Così è tornato dopo mezzo secolo (forse) il draghetto dell’erba e del sole

L’estinzione di una creatura è soltanto raramente in grado di presentarsi come un singolo e preciso evento, da segnare in modo inequivocabile sul calendario. Benché ciò possa succedere, se qualcosa è andato fondamentalmente per il verso sbagliato, come nel caso del Tilacino o Tigre della Tasmania: un singolo esemplare mantenuto in uno zoo, che spira nella più totale assenza di qualsiasi opportunità riproduttiva. Molto più comune, ed egualmente triste nel suo risultato finale, è la graduale presa di coscienza che creature un tempo onnipresenti sono diventate progressivamente rare, quindi quasi impossibili da incontrare. Ed infine, soltanto un vago ricordo. Ed è così che in epoche antecedenti a quella moderna, nascevano infinite leggende sui criptidi e mostri di varia natura, ivi incluso quello totalmente imprescindibile d’infine leggende o saghe: il drago. Mentre in Australia, dove il distintivo folklore dei nativi e la relativa ragionevolezza dei coloni, giunti presso questi lidi soltanto ai margini del XIX secolo, un tale appellativo è stato da sempre riservato ad una forma di vita biologica effettivamente e materialmente presente in queste terre, almeno fino all’epoca in cui i Beatles stavano ancora rilasciando alcuni dei loro dischi più famosi. Tympanocryptis, hai presente? [La lucertola] “con le orecchie nascoste” ed a dire il vero anche incomplete, poiché mancanti di alcun tipo di apertura riservata nella pelle scagliosa ed un vero e proprio timpano funzionante. Il che è oggettivamente insolito nel mondo degli agamidi e basterebbe a dare a simili creature, imparentate alla lontana con le iguane, un aspetto sottilmente inquietante. Se non fosse che stiamo parlando di animali non più lunghi di una quindicina di centimetri, in base alla specie, ed oggettivamente anche piuttosto graziosi. Poiché di varietà riconosciute dei cosiddetti draghetti dell’erba o grassland ce ne sono (almeno) 23, difficilmente distinguibili tra loro al punto che affermare che negli anni sia stata fatta della confusione sarebbe, a conti fatti, il più ottimistico degli eufemismi. Particolarmente in relazione al protagonista dell’entusiastica notizia della scorsa settimana, il presunto o presumibile T. pinguicolla alias drago di Victoria, più volte spostato dal punto di vista tassonomico e in origine accorpato in una singola specie assieme con il T. lineata ed il T. petersi tipico della provincia di Canberra. Tutti egualmente in bilico di fronte al baratro dell’evoluzione, per la predazione spietata da parte dei gatti domestici e la riduzione dell’habitat, benché il tipo appena “ritrovato” costituisca da questo specifico punto di vista un caso estremamente particolare. Tanto da aver portato numerose testate internazionali a divulgare il termine di paragone offerto dai ricercatori, inclini ad evocare niente meno che la tigre stessa della Tasmania…

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L’enorme testa della tartaruga con lo sguardo uscito da un catalogo di mascotte giapponesi

Nel videogame di abbinamento Puzzle Fighter, nato nelle sale giochi degli anni ’90, gli orgogliosi praticanti di arti marziali della principale serie di combattimento della Capcom compaiono tra le due aree di “lavoro” dello schermo, entro le quali i giocatori sono impegnati a combinare e far esplodere le gemme di vari colori. In base a quello che succede nella rispettive giurisdizioni, quindi, ciascun guerriero attacca, si difende o mette in pratica le acrobatiche “mosse speciali” per cui è diventato celebre, specialmente all’interno di un successo senza tempo come Street Fighter 2. Ad uno sguardo attento, tuttavia, non sfuggirà di certo una fondamentale alterazione delle loro proporzioni: il corpo piccolo e la testa sovradimensionata di almeno il 70% rispetto a quella di un individuo adulto, ricordando piuttosto quella di un bambino molto piccolo o persino un neonato. Si tratta di un’applicazione in senso stretto e tra le più famose dello stile d’illustrazione e character design denominato Super Deformed (o SD) particolarmente celebre in Giappone, forse per analogia col tipico costume da mascotte o yuru-kyara ( ゆるキャラ) personaggio antropomorfo utilizzato in ogni sorta d’attività promozionale, evento per il grande pubblico o prodotto delle comunicazione aziendale. Un modo di vedere e interpretare i principali agenti di una storia che ricorre, in epoca più recente, nella serie ludica dei Pokémon, molti dei quali appaiono come basati su animali particolarmente comuni. Ed altri, vere e proprie rarità della natura, esseri che in molti avrebbero l’inclinazione a definire come fantasiosi, finché un video pubblicato casualmente online non riesce a fargli cambiare repentinamente uno dei propri fondamentali preconcetti in merito all’esistenza. Sto parlando, per l’appunto, del riconoscibile esemplare di Chewtle (num. 833) o Wartortle (num. 008) mostrato l’altro giorno sul canale TikTok vietnamita di 47ruacanhphongthuybmt, poco prima di essere ripreso da Reddit, YouTube ed innumerevoli altre risorse, sollevando il tipo d’interesse ed entusiasmo che avremmo facilmente potuto aspettarci in materia. Difficile non rimanere colpiti, d’altra parte, dall’aspetto di questo notevole animale, ragionevolmente simile al tipo di rendering o effetto speciale utilizzato nella realizzazione di un film con grafica computerizzata o altra opera d’intrattenimento fortemente contemporanea. Non che il piccolino sembri rendersene conto, vista la sua semplice e acclarata appartenenza alla specie scientifica del Platysternon megacephalum, ovvero letteralmente in lingua latina (Tartaruga dal…) “Petto-piatto e la testa-enorme” così come perfettamente idrodinamico riesce a dimostrarsi il suo intero corpo, mentre si aggrappa saldamente alle rocce sul fondale di un fiume o torrente, aspettando prede all’interno del suo ambiente prototipico di appartenenza. Situato in varie regioni della Cina, la Thailandia, la Birmania, il Vietnam e il resto dell’Asia Meridionale, dove risulta essere, tuttavia, più raro ogni giorno che passa nelle almeno tre sottospecie riconosciute. Per la fondamentale condanna che deriva dall’essere troppo desiderabile, eccessivamente affascinante, nonché tristemente funzionale alle somministrazioni taumaturgiche dell’impietosa medicina tradizionale cinese (MTC). Che tanti danni ha causato e continua a causare, nel corso della storia recente della conservazione animale…

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Gli occhi di soppiatto nella sabbia del simpatico serpente scavatore

Ho attraversato il deserto su un cavallo senza nome. È stato bello dimenticare la pioggia. Tra le Dune, nessuno può farti del male… A patto di produrre una quantità limitata di vibrazioni. Come dicevano i mercanti di spezie nei loro lunghi viaggi solitari: “Non produrre suoni troppo forti e muoviti sempre in maniera discontinua. Se non vuoi richiamare su di te l’ira del grande dio sopito Shai-Hulud.” Colui che siamo soliti chiamare più semplicemente il verme delle sabbie, senza scomodare l’appellativo fantascientifico di popoli distanti su pianeti dove l’acqua tende ad essere frequentemente un sogno proibito. Il che porta ad una ragionevole quantità di miraggi e irragionevoli deliri, che devono per forza includere la percezione falsata delle proporzioni animali. Come spiegare, altrimenti, la percezione di qualche timida propaggine scagliosa tra le sabbie come il dorso di un’entità dalle proporzioni spropositate, capace di fagocitare facilmente un autobus gremito di turisti che puntano il dito. A patto che non siano stati già “serviti” dalla spregiudicata ospitalità della frontiera. D’altra parte ogni elucubrazione in merito a simili problematiche risulta essere, inerentemente, una questione di prospettiva. Così come quella alta pochi centimetri da terra, del punto di vista di un roditore o compatta lucertola questo è come Tremors, il divoratore di ogni cosa che si aggira nel suo dominio. Con gli occhi di una sogliola posizionati, molto convenientemente, sopra la sommità di una testa caratterizzata della forma approssimativa di una vanga.
Un’espressione senza dubbio curiosa, quella dell’Eryx jayakari, benché derivi essenzialmente dalla particolare morfologia di cui ha provveduto a fornirlo l’evoluzione. Piuttosto che il poco probabile desiderio d’esprimere un sentimento, sebbene siamo in questo caso ben lontani dall’ineluttabile mancanza d’occhi e lineamenti del più famoso, imponente, fortunatamente fantastico essere longilineo che condivide il suo stesso ambiente di provenienza. Ferma restando una condivisione inaspettata delle stesse priorità ecologiche e modalità di sopravvivenza, visto come entrambi strisciano, scavano e trascorrono le proprie giornate sotto il velo impenetrabile dei granuli di silicati prodotti da millenni di pioggia e vento. Finché la secchezza ha reso inclemente questo clima, al punto da favorire gli esseri che hanno imparato a nascondersi dalla spietata luce solare. Appartenente alla famiglia sorprendentemente diversificata dei boa delle sabbie composta da 13 specie più le relative varianti, di cui rappresenta un esponente di dimensioni notevolmente contenute raramente superiori ai 38 cm, quello che viene spesso definito come “erice dell’Arabia” fu scoperto probabilmente da un nativo di nome Jayakar, benché la prima classificazione scientifica risalga solo al 1888, ad opera del naturalista belga George Albert Boulenger. Di certo rimasto, a suo tempo, non meno colpito di noi all’incontro con una creatura che sembrava scrutarlo di sottecchi, mantenendo gelosamente sottoterra la preziosa cassapanca dei suoi segreti…

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La coda da spinosauro del più anacronistico draghetto delle Filippine

Nell’ideale gerarchia del pericolo rappresentato dai dinosauri carnivori, siamo stati abituati a porre in cima il tirannosauro dalle forti zampe, le grandi fauci e la presumibile capacità di correre persino più veloce di svariati veicoli a motore, come una jeep lungo il percorso accidentato di un cinematico Jurassic Park. D’altra parte il progredire della scienza moderna, negli ultimi trent’anni, ha non soltanto iniziato a sospettare per il grande superpredatore la copertura di un soffice manto piumato, ma anche un’indole molto più letargica e saprofaga di quanto avremmo sospettato per analogia coi grandi carnivori dei nostri giorni. Laddove il pericolo di un’ideale viaggiatore a ritroso nel grande fiume del tempo, comunque indubbiamente significativo, sarebbe forse stato superiore al cospetto di altre specie carnivore della stessa Era, vedi la creatura bassa, lunga e ornata dalla svettante vela in grado di estendersi dalla schiena fino al punto mediano di una forte coda. In altri termini l’enorme coccodrillo del Tardo Cretaceo, lungo fino a 18 metri e dalle 20 tonnellate di peso, riportato alla luce e descritto nel 1996 in Marocco dopo un singolo esemplare, comunque più piccolo, scovato nel 1915 in terra egiziana. Un vero mostro tra i terapodi, comparso anche sul grande schermo nel terzo film nel più recente anno 2001. Eppure molti tra gli spettatori del terzo più vasto arcipelago dell’Asia Orientale avranno probabilmente reagito all’epoca con un senso di quel tipo d’entusiasmo che deriva dall’affinità geografica, accompagnato da un’esclamazione in linea con “Ma io quell’animale lo conosco!” E assieme ci ho trascorso molti pomeriggi d’armonia lungo le acque gorgoglianti dei fiumi, intento ad osservare le sue pacifiche interazioni coi co-specifici ed occasionali battute di pesca. Orbene l’Hydrosaurus pustulatus, o draghetto d’acqua, è in effetti una visione alquanto comune nei dintorni di questi luoghi selvatici, sebbene sia possibile trascorrere la propria vita all’interno di un contesto urbano senza mai scorgerne uno coi propri occhi. A meno di essere filippini e al tempo stesso personalmente interessati all’erpetologia, caso in cui l’acquisto e possesso di una lucertola nativa di siffatta guisa riesce ad essere economicamente accessibile, nonché in linea con le aspettative di una semplice convivenza domestica all’interno di un terrario direttamente esposto al clima umido delle locali circostanze. Mentre le cose diventano naturalmente più difficili qualora si abiti altrove, particolarmente per la moratoria sull’importazione di questa specie imposta a partire dalla fine dello scorso secolo, causa una riduzione della popolazione complessiva più che altro dovuta all’utilizzo del suo habitat naturali per scopi affini al concetto universalmente distruttivo del progresso. E tutto ciò benché siamo davanti, tutto considerato, ad una tipologia di lucertola agamide, ovvero cognata delle iguane, assolutamente adattabile in forza della sua natura onnivora, che la porta a divorare normalmente grandi quantità di frutta e verdura, accompagnate soltanto raramente da qualche pesce, piccolo mammifero o altro rettile di passaggio. Nella cattura dei quali risulta essere straordinariamente efficiente anche in situazioni anfibie, grazie alle forti zampe dai piedi larghi e piatti nonché l’iconica coda crestata irta verticalmente, perfetta per generare una migliore spinta mentre si trova immersa sotto l’acqua delle sue turbinanti circostanze ambientali d’elezione. Perché di certo appare assai difficile, come nel caso del suo sopracitato antesignano preistorico, osservarne la presenza lontano dal corso rinfrescante dei corsi d’acqua locali…

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