L’imprevedibilità mimetica di un aracnide coperto da un migliaio di specchi

Oltre il fiume dei giganti, sopra i rami della grande quercia, il demonio della valle rifletteva in merito al motivo stesso della sua esistenza. In più di una maniera. Silenzioso, immobile, invisibile, attento, agile, minuscolo tra i fili… Da ogni punto di vista, tranne la preparazione a fare il suo dovere tra i complessi macchinari del mondo: percepire l’attimo della fatale vibrazione. Affinché ciò che transitava, diventasse momentaneamente immobile. Perfettamente stabile nel grande flusso dei momenti. Giusto il tempo necessario per avvicinarsi, e dare inizio alla sua opera perfettamente calibrata sulla base del bisogno. Poiché se un ragno di per se possiede quattro paia di zampe, certamente il paio più importante può essere soltanto il primo. Con cui avvolge rapido la mosca, la formica e il moscerino. Incapaci di capire l’ora ed il momento del pericolo, finché non è già tremendamente tardi per poter pensare ancora all’indomani. Ma il concetto stesso di questa creatura, intesa come l’olotipo o allegoria di un intero genere, denominato nel 1881 Thwaitesia dal barbuto zoologo Octavius Pickard-Cambridge, è che questi non conosce neanche la necessità di essere furtivo. In quanto possiede, nel suo stesso corpo, il principio e il metodo di un potentissimo segreto. Perché mimetizzarsi, quando si può riproporre il proprio stesso ambiente circostante agli occhi di colui che cerca la tua presenza? Perché nascondersi, quando si è capaci di cambiare in caso di necessità la forza e l’efficacia di una simile misura? Ed è proprio sotto questo aspetto, che l’eccezionale convenienza di un simile meccanismo emerge prepotente dall’anonimato di un catalogo antologico delle creature viventi. Ed è proprio in questa significativa ma poco studiata discendenza di artropodi predatori, fin da tempo immemore, che si tramanda il rarissimo segreto della riflettanza. Uno di quegli approcci alla soluzione di un problema tanto validi ed ingegnosi, come il fuoco, che noi siamo soliti affermare “Di sicuro, nulla più di questo può distinguere l’uomo dagli animali.” Ma non dovremmo certo sottovalutare ciò che nasce già specializzato in certi campi. Ed è stato equipaggiato, grazie al grande corso dell’evoluzione, per riuscire a regolare l’effettiva quantità di prede nel proprio legittimo bioma d’appartenenza.
Il che ci porta chiaramente al punto cardine della faccenda, così analizzato online, piuttosto che all’interno di aule polverose in qualche celebre università, direttamente nell’antico bosco a Singapore dall’esperto di macro-fotografia Nicky Bay, forse il primo ad osservare (e di sicuro a divulgare) una caratteristica notevole di questa vasta e variegata categoria di creature. All’interno del suo interessante articolo del 2013 Transformation of the Mirror Spider, corredato da una lunga serie di supporti visuali utili a dimostrare un significativo cambio di paradigma: la presa di coscienza che non soltanto un aracnide possa restituire la luce nella direzione di colui che osserva. Ma sia in grado di decidere di volta in volta se è il caso di farlo, ed in che misura…

Chi poteva possedere l’unico video online in cui risulti effettivamente visibile un Thwaitesia all’opera? Se non il solito, compianto ed insostituibile Andreas Kay. Poiché naturalisti di primo piano, tanto spesso, riescono a essere i fotografi! Ed ingiustamente poco celebrati, nel mondo rigido dell’Accademia.

Ho parlato poco sopra del possesso da parte di questo piccolo divoratore (raramente le femmine misurano più di 4,5 mm, i maschi 2,7) di un potente ed utile segreto. Il che richiede un ulteriore passo utile a specificare quanto segue: che non siamo innanzi a una metafora o il concetto filosofico alla base di un’idea. Bensì un comparto assai tangibile di materiali, o per meglio dire la materia fisica, capace di concedergli la via d’accesso ad una così ardua realizzazione operativa. Ed è qui che entra in gioco, come tanto spesso accade nel regno animale, una specifica organizzazione fisiologica del suo organismo. In modo particolare relativamente ai pori dell’addome, grande e bulboso come spesso accade anche negli altri membri della famiglia dei Theridiidae tessitori, finalizzati all’escrezione di una serie di sostanze chimiche note come guanine. Parti costitutrici ed ingredienti, assieme a molte altri, della straordinaria congiunzione di elementi alla base della pregiatissima catena del DNA. Ma qui utilizzati per tutt’altra ragione, ovvero la loro capacità di cristallizzarsi una volta accumulati e privati di ogni residuo idrico persistente, come gemme magiche provenienti dal cuore segreto di una montagna. O con assai maggior prosaicità, nonché attinenza alla qui presente trattazione, una miriade di splendenti paillettes o lustrini. Ecco, dunque, l’idea quasi tecnologica nella sua profonda ed innegabile genialità: poiché il fatto stesso che le parti specchiate del ragno siano moltissime e discontinue, costituisce il punto di partenza della “trasformazione” di cui parlava il fotografo Nicky Bay. Per cui gonfiandosi di più o di meno, grazie al sistema idrostatico che permette i movimenti di ogni aracnide di questa Terra, le intercapedini opache diventano più o meno preponderanti. Fino a soverchiare totalmente la parte specchiata, sull’unica base dell’umore del ragno.
Un approccio che possiamo solamente definire alquanto… Utile. Come via d’approccio a una vasta serie di possibili mansioni: il predatore si avvicina nel bel mezzo dell’estate, all’apice della secchezza dell’assenza di rugiada? Sarà meglio assomigliare il più possibile a una foglia o pezzo di corteccia fatto muovere dal vento. Siamo nel bel mezzo dell’autunno, circondati dall’umidità che a tal punto caratterizza questo periodo dell’anno? Ottimo. Nessuno può capire, a colpo d’occhio, l’immediata differenza tra le inerenti capacità di rifrazione idriche e quelle offerte da un semplice ornamento di colui che sa imitarne e possederne il segreto. E per quanto concerne d’altra parte un discorso di tipo ecologico in materia, beh, rallegratevi di quanto segue: che in questo mondo esistono abbastanza esseri meravigliosi e straordinari, da poter disporre di tempo insufficiente ad approfondirne ognuno. Così che l’unico studio scientifico reperibile online sull’argomento, redatto da Herbert W. Levi nell’ormai remoto 1963, si preoccupa primariamente di paragonare il genere cosmopolita, diffuso nella zona tropicale del Vecchio e Nuovo mondo, ad un’altra categoria di classificazione dei Theridiidae, gli Spintharus noti come “ragni dal sorriso sulla schiena” per il pattern assai riconoscibile formato dalla loro tipica livrea. In aggiunta alla curiosa notizia del 2018 di un nuovo criterio adottato in tassonomia, capace di portare all’utilizzo per loro di termini pseudo-latini ispirati ai nomi di persone celebri, giungendo a ineccepibili capolavori come lo Spintharus leonardodicaprioi. “Lo so Jack, non ha senso. Per questo mi fido di te…Non ti lascerò mai andare.”

D’altra parte “comprimere” la parte specchiata non vuol dire necessariamente rinunciare ad essere sgargianti, nella propria personale maniera. Vedi la colorazione aggressivamente violacea di questo notevole T. argentiopunctata (specie australiana)

Il merito più significativo dei piccoli demòni è che non possono far male all’incostante collettività transitoria. Per questo essi aspettano, cogitativi, il presentarsi di particolari e irripetibili occasioni. In cui la propria contingenza, gastronomica e innegabilmente deleteria per la vittima di turno, possa realizzarsi senza una pressante modificazione al corso pre-determinato dei giorni.
Diversamente a quanto avviene, tanto spesso, nel mondo alquanto derelitto e tristemente condannato degli umani. Diffidate, in ultima analisi, dell’amichevole ragno di quartiere che afferma: “Non farei mai del male ad una mosca.” Poiché di mosche, a questo mondo, ce ne sono molte. A volte troppe. E non sempre facile è decodificare la ragione ultima di colui che parla. O la prima.

Di sicuro una foto tanto bella deve aver richiesto l’utilizzo di Photoshop, giusto? Certo, per includere il watermark (firma) dell’autore. D’altra parte tutto non è di tutti. E bisognerà pur dare i meriti a chi ha tanto faticato per conseguirli.

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