I giganti di Manpupuner, frammenti di un sogno geologico che la Terra ha dimenticato di cancellare

Sette soli guerrieri possono costituire per un popolo rischio esistenziale, soprattutto quando provengono dalle remote regioni della Siberia, dove il bisogno di sopravvivere, contro un clima e la natura ostile, ha da tempo lasciato i deboli nelle trascorse peripezie generazionali umane. Fino all’imporsi di stirpi genetiche descritte nelle loro Storie, senza evocare la scusa d’intercessioni divine o le gesta d’epici eroi, capaci d’inseguire un caribù al galoppo, o abbattere un orso a mani nude. Veri e propri giganti e non soltanto in senso metaforico, se soltanto volessimo interpretare un senso letterale quanto si narra da un tempo immemore nella regione di Troitsko-Pechorsky all’interno della Repubblica di Komi, nella zona nord-orientale della Russia europea. Vicende fuori dal tempo perché tramandate, nello specifico, in forma orale come parte del corpus tradizionale dei Mansi, i quali più volte entrarono in conflitto coi Nenci o Samoiedi che avevano l’abitudine di varcare in armi gli alti passi dei monti Urali. Tra cui spicca, per la propria stretta interconnessione con un sito specifico fisicamente visitabile sul territorio, la leggenda di Manpupuner ovvero la Piccola Montagna degli Idoli, connessa ad una battaglia magica che sarebbe stata vinta soltanto grazie al potere della stregoneria. Quando un potente sciamano della tribù, scorgendo i titanici razziatori all’orizzonte, si frappose coraggiosamente sul loro cammino armato soltanto del tamburo che usava durante i rituali per chiedere consiglio agli antenati. Il quale aspettando l’ultimo momento, lasciò cadere strategicamente sul terreno pietroso concedendosi una breve preghiera alle forze primordiali del cosmo. Che convergendo in quel punto fatale, intercedettero trasformando gli assalitori in pietra.
Oggi svariati secoli, o magari persino millenni da tale miracoloso episodio molti si recano ad ammirarne la remota risultanza, concretizzata nell’ombra svettante di sette rocce verticali, con un’altezza variabile tra i 30 e 42 metri, le cui forme tortuose ed imprevedibili sembrerebbero congelate nell’attimo d’ira ed agonia fatale. Particolarmente per quanto concerne la maggiore, posta ad una certa distanza nella composizione prospettica, il cui profilo ricorderebbe per l’appunto una figura umana con le braccia alzate, intenta a sollevare da terra un pericoloso tamburo sciamanico intento a rilasciare la sua magia. Benché alcuni affermino, in modo assai più prosaico, che parrebbe piuttosto trattarsi di una bottiglia in posizione rovesciata…

Tra i beni del patrimonio naturale più enfaticamente selezionati grazie ad un plebiscito popolare, tra il 2007 e 2008, per l’elenco del canale televisivo “Russia” come una delle Sette Meraviglie di quel vasto paese, Manpupuner rappresenterebbe oggi una destinazione dal massiccio potenziale turistico, se solo non fosse condizionata dalla problematica caratteristica di trovarsi a 50 Km di distanza nella taiga dal più vicino centro abitato di dimensioni anche soltanto parzialmente rilevanti. Il che ha portato gli organizzatori di escursioni locali, nel tempo, ad organizzare itinerari sempre più efficienti mediante l’impiego di mezzi fuoristrada, slitte o persino elicotteri, residuati bellici dell’Era Sovietica capaci di posarsi con sorprendente leggiadria ad appena qualche decina di metri dalla meta finale di tale una tale titanica spedizione. Per fare l’esperienza memorabile di veder sorgere il sole, idealmente, dietro le forme emergenti di queste torri rocciose, rientranti dal punto di vista della categorizzazione scientifica nel vasto insieme dei tor o kopje, le formazioni lungamente scolpite dal trascorrere pregresso dell’erosione eolica e meteorologica delle incessanti piogge locali. Tanto potenti ed agguerrite al trascorrere dei millenni da aver favorito la resistenza di determinate configurazioni mineralogiche a discapito di altre, come le quarziti e scisti duri che costituiscono il corpo principale dell’atipico monumento. Possibilmente facenti parte, nella nebbia dei tempi, di un sostrato superiore del territorio, successivamente spazzato via al volgere della grande ruota dei secoli, finché soltanto questi accumuli sedimentari dalla forma verticale sono rimasti a silenzioso ricordo di ciò che in origine c’era stato. Ancorché nella giustificazione accademica di questo luogo, sorprendentemente poco documentato all’interno della letteratura internazionale, figuri anche la possibilità di un’origine di tipo igneo, dovuta alla presenza di tubi magmatici in seguito solidificati, per essere spinti in alto dalla costante sovrapposizione dei continenti. Questioni difficilmente verificabili fino all’epoca contemporanea, con gli strumenti disponibili ed a causa del ferreo tabù mantenuto in essere dalle genti di Komi, che hanno continuato a ritenere Manpupuner come un punto di convergenza sacro, soggetto ad essere profanato semplicemente per l’avvicinarsi momentaneo di persone non iniziate ai misteri ancestrali del Creato. Al punto che si era soliti menzionare, tra i pochi fortunati visitatori, uno strana tensione spirituale nell’aria circostante le pietre, se non il delicato messaggio intelligibile trasportato dal flusso battente dei venti.
A partire dalla metà del secolo scorso, d’altronde, con la continua crescita del turismo su scala globale e la sempre maggiore ambizione della gente a sperimentare ogni cosa, fare ogni tipo d’esperienza, le credenze dei Mansi famosi per la propria indole ribelle che li aveva portati più volte in conflitto con l’autorità centrale vennero gradualmente accantonate. Pur mantenendo un ferreo divieto normativo verso il contatto diretto, o ancor peggio l’arrampicata sulle iconiche rocce della montagna. Il che non sembrerebbe del resto aver bloccato del tutto gli avventurieri più intraprendenti, come esemplificato dal famoso e discusso caso del febbraio del 2013, quando gli scalatori professionisti sponsorizzati da Redbull, Stefan Glowacz ed Uli Theinert si ripresero vicendevolmente avendo raggiunto la cima di uno dei monoliti più grandi. Impresa realizzata affrontando una lunga traversata invernale a piedi con temperature inferiori ai -40 gradi per poi limitare l’impiego di chiodi durante la salita, così da non danneggiare le antiche formazioni di quarzite. Il che non avrebbe ad ogni modo prevenuto il loro arresto, se non fossero stati tanto prudenti da lasciare immediatamente la Federazione.

Quella Russia che continua nonostante tutto ad essere un grande paese, il più vasto e forse proprio per questo maggiormente eterogeneo al mondo. Il cui territorio che il senso comune vorrebbe caratterizzato da limitati dislivelli al di fuori dalle principali catene montuose riserva cionondimeno alcune singolari sorprese, dalla contestualizzazione geologica estremamente complessa e per questo difficili da condurre fino alla saliente giustificazione finale. Un mistero senza tempo ed il mero indizio di un semplice… Nome. La dove le lancette soltanto in apparenza immobili dell’orologio del pianeta continuano, silenziosamente, a scandire l’incessante passaggio degli Eoni.

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