Quando l’asse dell’inclinazione variò impercettibilmente, nel momento in cui la composizione dell’atmosfera terrestre mutò di alcuni atomi latenti, alla caduta di un corpo celeste come possono avvenirne dozzine all’interno di una singola era geologica, interi ecosistemi crollarono, gruppi di specie cessarono di esistere, l’equilibrio di forza tra le forme di vita venne scardinato via, letteralmente, dalle solide mura dell’edificio. Questo poiché la selezione naturale, di suo conto, non era preparata. Riuscite ad immaginare, da un punto di vista fisico, qualcosa di più forte di un tirannosauro? Le fauci gigantesche con le arcuate zampe, capaci di spingerlo all’indirizzo della preda con la velocità paragonabile a quella di uno scooter di piccola cilindrata. Possente, ma mai imbattibile. Poiché soltanto ad un’analisi superficiale, la presenza fisica riesce a costituire l’intero romanzo storico di un animale. La cui vicenda ed ultima risoluzione sono l’effettiva conseguenza, da un punto di vista pratico di multipli eminenti fattori di contesto. Non è il dominatore nessun altro, che il più terribile divoratore… Del suo contesto. E ciò che è molto piccolo può anche riuscire a sopravvivere. Dove creature molto più imponenti, già da molto tempo, avrebbero gettato la spugna dell’estinzione. Minuto, compatto, insignificante come il Planigale ingrami da 60 mm di lunghezza, 4,2 grammi di peso, tali da farne il più piccolo marsupiale dell’Australia e del mondo. Nonché il più piccolo mammifero, probabilmente. In quello che potremmo agevolmente definire come con caso di convergenza evolutiva nei confronti del topo pigmeo africano, le cui somiglianze in termine di dieta, comportamento e predisposizioni risultano del resto essere notevolmente diverse. Difficile in effetti immaginare, qui o in altre circostanze, un predatore più famelico ed al tempo stesso efficiente di questo, capace di suddividere i propri cicli diurni e notturni tra frequenti pause letargiche, come fatto dai pennuti colibrì americani, e frenetiche spedizioni di caccia, capaci di renderlo il terrore incontrastato di ragni, scorpioni, scarabei e millepiedi. Creature capaci di risultare, nel più arido e vasto continente meridionale, tanto spesso più grandi di lui. Ed è un vero spettacolo vedere l’agile aggressore che gli balza addosso, agguantandoli con le sue manine dai metatarsi allungati, mentre si affretta ad ucciderli con uno o due morsi della mandibola dalla forma piatta ed allargata. Incorporata nel progetto di un cranio che potremmo definire tra i più aerodinamici del mondo naturale, la cui sommità non supera i 4 mm di distanza dal suolo, come accorgimento particolare a intraprendere il tipo di avventura che l’animale, nella maggior parte delle circostanze, è stato preparato a intraprendere in una nicchia ecologica estremamente definita: escursioni tra il duro terreno spaccato dal sole del Territorio del Nord ed il Queensland, unico luogo riparato dal calore accumulato nelle ore diurne persino dopo il calar del sole, quando iniziano le ore preferite dal piccolo aggressore d’insetti del sostrato latente. Incolpevoli soggetti della predazione, cionondimeno condannati dalle caratteristiche inerenti del proprio stesso luogo di permanenza…
Questo tipo di planigale, assieme alle altre specie soltanto lievemente più grandi, appartiene dunque alla famiglia dei dasiuridi, una categoria di voraci carnivori che trova nel diavolo della Tasmania (Sarcophilus harrisii) il suo esponente più massiccio e probabilmente di più larga fama. Passando per iterazioni successivamente minori per il quoll ed il dunnart, egualmente indifferenti al proprio aspetto grazioso e dimensioni relativamente ridotte, nell’espletamento della propria funzione persecutoria all’interno della catena alimentare vigente. Il che li rende, da un punto di vista ecologico, più simili ai mustelidi del settentrione che ai topi e ratti a cui vengono talvolta, erroneamente, paragonati. Idea pienamente messa in evidenza anche dal nome latino di questo stesso genere del planigale, significante letteralmente “donnola appiatita”, carnivoro che condivide la stessa innata preferenza per la solitudine, almeno per buona parte dell’anno e fino alla stagione degli accoppiamenti, che per il distante simile in miniatura si verifica generalmente al sopraggiungere della primavera australe, attorno ai mesi di ottobre e novembre. Il momento in cui i maschi in età riproduttiva, dopo essersi affrontati con una certa ferocia per il controllo di settori sempre più ampi di territorio, si ergeranno ad un ulteriore confronto con la potenziale partner non più piccola o meno forte di loro, prima di convolare finalmente ad un unione utile per la produzione dei propri eredi. Partoriti in quantità di 11-16 dopo un periodo di un paio di settimane e con dimensioni non superiori di quelle di una formica, il che non precluderà alla stragrande maggioranza di loro il raggiungimento della tasca materna, in uno spazio che riusciranno a condividere almeno fino al raggiungimento della parziale indipendenza. Ovvero l’acquisizione istintiva delle prime, limitate nozioni d’indipendenza capace di verificarsi dopo un periodo di 12 settimane circa. La maturità sessuale ne richiederà, invece, fino a 30 per le femmine e poco più per i maschi, giungendo a costituire in effetti una percentuale alquanto significativa della vita media dell’animale, che in natura raramente supera i due anni massimi di età. Capaci diventare 5 in situazione controllata ed in cattività, benché difficilmente possano riuscire a ritardare oltre il sopraggiungimento della senescenza.
Per tornare brevemente alla suddivisione tassonomica del genere in oggetto, le varianti storicamente note del planigale erano cinque, suddivise in base a caratteristiche evidenti come la lunghezza del naso e della coda nonché l’estendersi del rispettivo areale soltanto parzialmente sovrapposto. Almeno finché uno studio dell’estate scorsa, pubblicato sulla rivista Zootaxa da scienziati dell’Università del Queensland (Umbrello et al.) non è giunto a categorizzare le ulteriori due specie del P. kendricki e P. tealei, differenziate principalmente a livello del codice genetico e attraverso altri fattori non facilmente individuabili dall’osservazione umana. Non che tale proposito fosse risultato mai particolarmente semplice per questi schivi, piccoli, sfuggenti animali, distribuiti in alcuni dei territori più remoti dell’entroterra australiano.
Prede, predatori: ben poche creature negli ambienti naturali possono fare a meno di costituire entrambe le cose, fatta eccezione per quelle che si trovano al supremo apice della piramide, che costituisce l’innata risultanza di fattori fuori dal controllo di chicchessia. Ed è questo il fondamentale merito di chi sa scegliere il proprio campo di battaglia elettivo, dove non soltanto le fauci del nemico, ma anche l’occhio dei curiosi di passaggio possano trovarsi svantaggiati. Una strada chiaramente percorribile, per tutti coloro che possiedono proporzioni particolarmente compatte.
Ed alla fine non è solo il grande dinosauro carnivoro, che possiede il predominio incontrastato nel periodo cronologico di un’Era. Ma forse proprio, più di chiunque altro, colui che riesce a sopravvivergli sfuggendo negli strati collaterali del suo stesso mondo. E percependo senza contrattempi, di suo conto, i bersagli elettivi della propria irraggiungibile sazietà animale.