L’alchimista vegetale che seppe far degli alberi le sue chimere

Cento anni è un periodo piuttosto breve, noi crediamo. Non è poi da molto meno, che esistiamo. Volgendo le alte fronde al vento, che da sempre ci appartengono allo stesso modo, senza distinzioni. Mentre il vento soffia in mezzo ai tronchi, che s’intrecciano formando due dozzine diamanti. Albero della gabbia circolare; ci hanno chiamato. Oppure più stringatamente; l’arbusto-cestino di Erlandson, creatore delle meraviglie più spregiudicate; come l’incontro attentamente pianificato di 6 sicomori americani (Platanus occidentalis) trasfromati in un’unica creatura traforata, posta al centro esatto di un affollato giardino, in cui è possibile osservare cose concettualmente non dissimili come l’albero ad arco (formato da altri due sicomori) oppure l’otto composito (acero americano / Acer negundo) scolpito attentamente affinché il suo legno vivente forma una serie verticalmente successiva di nodi. E che dire della “porta girevole”, l’acero indotto a separarsi all’altezza di qualche metro in più diramazioni, formando un’apertura quadrangolare simile ai sostegni verticali di una giostra… Benvenuti, o perplessi visitatori, nel Circo degli Alberi più volte ricollocato nello spazio e nel tempo, fino alla sua sede attuale presso i Giardini Gilroy, ex Bonfante, della contea di Santa Clara in California. Dove nessuna nozione acquisita può essere data per buona e le forme più bizzarre furono prodotte da esseri viventi, secondo le precise istruzioni di un uomo. La cui voce ferma eppur gentile, tuttavia, non è più stata udita da intere generazioni…
C’è del resto un certo grado di violenza, assieme alla comprensione più profonda dei processi naturali, nella prassi creata all’inizio del secolo scorso della cosiddetta arboscultura, ovvero l’arte consistente nell’instradare e domare la crescita degli arbusti, come avviene nella tecnica giapponese dei bonsai. Ma non frenandone la crescita, bensì favorendola secondo linee guida finalizzate a un risultato particolarmente bizzarro, eppure altrettanto preciso; forme memorabili, insolite, fantasiose. Creazioni formidabili di una mente priva di riposo. Come quella dell’immigrato naturalizzato statunitense proveniente dalla Svezia, Axel Erlandson, nato nel 1884 e che all’età di 40 anni, nella sua fattoria californiana di Hilmar raccontava di aver visto per la prima volta un fenomeno comune, ma non particolarmente studiato. Quello attraverso cui la siepe del suo giardino vedeva gli intricati rami crescere l’uno a ridosso dell’altro, creando giunzioni tra singole piante che poi continuavano a crescere formando un’improbabile tutt’uno. Ovvero in altri termini l’inosculazione, frutto dell’adattabilità innata delle piante, capace di erodere la vicendevole corteccia quando accidentalmente o volutamente molto vicine, lasciando che il cambio al di sotto (tessuto vivente della pianta) si unisca in modo indissolubile nell’essere gestalt, o creazione collettiva, destinata a durare nel tempo. Un principio secondo cui, scoprì quest’uomo, era possibile coadiuvare un simile passaggio con quelli collaterali della potatura controllata, l’innesto e gli altri approcci finalizzati a guidare ed instradare gli esseri vegetali. Fino alla creazione di un qualcosa che, in effetti, il mondo non aveva mai potuto ammirare fino a quel momento.
Trascorse così del tempo, mentre crescevano le sue creature. Quando la moglie di Erlandson, per trascorrere un pomeriggio diverso, si trovò a visitare con la figlia un parco dei divertimenti noto come il Mistery Spot di Santa Cruz, California, dove alcuni edifici inclinati invitavano gli ospiti a riconsiderare l’effetto imprevedibile della prospettiva. Nient’altro che una delle innumerevoli roadside attractions (attrazioni a bordo strada) che da sempre caratterizzano e arricchiscono i lunghi viaggi in macchina tipici del continente americano. Che avrebbe costituito di lì a poco, l’ispirazione per il suo “Circo degli Alberi” dove ogni ragionevole aspettativa, in materia dell’interazione tra uomini e natura, avrebbe finito per essere superata abbondantemente ridisegnata….

Come nel caso, praticamente, delle grandi sequoie con il tunnel che ci passa attraverso, ma senza la sequoia. Bensì soltanto due tronchi geometricamente perfetti, disegnati da un demiurgo invisibile col suo arcano compasso.

Alberi a forma di cuore, di pozzo petrolifero, di “cornice”. Lo svettante “gigante quadrupede” formato da ulteriori 4 sicomori, tra le più antiche di queste sculture, risalente almeno al 1928… L’attrazione di Erlandson continuò a crescere nei primi anni di attività ottenendo anche un certo successo su scala regionale e nazionale. Estremamente utile, a tal fine, la ripetuta trattazione nella rubrica e successivo franchise multimediale Ripley’s Believe it or Not! di Robert Ripley che, invitato ufficialmente presso il parco nel 1947, lo inserì più volte nelle sue popolari trattazioni illustrate. Nel 1957, inoltre, la stessa rivista Life Magazine parlò del circo degli alberi, con un reportage fotografico destinato ad incrementare ulteriormente la visibilità di questo luogo. Ma la situazione, a quel punto, aveva già preso una piega poco redditizia, causa l’apertura della superstrada 17, che aveva gradualmente deviato il potenziale pubblico di passaggio verso lidi geograficamente distinti. Con un incasso ormai di poche centinaia di dollari l’anno, Erlandson decise a malincuore di vendere il suo parco a Larry e Peggy Thompson nel 1963, a patto che accettassero di mantenerlo come giardiniere responsabile della salute e sopravvivenza dei suoi arboricoli beniamini. Prima che l’attrazione potesse riaprire con il nuovo nome di “Mondo Perduto”, esemplificato ulteriormente dall’aggiunta di alcuni imponenti dinosauri in fibra di vetro, il creatore originario di tutto questo morì all’età di 80 anni, venendo agevolmente sopravvissuto dalla stragrande maggioranza delle sue creature. La nuova versione del Circo, rivisitata in maniera tanto appariscente, ebbe quindi un certo successo di pubblico per alcuni anni fino a quando Peggy Thompson, rimasta improvvisamente vedova e con tre figli piccoli, decise di venderlo a sua volta ad un nuovo proprietario che in breve tempo, causa investimenti poco oculati, finì per andare in fallimento. Nel 1977 dopo essere passata più volte di mano, acquistata dall’imprenditore immobiliare Robert Hogan, la proprietà dal notevole valore artistico venne inquadrata unicamente come terreno da sfruttare in qualche modo redditizio, ponendo le basi per un futuro progetto di demolizione e rimozione dei contorti e meravigliosi alberi del giardiniere svedese. Se non che all’improvviso ricordandosi della loro unicità e valore, gli abitanti della Scotts Valley organizzarono ben presto un comitato di protesta, guidato dal giovane architetto Mark Primack, che più volte superò abusivamente le recinzioni per andare ad innaffiare gli alberi, avendo cura che potessero continuare a sopravvivere abbastanza a lungo da essere salvati. Joseph Cahill, progettista di giardini, investì quindi 12.000 dollari per ritardare di un anno e mezzo il processo di annientamento, ricevendo il permesso per spostare, entro tali termini, tutti gli arbusti che avesse desiderato preservare a vantaggio della posterità in attesa.
Impresa più facile a dirsi che a farsi, se è vero che il periodo finì per trascorrere senza la possibilità di realizzare in alcun modo il progetto, sebbene con l’effetto imprevisto di rimandare a tempo indeterminato l’intento di distruggere gli alberi, permettendo ancora nel 1985 a Michael Bonfante, proprietario di una catena di supermercati con l’hobby del giardinaggio, di acquistare nuovamente le creazioni vegetali di Erlandson. Riuscendo questa volta per davvero a spostarne la considerevole quantità di 24 presso il suo vivaio di Gilroy nel 1985, dove si trovano tutt’ora. Ed il cui aspetto funzione sono mutati in maniera sensibile, attraverso gli ultimi 36 anni…

Alcuni degli alberi creati da Erlandson, oggi come allora, sfidano semplicemente le cognizioni generali su quante piegature possa presentare un tronco. Continuando, nonostante ciò, a sostenere con successo l’intrico dei suoi rami più alti.

L’idea di Bonfante fu perciò ben presto in grado di dimostrare tutta la sua efficienza: arredare ed attrezzare i giardini non come una sorta di orto botanico per specifici appassionati del settore; bensì un vero e proprio parco giochi, completo di montagne russe, ruota panoramica, figuranti in costume e giostre a forma di frutti e fiori, dedicato all’obiettivo di far conoscere alle nuove generazioni le più notevoli meraviglie del mondo delle piante. Il tutto accompagnato da notevoli architetture vegetative, tra cui gli alberi creati tanti anni prima, da quell’ingegnoso ed unico artista della frondosa natura californiana. Rinominato i Giardini di Gilroy, a seguito degli investimenti con finalità turistica effettuati dalla più prossima cittadina facente parte della regione amministrativa di Santa Clara, famosa per la coltivazione dell’aglio, il parco a tema ha quindi mantenuto un’apprezzabile capacità di rendere attraverso gli anni con regolari aperture stagionali nel periodo estivo, contribuendo sensibilmente alla divulgazione tanto fortemente voluta da colui che l’aveva reso possibile, continuando idealmente la missione che Erlandson aveva lasciato a metà al momento della sua dipartita.
Benché l’effettivo funzionamento della sua tecnica d’inosculazione, ed i conseguenti passaggi della modellazione arboricola per la creazione di tanto ineccepibili forme, fossero destinate a rimanere ancora oggi un mistero. L’autore non aveva infatti mai preso un apprendista, scelta di cui si sarebbe pentito in tarda età per l’incapacità di seguire e curare adeguatamente gli alberi, e nessuno è stato ancora in grado di decifrare alcune delle sue opere più sorprendenti, nonostante il progressivo diffondersi su scala internazionale della sempre più popolare arte dell’arboscultura. Mantenendo irraggiungibile quel fondamentale segreto, custodito all’interno di ciò che ancora cresce e continua a prosperare sulla base dei suoi sussurri programmatici più volte, scherzosamente, indicati come alla base di queste incredibili metamorfosi e mutazioni. Alla ricerca di quell’arcana “pietra” filosofale, che se un giorno apparirà nel mondo, avrà probabilmente un aspetto totalmente diverso da quello che si saremmo attesi. E potrebbe persino appartenere al mondo vegetale, piuttosto che all’ambito applicato della chimica dei materiali!

Lascia un commento