La fredda fiamma che scintilla nel cuore della foresta fungina

Chi è stato, chi ha fatto questo? Chi ha gettato il fiammifero, chi ha bruciato i tronchi caduti a lato dello stretto sentiero, che serpeggiando procede attraverso la giungla millenaria? Di sicuro essere ospiti, per un pranzo di gala, delle Indie Orientali Olandesi presso la sua residenza estiva sull’isola di Bali, era un grande onore. Ma non se questo significava cadere vittime, tra il tramonto e l’alba, di un’inspiegabile imboscata dei nativi. La delegazione di soldati inglesi si guardò attorno con fare perplesso, come chiunque nel XVIII secolo, avventurandosi in un simile labirinto, non avrebbe potuto in alcun modo evitare di fare. Soltanto il medico del reggimento, uomo di scienza, appariva tranquillo e distaccato. Con un mezzo sorriso, l’uomo guardò l’ufficiale al comando con la consapevolezza di essere, per una volta, il primo ed unico ad aver compreso il “pericolo” in cui si erano trovati ad incappare, in realtà un voluto segnale del contorto sentiero, apparecchiato mediante l’impiego del materiale trovato localmente. “My Lord, lei non ha mai letto Aristotele o Plinio il Vecchio? Non c’è niente di cui aver paura. Questa luce non è malvagia, ma il semplice segno lasciato durante il passaggio notturno delle volpi…”
Piccoli carnivori dal muso aguzzo, parenti furbeschi del cane domestico, con coda lunga e folta che accompagna ogni felina movenza dell’attenta caccia nelle ore notturne; tutto plausibile, nonché apprezzabile, se soltanto non fosse per un paio di piccoli dettagli. Primo, le volpi non vivono in Indonesia. E secondo, le volpi non sono lucciole o pesci lanterna. É una vera fortuna, quindi, che la definizione anglofona di vecchia data che usa il conio linguistico di foxfire sia molto probabilmente, in effetti, un prestito dal francese. Parola ibrida commistione di termini ben distinti, la cui prima parte vorrebbe esser la trascrizione adattata del termine faux mirato a rassicurare chi di dovere, col fatto che il tenue lucore del caso sia per l’appunto fatuo, o falso che dir si voglia. Un bel mistero, del tutto degno di sollevare l’ipotesi, direttamente conseguente, che possa trattarsi di spiriti o altre manifestazioni sovrannaturali; almeno finché a qualcuno, nel corso del lungo secolo della scienza, non venne in mente di analizzare il suddetto legno marcescente, particolarmente nel caso fondamentale in cui dovesse costituire le colonne all’interno di un’occulta miniera. Per scovare su di esso, con somma sorpresa, la spontanea cultura di un specifica creatura vegetativa.
Funghi, avete presente? Non piante, né bestie e di sicuro nemmeno minerali, sebbene sembrino occupare, all’interno dell’immaginario comune, lo stesso spazio appartenente ai nascosti tesori delle profondità ctonie. E con ottime ragioni, aggiungerei, vista la maniera in cui il corpo fruttifero, ovvero l’ombrello che noi tutti apprezziamo e qualche volta mangiamo con gusto, non è che la punta di un iceberg sommerso, chiamato normalmente il micelio. Che se soltanto potessimo vedere per una volta in maniera diretta durante le ore notturne, con gli occhi a raggi X di un supereroe venuto dal pianeta Krypton, mostrerebbero un volto assai diverso da quello comunemente attribuito agli spazi segreti della foresta: splendente, mistico e sovrannaturale. Un mare di fiamme azzurrine, verdi e giallognole (generalmente non più forti di una manciata di lumen, ma qualche volta abbastanza intense da leggere un libro) sotto cui sembrerebbe nascondersi l’ingresso del regno delle fate. E per certe specie, non c’è ragione di mantenere il segreto! Così quando sporgono il trampolino delle importanti spore a seguito di una forte pioggia, tanto vale iniziare da subito a scintillare…

Il Panellus stipticus, anche detto ostrica amara, vede la propria luminosità concentrata nella parte esterna del cappello, permettendone l’agevole individuazione soprattutto in particolari aree del Canada e degli Stati Uniti. Sembra, infatti, che quanto più ci si allontana da tale area, tanto più i funghi nativi risultino privi di tale fondamentale caratteristica visuale.

La questione del fungo bioluminescente è quindi largamente nota in tutti e quattro i continenti più densamente abitati di America, Europa, Asia ed Australia. Con le foreste della prima letteralmente ricoperte, particolarmente nella stagione autunnale, del fungo Panellus stipticus, noto fin dall’epoca dei nativi per le sue doti astringenti e la tendenza a spuntare, in affollate colonie, ogni qualvolta un arbusto cessa di crescere ed inizia il degrado che lo porterà a ritornare un mero ingrediente nel grande flusso inarrestabile della natura. Un altro importante rappresentante del gruppo informale dei funghi-lampada è quindi individuabile nel cosiddetto jack’o’lantern o l’intero genere con diffusione assai ampia degli spesso incommestibili Omphalotus, escrescenza dalla forma lamellare e partecipazione ad un gran numero di leggende, fino alla principale terra emersa agli antipodi, dove la specie O. nidiformis, simile a un doppio fiore concentrico veniva chiamato il “fantasma” dalle popolazioni indigene australiane e tasmaniane. Un tale fenomeno quindi, assai più raro e meno facile da ammirare in Europa, trova comunque un rappresentante delle nostrane foreste nel comune Armillaria mellea o fungo chiodino parzialmente gustoso eccetto il gambo coriaceo, benché nel suo caso la luce si origini unicamente nel tessuto sommerso del segreto micelio, lasciando il fungo più propriamente detto del tutto scevro di alcun proposito di splendore.
Ponendo le basi e le origini di un vecchio mistero, risalente addirittura ai maggiori pensatori del mondo antico, in merito a come e perché, esattamente, i funghi avessero iniziato a brillare. Iniziamo quindi col chiarire come l’avanzata analisi chimica dei nostri giorni, senza particolari difficoltà, sia largamente bastata a chiarire il primo di questi avverbi; come palesato dai molti studi in merito, che hanno individuato l’origine del fenomeno nell’interazione progettata dall’evoluzione tra il composto biologicamente prodotto della luciferina e l’enzima luciferase, comune anche a lucciole, cobepodi, batteri e dinoflaggellati. Che ossidando e riducendo il primo produce, come effetto “collaterale” l’incredibile luce, che tante generazioni di viaggiatori aveva colpito nel profondo del loro essere e il nucleo fantastico dei pensieri. Il che ci conduce, senza colpo ferire, ad alcune delle spiegazioni possibili del fenomeno: il micelio brillerebbe con lo specifico obiettivo di consumare l’ossigeno, evitando il degrado e la deumidificazione del suo legittimo ambiente sepolto di appartenenza. Ma allora perché, di contro, esistono specie in cui è piuttosto il corpo fruttifero, esposto all’aria e la luce notturna della Luna, a rendere luminosamente manifesta la propria surreale presenza? E perché molte di queste tipologie di funghi brillano soltanto di notte, secondo i ritmi dettati da un preciso e innegabile orologio circadiano? Questo è uno spunto d’analisi che, di contro, non trova ancora nessun tipo di analisi confermata, almeno fino a una serie di studi condotti a cavallo dell’anno 2000 in cui si è parlato, per la prima volta, del possibile intento mirato alternativamente a spaventare i predatori (aposematismo) o attirare gli insetti trasportatori delle spore (entomofilia) sfruttando quello stesso surreale fascino che tanto sembrerebbe aver colpito in maniera analoga gli esseri umani, benché occorra sottolineare come l’effettivo incontro dei funghi luminescenti con tali creature del regno animale non sia mai stato, attraverso i secoli, sottoposto con successo a descrizioni o approfondimenti scientifici di sorta.

Hans Waldenmaier, chimico dell’Università di São Paulo, è lo studioso che in una serie consecutiva di esperimenti ha realizzato i quadri al led con funghi artificiali e trappole per gli insetti, confermando in parte ed iniziando a catalogare l’effettivo interesse degli artropodi nei confronti del mistico foxfire.

La naturale convergenza dell’evoluzione porta, dunque, all’individuazione di macro-tendenze che sembrano attraversare, senza particolari difficoltà, le vaste distese degli oceani e i confini tra specie, se non vere e proprie tipologie di creature eccezionalmente distinte tra di loro. C’è ben poco che possa effettivamente accomunare, anche volendo, il volo transiente delle Lampyridae ai costrutti vegetativi che attendono il proprio momento con particolare pazienza, prima di sbucare senza nessun preavviso attraverso il sostrato di foglie secche che costituisce la base segreta del sottobosco. Se non un merito, sottilmente arbitrario ma mai davvero negabile ad opera della coerenza umana: aver fatto oliato, attraverso i secoli e i millenni, i ponderosi ingranaggi della fantasia.
Perché quello che importa, in definitiva, non è che tu sia lucciola, fungo o lanterna; bensì la maniera in cui il calore e la luce diurna hanno lasciato una profonda impressione nelle generazioni successive degli antenati. Permettendoti, anche nella più scura ed occulta delle ipotesi, di continuare a rendere manifesta la tua solare verità.

Lascia un commento