L’invisibile “castoro” che costituisce l’ultimo depositario dei potenti roditori della Preistoria

Largamente comprovata è la comune affermazione secondo cui “Se abbatte gli alberi come un C, costruisce dighe come un C. e possiede una coda larga e piatta come un C, trascorrendo lunghe parti della sua giornata in acqua come un C. allora chiaramente, amici miei, quell’animale non può essere altro che un Castoro!” Ancorché l’evidenza del mondo reale giunga per provarci come, a conti fatti, basta possedere una superficiale somiglianza a quel particolare tipo di creature, perché il senso comune scelga di chiamarti esattamente allo stesso modo. Il che risulta particolarmente egregio nel caso dell’anomalia monotipica dell’Aplodontia rufa, ultimo rappresentante della sua famiglia e singolo appartenente di un genere che in senso biologico vede risalire la propria ininterrotta discendenza fino all’epoca del medio-tardo Eocene (45-33 milioni di anni fa) proprio in funzione del fatto che in realtà pochissime persone, all’interno del suo vasto areale che include la California, gli stati del Nordovest e la prima parte della costa canadese, possono in tutta sincerità affermare di averlo mai visto con i propri occhi senza nessun tipo d’intermediario. Ed a dire il vero anche soltanto confermare di conoscerne semplicemente l’esistenza. Questo per una serie di fattori inclusivi della naturale timidezza dell’animale, ma anche le sue abitudini notturne e crepuscolari nonché la comprovata predisposizione a scavare tane sotterranee, dove si nasconde per la maggior parte del tempo da ogni tipo di possibile predatore. Al punto che persino le sue feci vengono deposte sottoterra, dentro una latrina dedicata che le tenga nascoste da nasi ed occhi di eventuali nemici. Un’importante precauzione per l’animale delle dimensioni di un topo muschiato (300-500 mm) che ancor prima della descrizione scientifica del 1817 veniva definito il castoro di montagna, la cui indole bonaria, scarsa agilità e sensi non particolarmente sviluppati lo renderebbero altrimenti una facile preda di un vasto ventaglio di carnivori all’interno delle foreste temperate che costituiscono il suo habitat di riferimento primario. Diviso formalmente in sette sottospecie, ciascuna diffusa principalmente in una specifica regione ma quasi tutte (escluso l’A. r. rainieri) attestate in quantità variabile all’interno della California, gli aplodontidi non hanno alcun grado di parentela particolarmente stretto con gli attuali castori, risultando nella realtà dei fatti una diramazione periferica dell’albero della vita, che si trova adiacente a quella degli sciuridi o scoiattoli dell’epoca contemporanea. Pur possedendo una conformazione cranica e muscoloscheletrica che ricorda piuttosto il batiergide o ratto talpa (Heterocephalus glaber) che potrebbe a sua volta aver ereditato la propria postura da un’antica linea di istricomorfi. Laddove gli antenati del pacifico Mr C. risutlavano essere caratterizzati dal possesso di una caratteristica decisamente più riconoscibile, ed al tempo stesso particolare…

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L’occhio dell’anatide progenitore, venuto dall’Egitto per modificare l’ecosistema europeo

Intuire la vera natura delle cose, piuttosto che comprendere l’aspetto intrinseco degli animali, significa talvolta osservare a lungo e attentamente, confrontare i dati, saper cogliere i particolari. In altri casi, basta essere abbastanza fortunati nelle contingenze: può in effetti capitare presso fiumi, laghi o stagni della maggior parte d’Africa, di scorgere un uccello rossastro con gli occhi cerchiati di marrone fare ciò che gli riesce meglio: galleggiare andando in cerca, con il proprio becco, delle prede minuscole nascoste in mezzo ai flutti. Se non che più passano i minuti, subito seguiti dalle ore, maggiormente sarà chiaro che costoro si cimentano piuttosto raramente nel tipico tuffo delle oche o anatre, che culmina con il ritorno in superficie coincidente con l’azione masticatoria. Ma piuttosto tornano regolarmente a riva, per andare in cerca di semi, foglie, erba e insetti del sottobosco. Questo perché la cosiddetta oca egiziana non fa esattamente parte di quel gruppo tassonomico da cui riceve il nome. Avvicinandosi piuttosto, per quanto possibile, al gruppo tassonomico delle bernacce, anatidi viventi al giorno d’oggi per lo più in Sudamerica, sebbene un tempo avessero un areale assai probabilmente cosmopolita. Ciò benché, risulta utile specificarlo, la qui presente Alopochen aegyptiaca sia di un genere del tutto monotipico in realtà più simile alle anatre, il che la rende priva di parenti che non siano stati, nella più recente delle ipotesi, cacciati fino all’estinzione dai nostri progenitori. Un destino che sarebbe in effetti potuto toccare anche a lei, se non fosse stata giudicata sacra all’epoca degli antichi Egizi, quando assieme ai gatti veniva addirittura allevata nei recinti del tempio, per gli occasionali sacrifici destinati alla consacrazione di una data, un gesto, un sommo faraone regnante. Da sempre messo in relazione con il padre degli Dei, Geb, signore della Terra che ne recava un effige sopra il capo nei geroglifici impiegati per rappresentarlo, questo uccello è stato anche collegato al fondamentale concetto dell’uovo cosmico, macrogamete da cui avrebbe tratto origine lo spazio planetario ed ogni essere che oggi deve condividerlo con gli uomini depositari della verità.
Molti secoli, svariati millenni sarebbero trascorsi dunque, affinché un’impostazione più scientifica venisse adottata nell’approfondimento di tali diffuse e riconoscibili creature, da parte di Linneo stesso nel suo Systema Naturae del 1766, ove qualificò il pennuto sulla base di una descrizione creata qualche anno prima dal suo collega Mathurin Jacques Brisson. Che l’aveva originariamente chiamata Anser Egyptiatiacus, binomio destinato a successiva alterazione per le differenze dall’oca europea, ed il diverso modo di riportare quel toponimo nella terminologia corrente. Non che ciò avrebbe impedito, alla svolazzante proprietaria, di cercare in seguito fortuna all’altro capo del Mar Mediterraneo…

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Un guizzo nel torrente montano: la preziosa storia dell’ornitorinco europeo

Colonizzata in ogni angolo e modificata fin dai tempi antichi per accogliere gli umani e dare spazio alle loro esigenze, l’Europa è il regno non così selvaggio di mammiferi largamente simili tra loro: piccoli mustelidi, qualche timido ungulato, i pochi orsi e/o lupi rimasti in remote valli fluviali o montane. Poche tracce della biodiversità tipica degli altri continenti sopra e sotto l’Equatore, sebbene molte delle linee di discendenza possano essere remotamente ricondotte ad antenati comuni. Con pochissime, ma estremamente significative eccezioni. A cosa potrebbe mai davvero assomigliare, a tal proposito, il Galemys pyrenaicus, desman o rat-trompette non più lungo di 25 cm, originario della cordigliera situata sul confine tra Francia e Spagna? Con un’altra specie simile, sebbene grande il doppio e appartenente a un genere tassonomicamente distinto, individuabile nel Desmana moschata della Russia europea, che abita negli elevati torrenti degli Urali, oltre a svariati affluenti del Volga e del Don. Creature con la simile abitudine di dare la caccia a larve d’insetti ed altri invertebrati subacquei, un compito per il quale l’evoluzione sembrerebbe averlo attrezzato con notevole perizia. Trovandoci effettivamente innanzi, in entrambi i casi, a creature composite degne di un illustratore medievale dalla fantasia particolarmente sviluppata: con una parte posteriore simile ad un ratto comune, fatta eccezione per le zampe palmate adibite al nuoto, mentre quelle anteriori dotate di artigli lo rendono effettivamente simile a una talpa scavatrice, laddove la caratteristica ed articolata proboscide ricorda, in modo superficiale, il muso tipicamente rappresentativo di un toporagno. Sebbene l’efficacia sensoriale della stessa, molto più grande anche in proporzione e fornita di mobilità eccellente, si trovi letteralmente all’apice si quanto il mondo animale abbia saputo produrre, soprattutto dal punto di vista della percezione tattile dei movimenti delle sue microscopiche prede. Ciò grazie alla presenza in quantità preponderante delle cellule specializzate note come organi di Eimer, delle papille innervate dalla precisione eccelsa e coadiuvata, nel presente caso, da un giro di vibrisse alla radice di tale organo tanto caratteristico ed importante per la sopravvivenza del piccolo predatore. Completa la dotazione un organo di Jacobson o vomeronasale, calibrato per la percezione di una gamma di odori e sostanze chimiche che noialtri non potremmo neppure cominciare ad immaginare. Il tutto facente capo ad un sistema cognitivo in alcun modo inferiore a quello degli intraprendenti topi domestici ed urbani, capace di permettergli la decodificazione di segnali complessi, la memoria delle forme, la deduzione finalizzata ad individuare possibili fonti di nutrimento…

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Alberi di sangue: come vanno inaspettatamente a caccia gli scoiattoli californiani

Il volto del terrore non ha tratti o lineamenti che compaiano invariati in ogni circostanza conosciuta dagli uomini o la natura. Ciò che implica un intento distruttivo, egoistico, esiziale può trovare fondamento negli avversi presupposti ed anche in circostanze che ci sembrano rassicuranti, per l’accumulo delle esperienze pregresse. Riuscireste mai ad immaginare dei secondi fini, nell’immagine bucolica di uno scoiattolo che scava una buca? “Certamente, egli avrà intenzione di deporvi noccioline per l’inverno.” Penserete. “Che simpatica, operosa piccola creatura.” D’altra parte voi non siete, arvicole. Placidi roditori del sottobosco, topi totalmente innocui che si nutrono esclusivamente di vegetali. Ogni appartenente alla genìa di Gigio di suo conto resta sempre una creatura opportunista. In grado e con i presupposti per nutrirsi di ogni cosa commestibile di questa Terra, inclusi altri e meno forti, rapidi, scaltri esseri viventi. Così il predatore (di semi, radici e foglie) può talvolta diventare la preda. Di un essere abbastanza simile nel suo complesso, da evocar l’immagine dell’orrido cannibalismo.
A scorgere per primi la casistica sono stati, accidentalmente, i ricercatori dell’Università del Wisconsin coinvolti nel progetto decennale per l’osservazione degli sciuridi all’interno del parco naturale di Briones, situato nella parte orientale della Baia di San Francisco. Dove giusto nel corso dell’ultimo anno, a causa di un mutamento delle circostanze climatiche e gli ostacoli antropogenici al normale andamento dell’ecologia, è stato riscontrato un aumento esponenziale della popolazione collettiva di Microtus californicus, un tipo di vole (o arvicola) della lunghezza di 196 mm che va in cerca di cibo soprattutto nelle ore crepuscolari, facendo affidamento sul suo mimetismo e furtività per evitare di attirare l’attenzione dei predatori. Pur non risultando essenzialmente preparata, nel proprio patrimonio genetico e comportamentale, a salvaguardarsi da un nemico come l’Otospermophilus beecheyi o scoiattolo di terra californiano di fino a 300 mm di lunghezza, tanto adattabile alle circostanze da essersi messo in modo metaforico ad affilare gli artigli. Imparando, con la pratica, il sistema per balzare all’improvviso sopra l’animale dalle dimensioni più piccole. Per iniziare, come nulla fosse, a sbranarlo. Oh, visione infernale dall’impianto estetico puramente dantesco! A cosa serve la violenza in questo mondo, se non a mettere i propri bisogni al di sopra dei nostri nemici… E trasformare questo odio simile all’indifferenza, in carburante per riuscire a preservare la sopravvivenza di alcuni, a discapito di altri…

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