Cantami o Diva, del pelide Figan l’ira funesta, che tanti lutti addusse ai Kahama, di Godi, De, Hugh e Charlie. Che gettò in preda all’Ade questi scimpanzé gagliardi, ne fece il bottino dei licaoni, e tutti gli avvoltoi (così il volere di Satana fosse compiuto) da quando prima si divisero, contendendo Hugh il sire di Gombe e il Divo dei suoi fratelli. Ah, l’ebbrezza del contendere. La gloria della conquista! Quanto spesso abbiamo idealizzato il desiderio molto umano di seguir la gloria, quasi fosse un simbolo profondo della nostra stessa superiorità terrena. Giacché gli animali, con le loro menti semplici, non sanno cos’è l’odio? Sono “migliori” di noi altri, non potendo possedere aspirazioni? Questa era l’idea del tempo e ciò pensava anche la stessa Jane Goodall, l’incomparabile naturalista britannica, che a partire dal 1960 si era trasferita in Tanzania, per vivere a stretto contatto con un’ideale comunità di menti semplici, la truppa di scimpanzé nota come gruppo di Kasakela, considerata società pacifica e naturalmente incline a tratteggiare placide corrispondenze con le tribù vicine. Ella stessa avrebbe raccontato, in seguito, di aver partecipato all’inesatta percezione di queste creature, tanto simili eppur così diverse, poiché prive dei pericolosi agganci concettuali all’elaborazione della furia diventata istituzionale. Ma l’odio può percorrere molte diverse strade parallele e forse non c’è n’è una più efficiente, che il fondamentale sentimento collettivo di essere stati vittima di un tradimento, perpetrato ai danni della collettività entro cui si giunti alla propria maturità individuale. Ciò iniziò a concretizzarsi verso l’inizio del 1974, quando l’ormai anziano primate Mike che tanto a lungo aveva indossato l’invisibile corona di maschio alfa per i 14 guardiani di questo particolare distretto del parco naturale di Gombe, vide formarsi ai margini meridionale del suo territorio un gruppo secessionista sotto il comando dei due consanguinei Hugh e Charlie, ben presto seguìti da quattro futuri potenziali compagni d’arme, incluso l’anziano e rispettato Goliath, precedente stratega del gruppo di Kasakela nonché inventore, tra le altre cose, di un sistema per mangiare le termiti tramite l’impiego di un lungo bastone. Un gruppo destinato ad essere chiamato la fazione di Kahama. Ora per comprendere l’origine del problema, occorre sottolineare come il tipico bioma forestale della Tanzania fatichi effettivamente a supportare le abitudini alimentari di una truppa di scimpanzé, portando questi ultimi a comportamenti fortemente territoriali. E che il conflitto tra gruppi distinti, tutt’altro che inaudito prima di quel fatidico momento, prevedeva nei testi d’etologia occasionali incontri con grida, ruggiti e occasionali scaramucce in cui i meno potenti, responsabilmente, ritornavano verso le proprie roccaforti fuori dalle zone oggetto del contendere tra le fazioni opposte. Ciò che l’incredula Godall si sarebbe trovata tuttavia a sperimentare in quel frangente, assieme ai suoi colleghi non meno basiti, sarebbe stato il concretizzarsi sistematico di vere e proprie spedizioni punitive organizzate da ambo le parti. Con una sola, possibile mansione progettuale: l’uccisione generazionale e occasionale fagocitazione dei propri nemici…
natura
La rara spada vegetale che scaturisce dalla terra intrisa delle ceneri di un vulcano
Come nel romanzo epico delle Isole scritto da Michener nel ’59, la capostipite raggiunse le pendici del Mauna Kea hawaiano armata dei suoi metodi, le sue prerogative, nient’altro che le ottime speranze possedute da un semplice seme. Una semplice asteracea in fieri, del tipo che cresceva all’epoca più che altro nei campi di catrame della California, in qualche modo riuscita ad aggrapparsi rimanendo intrappolata tra le piume di un uccello migratore. Forse un piviere (Pluvialis Fulva) o magari una berta dell’Oceano (Puffinus spp.) che giunti oltre i confini di queste remote coste, se ne liberarono là sopra, lasciandola cadere sulla terra scarna e priva di bacini idrici degni di nota. Eppure senza acqua preminente, una pianta può riuscire a sopravvivere, se le sostanze nutritive sono sufficienti. E così quell’ancestrale pianta erbacea riuscì a creare almeno un fiore prima di tornare al grande vuoto della non-esistenza. Ben presto seguìto dall’essenziale capsula dei semi. Molti furono i millenni necessari, per non dire eoni, affinché i discendenti di una tale esploratrice raggiungessero lo stato necessario a prosperare in quell’ambiente. Favorendo alcuni tratti a discapito di altri, per dare i natali ad una delle piante più notevoli ed atipiche di questo intero bioma e del mondo. Sarà opportuno, a questo punto, esplicitare i fatti: c’è soltanto un luogo dove cresce l’effettiva Argyroxiphium sandwicense, ed un altro per la sua cugina A. kauense. E così via a seguire, per ciascuna placida depositaria della cosiddetta alleanza delle Silversword (Spade d’Argento), egualmente collegate a stretto giro a una specifica colata lavica, completa di un particolare gradiente, circostanze climatiche, direzione del vento. Ponendoci di fronte a pieno titolo a quello che potremmo definire come l’apogeo dell’endemismo: esseri viventi senza termini di paragoni, rari e inconfondibili. Letteralmente inesistenti altrove.
E quale splendido spettacolo doveva essere stato, negli anni ormai remoti della sua abbondanza, una macchia di queste rappresentati locali della genìa dei girasole, carciofi e margherite, famosamente descritta dalla scrittrice e viaggiatrice Isabella Bird nel 1890 come “Personificazione dell’inverno o della luce lunare”, prima che i risvolti progressivi delle condizioni contestuali si trovassero a contribuire ad un’accentuazione del successivo secolo di privazioni. Poiché vedete, lo stesso punto chiave di una pianta simile, il suo pretesto necessario all’esistenza, è la totale mancanza di erbivori affamati all’interno del proprio areale di riferimento. Una condizione destinata a scomparire con l’espandersi dei territori dedicati alla pastorizia, alture dove capre, pecore e bovini erano lasciati pascolare senza limiti. Senza contare il più terribile pericolo di tutti: il turista in cerca di esperienze da inserire nel taccuino della sua memoria…
Guidando nel Guizhou: le stalattiti sull’asfalto ci accompagneranno all’altro lato della montagna
Manifestazione notturna di una delle paure ataviche dell’uomo, è l’incubo di chiunque abbia mai praticato anche soltanto una volta la nobile arte amatoriale della speleologia: trovarsi all’improvviso, senza una ragione registrata a chiare lettere nella memoria, all’interno di un pertugio obliquo da cui liberarsi manca di sembrare facile, o scontato. Apogeo della temuta circostanza, in cui non si può andare avanti e neanche indietro, con tutto il peso del massiccio che minaccia di schiacciare il nostro stesso senso della ragionevole coerenza situazionale. Prendete come termine di paragone, adesso, il caso molto più mondano di essere alla guida e non poter tornare facilmente nella vostra dimora. Bloccati nel traffico, oppure vittime di un sostanziale restringimento della viabilità, o ancora condotti fuori strada da un navigatore che ha dimenticato il volto stesso del suo creatore. Presso luoghi dove tendono a convergere, in maniera non del tutto prevedibile, i due punti estremi dello spettro fin qui delineato, frapponendo un tipo di esperienza notevole ma non del tutto raccomandabile per chi soffra di claustrofobia e/o crisi di panico alla guida. Circostanza videografica del tipo replicato molte volte online, con il tipico profilo di un contenuto virale per Facebook, Instagram, Tiktok e le molteplici alternative non altrettanto famose, osservate per comparazione la notevole sequenza in prima persona di questo singolare attraversamento. Dove l’apertura dall’aspetto totalmente naturale, nel fianco di un rilievo collinare ricoperto di vegetazione, lascia presto il passo ad una vera galleria del tutto percorribile senza lasciare la presa sul volante del proprio fidato mezzo di trasporto su ruote. Un tunnel stradale, da ogni punto di vista rilevante, ma di un tipo che potrebbe non avere termini di paragone nell’intera storia della viabilità antica e moderna. Giacché nulla è stato fatto, nella casistica di chiara pertinenza, per dare uniformità alle adiacenti pareti né coprire con il tipico soffitto ad arco la carreggiata. Il che restituisce l’esperienza incomparabile di stare percorrendo l’antico paesaggio di una caverna carsica, così come la natura stessa ne aveva lungamente scolpito l’estensiva cavità mediante gli acidi presenti nelle infiltrazioni idriche venute dalla superficie. Il che non sarebbe stato poi così lontano dalla verità almeno fino all’anno 2021, quando quasi l’intera collettività di 238 persone del villaggio rurale di Baigong, nella contea di Changshun, provincia di Guizhou ebbe la ragione e il chiaro intento d’imbarcarsi in un progetto collettivo: l’allargamento sistematico del varco in questione, storicamente “percorribile soltanto da cani e gatti” affinché fossero da quel saliente momento gli automezzi e motocicli, a poterlo iscrivere tra i distretti adibiti al transito della propria veicolare esistenza. Così da trasformare l’ora abbondante di tragitto lungo tortuose strade di montagna in appena 10 minuti per passare da un lato all’altro della massiccia barriera paesaggistica. Un significativo quanto apprezzabile margine di miglioramento…
Ecce Datura, la capsula spinosa che contiene i semi del babelico delirio e del caos
Difficile fu sempre la profonda aspirazione, dei cosiddetti imperi di epoca moderna e contemporanea, a governare su ampi territori da una capitale posta all’altro capo di oceani, vasti continenti, insuperabili catene. Poiché il tipo di priorità anteposte da coloro che non hanno mai davvero potuto sperimentare le reali condizioni e implicazioni di un territorio, mai potranno sostituire il punto di vista critico posseduto dai legittimi abitanti di quelle foreste o amene pianure. Almeno finché il sollevarsi di una ribellione, prevedibile quanto spietata, non recida quei legami simili a un lunghissimo cordone ombelicale. In tal senso uno dei primi tentativi di rivendicare un qualche tipo d’indipendenza americana avvenne sotto la supervisione del mercante ed avventuriero Nathaniel Bacon nel 1676 in Virginia, quando lui ed i suoi si rifiutarono di scacciare i Nativi dai loro territori ancestrali. Alleandosi piuttosto con loro e puntando le armi contro i britannici nelle caserme e piazze d’armi di Georgetown, in una sommossa che avrebbe letteralmente dato fuoco all’intero centro abitato di epoca coloniale. Uno dei resoconti maggiormente inaspettati ed interessanti della vicenda, tuttavia, sarebbe stato redatto dal politico e coltivatore del luogo Robert Beverley Jr, venuto a conoscenza di una strana esperienza di alcune giubbe rosse che avevano accidentalmente trangugiato, durante la preparazione di una zuppa con ingredienti foraggiati localmente, alcune foglie e fiori della strana pianta nota come Whisky degli Indiani, così chiamata a causa dei presunti effetti inebrianti causati dalla sua consumazione benché negli anni successivi avrebbe assunto l’appellativo inglesizzato di jimsonweed. Ebbene costoro, nei risvolti a tratti tragicomici di quel racconto, iniziarono immediatamente a comportarsi in modo straordinariamente atipico, con uno di loro che passava ore a far volare una piuma soffiando, mentre il secondo gli lanciava fili d’erba. Mentre il terzo seduto da una parte, completamente nudo sghignazzava all’indirizzo d’interlocutori inesistenti. Ed il quarto cercava di attirare l’attenzione degli altri, atteggiando il propri volto a “Più smorfie di una farsa teatrale d’Olanda.” Messi sotto sorveglianza per la propria stessa sicurezza, i soldati si sarebbero quindi ripresi dopo il trascorrere di alcuni giorni. Benché sia ragionevole pensare che, dal punto di vista dei malcapitati, tale arco di tempo possa essere durato l’equivalente di mesi, o persino anni.
Questo il potere del genere di piante alte fino a due metri dalle origini centroamericane, appartenente allo stesso ordine dei pomodori e del tabacco, la cui caratteristiche caratterizzanti dal punto di vista botanico includono la tendenza a sbocciare unicamente dopo il sopraggiungere del vespro e per l’intera durata delle ore notturne, fino alla creazione di una capsula dei semi dalla forma tondeggiante, ricoperta di agguerrite spine in grado di richiamare il profilo sfrangiato delle foglie stesse. Che la scienza chiama Datura, benché il nome popolare ed internazionale preferito sembri essere quello di trombe del Diavolo, causa la forma a calice di tali fiori che crescono in maniera perpendicolare al suolo. E la capacità di evocare, per chiunque sia abbastanza folle da consumarle, una ragionevole approssimazione dell’Inferno in Terra…