In principio l’uomo inventò il fuoco; questo fu l’inizio, e la fine, di tutti i suoi problemi. Poiché non esiste presa di coscienza maggiormente significativa di quella sull’applicabilità ad ampio spettro del principio secondo cui la sopravvivenza può dipendere ed invero beneficiare dal consumo produttivo della materia, fecondo carburante al treno inarrestabile del progresso. Un lavorio costante, frutto di una relazione con la natura che non era più simbiotica, bensì antagonistica, conflittuale. Ove la costruzione di un particolare tipo di prospettive era diventato l’annientamento, almeno in linea teorica, di altre. Millenni dopo la situazione è rimasta fondamentalmente del tutto invariata: poiché non è forse vero che lo sfruttamento del pianeta tramite l’impiego di carburanti fossili ha individuato nella fiamma, più d’ogni altra cosa, l’elemento imprescindibile da cui deriva l’energia che instrada e sostiene la moderna civiltà tecnologica? Il che in verità può essere lo spunto di una riflessione importante. Poiché come la fisica c’insegna come ogni processo può essere generalmente trasformato in altri, resta innegabile la nostra collocazione universale al centro di una significativa convergenza d’impulsi. Ovverosia la spinta pressoché costante degli elementi meteorologici e terrestri, l’uno contro l’altro ed a ridosso di ciascun principio contrapposto, che incidentalmente fu al margine del moto stesso dei continenti. E tutt’ora continua, indefessa, come l’incessante moto ondoso degli oceani di cui fanno parte. Il che ci porta, dunque, all’idea. Quella nata dalla mente fervida del finlandese Rauno Koivusaari, già trent’anni a questa parte un esperto sommozzatore con significativi interessi ed imprese completate nel recupero di relitti navali sommersi. Navi ormai da tempo diventate parte dei fondali marini, come quella incontrata nel 1993 che per un particolare gioco dinamico dei flussi sottomarini vedeva un grosso boccaporto muoversi costantemente avanti e indietro, avanti e indietro nella corrente. Tanto che: “Interessante” egli pensò “Qualcuno potrebbe usarlo come metodo per generare energia elettrica.” Come una pala eolica sommersa… Una sorta di… Pala idrica? Di sicuro, avrete già sentito parlare dell’oceano utilizzato come fonte sostenibile benché si parli più frequentemente di turbine in grado di traslare il moto ricorrente delle maree. Non che esperimenti precedenti nello sfruttamento del più continuo e denso flusso delle onde stesse siano d’altronde privi di precedenti, con il primo esempio in materia brevettato nel 1799 a Parigi dall’inventore Pierre-Simon Girard e suo figlio. Per non parlare delle centinaia di luci e radiofari di navigazione create dal giapponese Yoshio Masuda, alimentati da null’altro che il moto angolare di una zattera ancorata stabilmente al fondale marino. Ma l’elettricità del moto ondoso come concetto ha sempre presentato non indifferenti problematiche logistiche, relative alla corrosione dei suoi componenti per l’effetto dell’acqua marina. Oltre al nesso fondamentale dell’intera questione: come rendere economicamente efficiente la sua implementazione su larga scala, soprattutto rispetto alle concorrenti metodologie sostenibili, quali l’eolico e l’energia solare? Caso vuole che lo stesso Mr Koivusaari, come avrebbe ampiamente dimostrato nel corso degli anni a venire, avesse più di un valido suggerimento in materia…
Oggi a capo della compagnia con significativi interessi internazionali denominata AW-Energy, ma che viene spesso identificata con il nome del suo singolo prodotto Waveroller, avrebbe dunque sviluppato nelle decadi a venire le implicazioni più profonde e valide della sua intuizione di partenza. Con i primi prototipi e prove di concetto condotti fino allo stato operativo tra gli anni 1999 e 2000, consistenti di pannelli montanti su cardini capaci di spostarsi in modo ricorsivo a causa dell’impatto di significative masse d’acqua. Un principio di funzionamento in effetti piuttosto semplice potenzialmente incline ad essere massimizzato dalle dinamiche in prossimità di zone costiere. Questo per l’imprescindibile tendenza delle onde, una volta spinte innanzi sulla rampa ascendente del fondale progressivamente più alto, a formare dossi progressivamente più alti, brevemente condannati a infrangersi e tornare indietro con la risacca. Verso la creazione di un sommovimento reiterato che risulta particolarmente intenso alla profondità di 8-20 metri. Le prime installazioni in proporzioni ridotte, posizionate nel 2005 a largo della Scozia e dell’Ecuador, fino al modello in scala 1:4 piazzato in Portogallo due anni dopo, avrebbero progressivamente dimostrato al mondo la fattibilità di un simile approccio, con proiezioni relative alla generazione possibile di fino a 2 MW per ciascun futuro pannello full-size. Dopo un’ulteriore decade di ricerca e sviluppo, parallelamente all’ottenimento di diverse certificazioni finlandesi e della Comunità Europa oltre alla creazione di un stabilimento aziendale presso Järvenpää, la AW-Energy sarebbe dunque giunta nel 2019 al suo grande momento: l’iniziativa consistente nel posizionare un Waveroller nelle proporzioni definitive presso la località marittima di Peniche, in Portogallo, promettendo l’ottenimento di 350 kW di energia per l’intero periodo operativo prospettato di un paio d’anni. Nient’altro che il primo passaggio, in effetti, per l’avviamento del progetto Wavefarm, consistente nella realizzazione futura di una rete di simili dispositivi a sostegno del piano energetico globale, iniziativa tanto interessante da aver già ottenuto il sostegno economico del Fondo europeo per gli investimenti (FEI). Con ottime soddisfazioni a partire dal recupero del prototipo di Koivusaari nel 2021, mostrato al mondo su Internet in tale occasione con l’involucro coperto di cirripedi e marchiato dalla furia incessante degli elementi. Ma non per questo meno funzionale allo scopo per cui era stato, originariamente, assemblato.
Sarebbe ingenuo tralasciare a tal proposito la maniera in cui il progetto Waveroller potrebbe cambiare, nel corso delle prossime decadi, l’intero panorama della generazione d’energia rinnovabile. Un tema destinato a diventare progressivamente preponderante, mentre i carburanti fossili economicamente sfruttabili andranno inevitabilmente ad assottigliarsi. Significativo nel contesto il dato riportato nello studio comparativo del 2023 (D. Clemente, P. Rosa-Santos et al.) relativo al ritorno d’investimento del sistema Waveroller. Che ne vede il costo per MWh prodotto pari a 100-150 dollari, contro gli 82-255 connessi alle tipiche imprese di fattorie eoliche costruite offshore. Il che lascia come principale sfida da affrontare primariamente la questione relativa all’impatto ambientale e sociale di questi dispositivi, almeno parzialmente placati dalla natura totalmente sigillata e impenetrabile dell’involucro di questi generatori. Perciò massimamente protetti dall’eventualità, sempre possibile, di riversare il proprio fluido idraulico all’interno delle acque relativamente incontaminate. Laddove precisi servomeccanismi, facenti parte del sistema denominato Fast Frequency Response, garantiscono di contro limitazioni all’usura mediante la moderazione delle resistenze calibrate sulle effettive esigenze della rete elettrica, mentre il surplus viene accumulato per l’utilizzo futuro.
Passaggi necessari e da un certo punto di vista, vitali, quando si considera il potenziale costiero non sfruttato di fino 32.000 TWh annuali veicolati dalle onde dell’Oceano verso l’assoluta indifferenza di coloro che tanti anni fa accesero la fiamma implacabile di un opportuno domani. Finendo per dimenticare come, in condizioni opportune, fosse anche possibile decidere di farne a meno, cercando strade alternative che conducano alla stessa, desiderabile destinazione finale.