette la creazione della vita.
Sappiate, dunque, che non c’è assolutamente nulla di normale inteso come tipico delle lumache senza guscio, nell’incontro tra due maschi/femmine o femmine/maschi di lumaca leopardo. Con la possibile eccezione dei preliminari, a partire dall’inseguimento rigorosamente notturno della vicendevole striscia di bava, appositamente modificata nella propria composizione chimica per indicare la fertilità, prestanza fisica ed assenza di parassiti. Finché la coppia, dopo un duplice tragitto circolare, non finisce per trovarsi assieme sopra un ramo o in cima a una struttura, senza l’uso di quei sensi sopravvalutati che sono l’udito (totalmente assente) e la vista (piuttosto carente, nonostante la lunghezza dei peduncoli oculari). Ed è allora che i due corpi iniziano ad unirsi, nell’unica maniera possibile per chi percepisce l’altro con il tatto e solamente quello: in una spirale arrotolata di reciproca passione, affine al modo in cui un rametto d’edera si avvinghia su di un palo. Con la differenza che, in assenza di tentacoli abbastanza appiccicosi, le due finirebbero ad un certo punto per staccarsi e cadere. Se non fosse per la salvifica presenza di una lunga corda, l’appiccicoso, elastico filo di una speciale sostanza secreta dalle proprie ghiandole boccali…

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