Nuovi archi micidiali creati dal guerriero post-apocalittico della Cambogia

La differenza tra colui che pratica una disciplina di tiro per sport e tutti quelli che ne richiedono l’impiego per semplice sopravvivenza, è che i secondi cercheranno ogni possibile vantaggio a loro possibile disposizione, per incrementare la probabile riuscita di ogni singolo colpo vibrato, ciascuna freccia scagliata all’indirizzo dell’obiettivo di turno. Il che include, oltre alla preparazione fisica e mentale, la ricerca di strumenti figli del contesto ma non propriamente “legittimi” per quanto concerne la loro collocazione tra il novero dell’arcieria contemporanea o proveniente da qualsiasi tradizione pregressa. Contesto come quello del distante meridione asiatico, dove l’utilizzo delle due ruote costituisce un pilastro letterale degli spostamenti umani da un luogo all’altro, con conseguente produzione collaterale di una grande quantità di biciclette vecchie, abbandonate o dismesse. Veicoli giunti ormai ben oltre l’ultima stagione della propria vita operativa, costituendo unicamente un cumulo di materiali che potrebbero in teoria, un giorno, andare incontro al riutilizzo frutto delle istituzioni civili. Eppure, nel frattempo, c’è qualcuno che parrebbe aver già dato inizio a un tale fuoco dell’ingegneria applicata. E il nome d’arte di costui è Cambo, chiaramente adattato da quello del suo paese di provenienza, benché un doppio richiamo sia possibilmente intenzionale al più bellicoso ed attrezzato dei personaggi portati al cinema da Sylvester Stallone. Con un gusto estetico espresso dai suoi video che potremmo idealmente ricondurre a quel tipo di cinematografia anni ’80 e ’90, in cui l’ingegno del protagonista tendeva ad andare di pari passo con un fisico atletico e l’assoluta mancanza di prudenza quando ci si trova in situazioni a dir poco distanti dal nostro vivere quotidiano. Come alle prese con mostri alieni, robot venuti dal futuro e perché no la necessità di procacciarsi il cibo, in un luogo in cui la porta del supermercato non è necessariamente facile da raggiungere per tutti, né dal punto di logistico che quello concettuale. Ma come c’insegnavano già l’Iliade e l’Odissea, ci sono almeno due modi per affrontare le possibili difficoltà che si dipanano lungo il corso dell’esistenza. Ed è soltanto il secondo, a permettere la creazione di un cavallo di legno abbastanza capiente da contenere una mezza dozzina di eroi!
Equino d’ebano piuttosto che, volendo, anche un tipico implemento d’offesa ricavato dall’alluminio, laddove l’offesa prevede di trafiggere creature acquatiche con dardi acuminati, grazie all’impiego di un sistema particolarmente innovativo e personalizzato. Che il titolo dei video sull’argomento non esita a definire double bow (arco doppio) benché si tratti di un’espressione piuttosto rara nel settore, in genere riferita unicamente a un’arma piuttosto rara del tardo Medioevo, consistente in una versione ad X dotata di doppia coppia di flettenti piatti, concepita al fine di lanciare una coppia di frecce in rapida successione. Laddove il tipo di strumenti impiegati dal nostro amico d’Oriente appaiono piuttosto simili ad un’altrettanto rara concezione di uno degli attrezzi più antichi della Terra, collocabile potenzialmente in un contesto di tipo nord-americano e tra i nativi delle tribù della confederazione Wabanaki, situati principalmente nel territorio dell’attuale stato del Maine e parte del Canada meridionale. I quali, non potendo disporre di legno sufficientemente flessibile in tali territori al fine di creare archi del tipo a noi maggiormente familiare, avevano pensato ad un approccio molto pratico per la risoluzione di quel problema…

In versioni alternative dello pseudo-compound di Cambo, le molle sono poste in parallelo ai flettenti principali. Questo grazie all’utilizzo di una pratica struttura in tubi di plastica PVC.

Naturalmente Cambo, il cui nome di battesimo potrebbe anche essere quello riportato dall’E-Mail di riferimento del canale, Mara Chham (o forse si tratta della moglie, sorella, agente di relazioni pubbliche…) essendo un figlio dei tempi odierni può contare anche sul vantaggio significativo offerto dall’impiego possibile di potenti elastici figli della produzione industriale. Il che potrebbe anche far classificare i suoi implementi come fionde particolarmente elaborate, piuttosto che veri e propri archi, se non fosse per la maniera in cui l’essenziale modalità di funzionamento presentata al pubblico sarebbe in grado di svolgere la sua mansione anche in presenza di corde tradizionali. Prendete, per esempio, l’arco mostrato in apertura e risalente al novembre del 2020, chiaramente costruito grazie all’uso di segmenti delle ruote di una bicicletta, attentamente segati con attrezzi elettrici e montati assieme grazie all’utilizzo di una serie di perni per creare una sorta di “doppio arco” in cui il vantaggio cinetico viene ulteriormente incrementato dall’interconnessione reciproca di un paio di molle. Il che ricorda, per certi versi, le pulegge asimmetriche dei moderni archi compound, sebbene questa configurazione doppia sia effettivamente prelevata, o liberamente ispirata, dal cosiddetto arco [dei] Penobscot, variante di quelli resi maggiormente resistenti dallo scorrimento di un cavo in opposizione al tensionamento utilizzato per il lancio del dardo. In tale guisa sostituiti, come hanno cercato di contestualizzare gli antropologi nel corso dell’ultimo secolo, da una seconda coppia di flettenti dotati della propria corda mirata ad accrescere la capacità di tendersi dell’arma. Un problema storiografico in effetti di entità tutt’altro che indifferente, visto come nonostante i discendenti odierni di quel popolo siano pronti a giurare l’esistenza pregressa della metodologia non si hanno particolari prove archeologiche, fatta eccezione per alcune foto di dubbia veridicità e l’accessorio spesso facente parte del costume del Capo Grande Tuono, un famoso ciarlatano di etnia caucasica che si spacciò per lungo tempo come un rappresentante dei Penobscot nella seconda metà del XIX secolo. Il che costituisce d’altra parte un argomento solo in parte rilevante, di fronte alla comprovata efficienza di tale arco e le sue molte declinazioni, col secondo componente posto in opposizione o sovrapposto in varie maniere nelle metodologie catalogate con entusiasmo dal popolare canale Internet di Cambo (Lifestyle).
Un letterale repertorio antologico dunque, con oltre un centinaio di video pubblicati nel corso degli ultimi tre anni al fine di mostrare in quanti modi fosse possibile pescare gli sfortunati pesci di palude originari dei dintorni del suo villaggio, paese o città di provenienza. Infilzati con lance, annientati con le fionde o ancor più spesso fatti fuori grazie all’utilizzo di questi notevoli strumenti d’assassinio, che visto il tipo di materiali di riciclo utilizzati non sfigurerebbero affatto in alcun tipo di ambientazione del “dopo” (bomba, zombie, invasione aliena o così via a seguire…) Il che finisce per stimolare non poco, in questo mondo prossimo all’auto-disfacimento, la fantasia.

E se doveste pensare mai che l’alluminio non sia sufficientemente resistente, che ne dite di un simile approccio? Aggiungere altri segmenti sovrapposti, l’uno all’altro, portati a convergere con l’uso delle corde (o elastici) verso lo stesso punto di tiro. Una letterale catapulta figlia delle idee, prodotta sulla base di un principio più che mai imprevisto.

La spazzatura di qualcuno… È l’inizio di quel tipo di proverbio di per se adattabile, che in qualche modo sembra prevedere la possibile regressione dell’odierna condizione dall’attuale capacità di produzione industriale, senza nessun tipo di limite quantitativo apparente. Per cui l’accesso ad una delle suddette discariche di velocicli, senz’altro concentrate nella penisola vietnamita come anche in Olanda, non potrebbe che raggiungere lo stato di un reale colpo di fortuna per l’accesso ad un così importante numero di componenti pronti al riutilizzo nell’eterno conflitto tra uomo e natura. O uomo e uomo. O ancora, contro eventuali esseri venuti dalla quinta dimensione: nient’altro che un ulteriore potenziale risvolto, in questo periodo storico così dannatamente “interessante”! E di chi ci ricorderemo, a quel punto, se non dell’armata eterogenea degli innumerevoli maker internettiani, che a tal punto si sono impegnati ad insegnarci sull’impiego collaterale di tutte quelle cose o rottami che siamo tanto inclini a dare per scontato? Per immergerci fino alla vita nel fiume delle circostanze; rigorosamente mantenendo i blue-jeans come parte imprescindibile del nostro abbigliamento. Forse una stimata usanza cambogiana, rimasta in uso fin dall’epoca degli Khmer. O magari, chi lo sa, l’unico metodo davvero efficace per proteggersi dalle sanguisughe.

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