Immagini fantastiche dal festival dei droni di New York

New York Drone Film Festival

Si dice che alcuni particolari individui, appartenenti al culto geograficamente trasversale dello Sciamanesimo, possano sperimentare l’esperienza di separazione tra corpo e coscienza, lasciando dietro le proprie mortali spoglie per avventurarsi, come un soffio d’anima, tra i venti e le correnti del mondo per osservare, non visti né percepiti, gli eventi e le situazioni. Ed è proprio questa capacità di concentrarsi, tanto simile alla meditazione dei buddhisti, a dimostrare che una simile esperienza non è un sogno. La mente umana: uno strumento che seleziona e suddivide, cataloga, costruisce; si, da sveglia. Mentre nel momento stesso della cessazione della coscienza, e questo lo sa bene chi si sveglia all’improvviso, si scatena una tempesta d’immagini più simile a una carrellata di momenti, ciascuno totalmente scollegato a quelli precedenti. Ed è soltanto nel momento in suona la sveglia, dopo un’intera notte trascorsa involontariamente a cogitàre, che nel sollevarsi delle palpebre si attiva il meccanismo, molto antico ed altrettanto ben oliato, che s’impegna a dare un senso alla sequela dei ricordi immateriali. Così, nel mondo odierno tecnologico, possiamo simulare questo stato. Così facendo, con un dispositivo di radiocomando remoto ben stretto tra le proprie mani, e il cielo immenso che proietta il suo richiamo. Sempre verso il basso e poi di nuovo, inevitabilmente all’indirizzo di chi scruta verso il Sole ed ha il coraggio di premere GO.
Un drone può essere davvero molte cose: telecamera volante, veicolo da corsa, compagno poco loquace ma tutt’altro che silenzioso di mille o più avventure. Ma di sperimentarle tutte assieme… Nel corso di appena tre minuti che ci portano dalla caldera di un vulcano, alle profondità marine, dal gran tempio di Balor (con tanto di Tyrion Lannister ripreso di spalle) al resort sciistico di Golden Alpine nella Columbia Inglese (Canada) ove sciatori illuminati corrono come altrettante code di cometa…Non ci era, di sicuro, mai capitato. Questo video è talmente bello ed in qualche maniera appassionante che innumerevoli siti, dal recente evento della sua pubblicazione, l’hanno ripreso senza preoccuparsi eccessivamente di qualificarne la provenienza ed entrare nel merito dei contenuti. Il che è un peccato, perché simili elementi sono assolutamente primari per comprenderne la rilevanza notevole nella storia della videografia. Siamo ad un punto di svolta, precario e significativo, di ciò che costituisce il nostro documento  per i posteri più articolato e significativo, la registrazione degli eventi a mezzo telecamera e questa intera sequenza costituisce, indubbiamente, un importante mattone dell’intero edificio. Forse persino, la chiave di una volta d’ingresso per intere nuove generazioni d’appassionati potenziali. Questo perché il New York Drone Film Festival, talmente nuovo da non avere neppure un articolo di Wikipedia (um, qualcuno dovrebbe provvedere…) nasce sulla carta nel 2014, si trova attualmente alla sua seconda edizione ed è non soltanto il primo evento del suo tipo al mondo, ma anche un happening dalla notevole risonanza mediatica e l’alto numero di visitatori. Avvalendosi dell’avveniristico Liberty Science Center di Jersey City, edificio equipaggiato con la più grande cupola per proiezioni IMAX mai costruita. Che tuttavia quest’anno ha visto esauriti i posti disponibili per il pubblico nel giro di sole 6 ore, con oltre 5.000 persone accorse per assistere ai migliori tra i 350 film provenienti da 45 paesi, con l’obiettivo di determinare un vincitore per ciascuna delle 13 categorie in concorso. Un’interesse la cui origine, prendendone in esame anche soltanto alcuni, diventa più che ampiamente giustificato…

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Estate 2016: la lunga stagione delle zanzare robot

SCAMP Robot

Molte parole sono state spese sulla presunta inutilità del dittero succhiasangue, che disturba le nostre notti, si riproduce con estrema efficacia e talvolta finisce per diffondere problematiche malattie. Piccole forme saettanti, appena visibili nella luce del Sole al tramonto; creature ronzanti (persino il rumore dà fastidio!) che ben pochi esitano ad uccidere, persino tra coloro che si dicono amanti degli insetti. Perché in fondo, cos’ha di paragonabile, la vicina genetica del pappatacio o del flebotomo comune, con un utile e benamata ape, o persino una feroce vespa predatrice, che per lo meno elimina la diffusione di altre piccole creature invasive…  Esse semplicemente sono, e attraverso quel fitto e insistente svolazzare, mettono alla prova l’umana pazienza? Certo. Eppure, a volerla comprendere, c’è anche un’utile lezione che possiamo apprendere dalla vicenda esistenziale di simili creature. Se c’è qualcosa di cui sarebbe difficile dubitare, in effetti, è proprio la sua efficacia nel portare a termine quello che fa. Un animale parassita, naturalmente, dovrebbe essere del tutto incapace di sopravvivere sulle sue forze, totalmente incapace di procacciarsi il cibo sulle sue forze. Mentre la forma della zanzara, per invertire una famosa citazione del web sul calabrone, attribuita, a seconda dei casi a personalità del calibro di Albert Einstein o Marilyn Monroe, è perfettamente adatta a volare. E lei lo sa benissimo. Come anche il qui presente robotista, parte del gruppo di ricercatori del laboratorio BDML dell’Università di Stanford (Biomimetics and Dextrous Manipulation Lab) il quale ne ha ripreso le caratteristiche assieme ai suoi colleghi, per creare un dispositivo volante che non solo rivoluziona il concetto di drone, ma apre la strada a numerose innovazioni tecnologiche che di qui a pochi mesi potremmo anche ritrovare nei campi più diversi, incluso quello militare.
C’è un che di lievemente inquietante, in effetti, nel vedere il gesto disinvolto con cui il  giovane lascia decollare il suo SCAMP, questo l’acronimo del robo-quadricottero, dal palmo aperto di una mano, soltanto per vederlo fluttuare verso il muro ed attaccarvisi, iniziando la sua inesorabile scalata verso la cima. La suggestione è un po’ la stessa creata a suo tempo dalla scena del film Dracula di Bram Stoker, con l’attore Gary Oldman nel ruolo dell’improbabile Conte, che risaliva la torre del castello aggrappandosi come una sorta di gigantesco ragno umano. Ed anche l’utilità, sostanzialmente è quella: giacché possiamo presumere, nell’analisi scientifica di quell’altro goloso d’emoglobina, che la “modalità pipistrello”, per così dire, comporti un dispendio di energie vampiresche relativamente congruo. Mentre possiamo presumere che sfruttare la propria agilità e forza sovrumane, per aggrapparsi alle asperità di un vecchio maniero e fare ritorno alla propria bara (rigorosamente prima dell’alba) sia un’impresa assolutamente da nulla, per il signore delle tenebre perennemente redivivo. Lo SCAMP ad ogni modo, nonostante il suggestivo acronimo, che sta per Stanford Climbing and Aerial Maneuvering Platform ma significa anche un qualcosa di affine a “simpatico malandrino”, è uno strumento creato rigorosamente al servizio del bene. Come già altri progetti comparabili fuoriusciti dallo stesso ambito accademico, la sua presunta finalità in tale forma sarà l’assistere in caso di disastri naturali, volando sulla scena per effettuare rilevamenti e trovare i sopravvissuti. Con in più il vantaggio aggiunto, come dicevamo, di poter risparmiare la limitata energia a disposizione nelle sue piccole batterie, posandosi a riposare sulle superfici verticali, prima di spiccare nuovamente il volo verso località maggiormente accoglienti. Così facendo, inoltre, potrà aggrapparsi e salire verso l’alto, guadagnando quota senza ricorrere alla dispendiosa accensione continuativa delle sue quattro pale. Ed è una visione certamente inaspettata, questa di un essere così evidentemente artificiale, che tuttavia si comporta in maniera del tutto paragonabile a quella dell’insetto più odiato del mondo! Che di sicuro, mentre risaliva gli edifici dell’università, deve aver fatto voltare parecchie teste, dando adito a un senso diffuso d’entusiasmo misto a sorpresa. Quest’ultima, tuttavia, soltanto per le matricole, o tutti coloro che si trovavano lì in via occasionale. Questo perché in effetti, il robot in questione non è un’invenzione che viene dal nulla, ma soltanto l’ennesima, e forse più affascinante applicazione di un vasto ventaglio di concetti, che il laboratorio BDML sta prendendo in analisi da ormai diversi anni, portandoli fino alle loro conseguenze più estreme. Un progetto trasversale, che mira a dimostrare, reimpiegandola, l’utile capacità di certi animali ad aderire alle superfici, trovandosi quindi avvantaggiati nella loro locomozione, o dotati di una forza di molto superiore al dovuto. Pensate, ad esempio, a una formica che trascina un qualcosa di molto superiore al suo peso. Potrebbe davvero farlo, se non avesse l’innata dote di “aggrapparsi” al suolo, prima di ciascun singolo oh, issa! Seguito da un singolo passo e poi di nuovo, piedi ben saldi e tirare? Un’impresa che la camminatrice può compiere, unicamente grazie a una cuticola flessibile presente sotto ciascuna delle sue sei zampe. Mentre la zanzara robot di Stanford, in effetti, sfrutta un sistema notevolmente diverso…

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In viaggio con il drone nella segheria automatizzata

Logs to Lumber

“Se potessi essere una mosca…” Diceva giusto l’altro giorno: “Sulla parete interna dell’enorme capannone di… Allora finalmente, conoscerei la verità.” Ma non puoi ridursi alla grandezza di pochi centimetri, l’ipotetico analista dell’industria delle materie prime, né può avere occhi sfaccettati, ali semi-trasparenti, peli sulle zampe e una bocca che si apre in senso verticale. Deve accontentarsi di un telecomando. E di sistemi per volare, ai nostri tempi ce ne sono molti. Tra cui quello meno tipico, ormai dato per scontato, del rotore aerodinamico che crea il cuscino d’aria. E sai che c’è di meglio, ancora? Quattro simili cose, poste in parallelo sopra l’utile dispositivo, con la telecamera e il trasmettitore dell’intera situazione. Un drone, lo spione. Ben sancito, ciò sia chiaro, dall’umano proprietario. Di un luogo talmente notevole, nel suo funzionamento, che non poteva essere altrimenti: per ciascun impiegato in carne ed ossa, ci lavorano due meccanismi o macchinari. Con un po’ di fantasia, si potrebbero chiamare addirittura dei robot. Strumenti ad alta operatività, come la gru a rotaie che scarica il legname dagli autotrasportatori, per depositarlo in alternanza presso grandi mucchi per lo smistamento, oppure lungo il viale che conduce dentro alla catena di lavoro, dove saranno trasformati, senza sprechi, in materiali utili alle costruzioni: travi, listelli, tavole, masselli… È tutta una questione di saper scegliere le giuste procedure, in ogni caso. Come quello di pubblicizzare il proprio nome online, attraverso l’impiego di un sistema tanto affascinante.
E pur considerando la questione da ogni lato, non è certo facile comprendere, dalla mera osservazione del presente video, quale sia stata l’origine dell’idea. È possibile immaginare uno scenario in cui qualcuno, tra le voci dell’azienda, forse addirittura il grande capo, avesse un hobby. E questo fosse la ripresa aerea delle operazioni. O è altrettanto valido, ipoteticamente, lo scenario di una compagnia di marketing, assunta per promuovere quel nome, che consiglia la realizzazione di un potente video di divulgazione, così. E potrebbe sembrare quasi superfluo, il curare l’immagine fino a un tale punto estremo, per aziende come questa che operano principalmente nel settore B2B (ovvero, mai rivolgendosi al cliente finale) ma è pur vero che, una volta raggiunto il vertice del proprio settore, non si può far altro che sfondare il proverbiale soffitto di vetro. E ritrovarsi, d’improvviso, tra le mosche dalle massime ambizioni. Di certo, nell’ultima impresa promozionale della grande compagnia di legname Vaagen Brothers, operante “da oltre 50 anni” nel settore nord-est dello stato di Washington, quasi al confine con il Canada, è che l’intera opera creativa mostra una cura registica degna di essere notata, con in più il valore aggiunto di mostrare un qualcosa che, il più delle volte, viene fatto nascosto agli occhi della collettività. Il che, del resto, è comprensibile, sebbene non condivisibile: questo scenario spesso reso drammatico attraverso le metafore, del mondo che consuma se stesso, noi che divoriamo le risorse, verso la futura dannazione dell’ambiente e tutto quello che rimane… Quando in effetti, la realtà si offre a vari gradi d’interpretazione. Resta certamente indubbio come lo scenario offerto dall’eccezionale opera di adeguamento ed implementazione condotta dai titanici macchinari della presente segheria, che paiono perfettamente in grado di sezionare un’intera regione della foresta Amazzonica in due giorni o giù di lì (sempre lei, la pietra di paragone) possa fare una certa impressione, soprattutto a chi considera la Natura come un valore a se stante, in qualche maniera separabile da noi, che la sfruttiamo pur facendone comunque parte. Proprio così, è difficile negarlo: Universo>galassia>stella>pianeta>regno animale>uomo. Mentre invece, i vegetali? Erano lì, pronti da prendere. Persino chi si riconosce nell’ideale e nello stile di vita del veganismo, alla fine, qualche cosa dovrà pur mangiarla. In una casa, dovrà viverci. E l’industria del legname non è certo la cosa peggiore che potremmo fare di diversi ettari di verde pronti da sfruttare…Anzi!

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Tre usi possibili per il cannone a rete

Net Gun

La mia arma non è un’arma, il mio destriero vola sopra il suolo, e in più siamo in due, a cavalcarlo. Il rombo rotativo delle pale ci accompagna, mentre scendiamo a bassa quota per prendere di mira l’ennesimo bersaglio, quadrupede orecchiuto, sebbene non cornuto, benché la sua specie ben conosca la doppia escrescenza che ramificandosi permette ai maschi di combattere tra loro. Cervi, sono (circa) 550 cervi. Ma di un tipo alquanto particolare: nati infatti tra le vaste recinzioni di un allevamento, laggiù, nel Messico rurale. Destinati quindi, come loro massima prerogativa, ad essere asserviti al gusto ed alla tavola di un altro tipo di mammifero, colui che sa (sapiens, sapiens, sapidus). Giacché la carne di questi animali, ad oggi, vien chiamata “selvaggina” ed è associata in modo indissolubile alla pratica del cacciatore. Il che osservando la presente scena appare molto logico, visto come addirittura in cattività, se così può essere davvero definita, questi esemplari di coda bianca della Virginia (Odocoileus virginianus) debbano essere per prima cosa catturati, quindi solamente dopo, maneggiati con estrema cura e trasportati fin lì… Nella stagione degli accoppiamenti, quando un solo maschio, per ciascun gruppo di compagne, viene piazzato in un recinto. Affinché succeda quel che deve, lasciando la natura ai suoi sistemi, però sotto l’occhio attento dell’allevatore.  È una sorta di metafora del mondo intero, a ben guardarla: l’individuo compie il suo dovere di essere vivente, perché vi è portato e tende a trarne una notevole soddisfazione. Ma è la collettività, in ultima analisi, che dovrà trarne beneficio. Ora, la particolare pratica messa in mostra in questo video FPV (in prima persona; e 60 frame al secondo, not bad!) potrebbe sembrare ai non iniziati, insolita e crudele. E resta certamente indubbio che l’esperienza per un ungulato di sentirsi e vedersi piombare addosso un elicottero tonante, poco prima di essere colpito da una rete volante, che gli si attorciglia tra le zampe e poi lo fa cadere, sia tutt’altro che gradevole. Ma considerate, per un attimo, l’alternativa! Ora, è largamente noto che gli animali di grossa taglia necessitino di spazi adeguati al loro essere, imprescindibilmente, selvaggi. E spesso si parla, tra telegiornali ed articoli di gran visibilità, della tragica condizione dell’orso bruno marsicano, per non parlare dei suoi distanti cugini d’altre nazioni o continenti, che notoriamente vagano per colli e foreste sempre più ridotte, entrando talvolta in conflitto con gli agricoltori e/o gli allevatori di dette regioni, che per l’appunto, dovranno pur campare. E un erbivoro corridore, per quanto aggraziato ed elegante, non può che essere considerato un pasto potenziale con le zampe, per chi vive in condizioni d’indigenza. Senza l’allevamento, quanti cervi sopravvivrebbero, oggi, in Messico? E se catturarli è un passaggio necessario alla riproduzione, potenziata con finalità di produzione della carne, è anche questo un passo necessario. Alla continuazione della specie.
Forse qualcuno potrebbe a questo punto chiedersi se dopo tutto, un metodo tanto medievale all’apparenza sia il migliore disponibile ad un tale scopo. Quando tanto spesso abbiamo avuto modo di encomiare, nei documentari per la Tv, l’efficienza del tipico fucile spara-siringa, in grado di addormentare un leone nel giro di 15 secondi, permettendone l’assistenza sanitaria e così via. Mentre questo particolare approccio del cannone a rete fu inventato negli anni ’70 in Nuova Zelanda (secondo il sito enciclopedico Te Ara, da un certo Ernest Jones, di Takaka) in osservanza ad alcuni ottimi vantaggi che poteva offrire: punto primo, si poteva usare senza l’acquisizione di una licenza. E secondo, presentava meno rischi per l’animale. Sbaglia a lanciare la tua rete, l’animale verrà colpito da una delle quattro asticelle metalliche che agiscono da peso, riportando una lesione in genere di lieve entità. Ma sbagliando la dose della droga chimica, quello non si sarebbe svegliato mai più.

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