Progettista berlinese tenta di produrre il più portatile kayak di sempre

C’è del significativo potere, in una simile parola. In un contesto dove le proporzioni della logica determinano lo schema della convenienza, accompagnato da praticità e semplificazione, diventa il culmine del senso tecnologico e la necessità percepita di fare quello che si vuole, quando si vuole, in assenza di residui compromessi: portabilità. Dei computer, tablet, videocamere, sistemi audio e d’intrattenimento, videogiochi. Mentre il mondo fisico dei trasporti, gradualmente, si adegua? Biciclette pieghevoli. Hoverboard da mettere in borsa. Persino zaini a razzo alimentati col nitrogeno, utili a fluttuare sopra i sogni delle circostanze ultra-gravitazionali. Mentre molto stranamente, non erano molti a essere pronti, prima dell’ultima decade, a concepire un metodo quasi-tascabile per navigare sopra l’onde delle umide località peri-urbane. Grazie all’antica tecnica dei piegatori della carta giapponese, l’arte nota al mondo con il termine composito 折り紙 (origami). Avete presente, per dire, la Venezia tedesca? Una definizione che talvolta sfugge agli altri abitanti d’Europa, benché sia nei fatti riferita a niente meno che Berlino, ove al convergere del fiume Sprea con vari splendidi canali, tra cui quello di Charlottenburg, Berlin-Spandau e Westhafen, viene a crearsi quella pittoresca convergenza che da in molti l’istantaneo desiderio d’esplorare. Il che non sarebbe stato un grandissimo problema per Daniel Schult, l’ultimo giovane di queste parti a tuffarsi nella grande avventura di un progetto imprenditoriale finanziato coi soldi “di Internet”, non fosse stato per la sua casuale preferenza verso gli spostamenti veicolari grazie all’energia dei muscoli, ovvero in altri termini, la rinuncia alle diaboliche tentazioni dell’automobile, per assumere il virtuoso ruolo del ciclista. Agile, silenzioso, rapido verso i suoi scopi nella vita… Tranne quello, s’intende, d’imbarcarsi nel secondo umido elemento, data l’inerente problematica di come, precisamente, trasportare un qualsivoglia tipo d’imbarcazione fino agli alti argini di quel bisogno personale. Perché neppure gli inuit, inventori dell’imbarcazione personale più maneggevole nell’intero scenario delle popolazioni amerindie, erano soliti trasportare i propri mezzi per lunghi tragitti di terra, come potremmo definire quelli dell’odierno ambiente urbano ricoperto da impietoso asfalto. Ecco qui l’idea, come diretta conseguenza, di rivolgersi a quel segmento di mercato nato all’inizio del 2013 come alternativa ai comunque ponderosi kayak gonfiabili, per la barca in polipropilene pieghevole capace di trasformarsi, al termine dell’utilizzo, in una compatta borsa sollevabile con un singola mano. Ma le mani, come sappiamo molto bene, non sono libere mentre si guida una normale bicicletta. Ecco dunque spiegato, in poche parole, il suo ulteriore margine di miglioramento…

Regalare un paio di kayak ai titolari di un canale dove si parla di viaggio in camper, come i popolari Elsa Rhae & Barron, può essere un investimento dal ritorno più che valido per una startup come la Oru, soprattutto in un periodo come questo in cui la riduzione del turismo causa pandemia ha certamente avuto un duro impatto sulle normali vendite estive.

Quando si mettono i due prestiti linguistici “origami” e “kayak” nella stessa frase, inevitabilmente, la mente dei navigatori più informati corre rapida verso il notevole Oru del progettista californiano Anton Willis, che ricordo bene di aver trattato all’epoca proprio sulle pagine di questo blog (altri tempi, altro formato) benché si tratti, come dicevamo poco sopra, di un prodotto difficilmente trasportabile mentre ci si sposta mediante l’impiego di una bicicletta. In primo luogo per il peso, di ben 9 Kg per il modello più leggero e compatto, ma soprattutto in forza della forma relativamente ingombrante (100x45x25cm) comunque sufficiente a sbilanciare qualsivoglia personale impeto finalizzato alla pedalata. Per il senso di un kayak che trova la sua principale espressione, per l’appunto, nel gesto dei recensori che lo piegano e lo mettono, in pochi minuti, dentro il portabagagli della loro auto parcheggiata in riva al corso d’acqua oggetto dei loro interessi. E se tale veicolo a motore, piuttosto, non esiste?
La risposta che proviene dal tedesco Schult riesce ad essere come precedentemente anticipato, nel qui presente caso, semplicemente ed immediatamente risolutiva. Questo a partire dalla cognizione fondamentale alla base del suo CLR Kayak (sigla il cui significato resta misterioso) che lo vede piegarsi fino a un pratico rettangolo di 70×50 cm e appena 6 di spessore, pronto per essere indossato sulle spalle come la più tipica e gestibile tra le cartelle da disegno. Finché una volta scesi da sellino, e messa al sicuro la bicicletta, tutto ciò che resta da fare è dispiegarlo, prima, quindi agganciare i vari punti di raccordo a tenuta stagna, per poter disporre di un origami fatto e finito, pronto a galleggiare anche meglio di molte alternative dall’ingombro di un tipo convenzionale. Con un peso che non supera nel frattempo i 6 Kg, per di più distribuito convenientemente sulla schiena in fase di trasporto, il CLR viene facilmente sollevato dalla figura universale della nonna (forse dell’autore?) in uno dei video promozionali pubblicati online, che appare straordinariamente soddisfatta, o forse stupefatta, della sua “sovrumana” impresa. Altro aspetto di distinzione per il nuovo prodotto, il materiale usato per costruirlo, che vede un elegante rivestimento di colore nero in gomma artificiale EPDM (Ethylene-Propylene Diene Monomer) sopra le consuete paratie pieghevoli in polipropilene, forse corrugate come nel caso dell’Oru, o magari costituite da semplice un guscio solido, come quello usato nei kayak pieghevoli di altri produttori, quali il Tucktec di Dan Norton della Nuova Carolina, oppure l’HYPAR del montenegrino Sviatoslav Gerasimchuk, entrambi progetti finanziati con successo negli ultimi anni, grazie all’efficiente vetrina dei progetti crowd-sourced entro il vasto territorio dell’online. Imbarcazioni la cui portabilità, comunque, non può fare a meno di essere messa in discussione nel momento in cui rispettivi autori le sollevano, con sforzo e ingombro chiaramente superiori a quello necessari per il ben più pratico CLR Kayak.

L’HYPAR, commercializzata per la prima volta nel 2017, rappresenta un diverso concetto di kayak pieghevole o come la chiama il suo creatore “barca reinventata”. Notevole la forma idrodinamica, basata come vuole far intendere il suo nome su una doppia curva iperboloica-paraboloide, capace di massimizzare maneggevolezza e stabilità in mare.

E il tutto, in fin dei conti, trova la ragionevole connotazione del contesto d’utilizzo selezionato, caso per caso. Così se gli Oru più piccoli, come l’Inlet, mantengono il primato nei contesti d’impiego per così dire medio, come laghi o fiumi dal corso ragionevolmente lento, mentre i modelli di punta della compagnia californiana, come il sopracitato HYPAR proveniente dall’Est Europa restano l’ideale in mare aperto, vincendo sulla curvatura delle onde grazie a uno scafo dalla forma più efficiente benché più rigido per pura e semplice necessità, CSR potrebbe piazzarsi presso l’ulteriore polo dell’ideale suddivisione tri-partita, verso la cognizione innovativa di un kayak pieghevole per l’uso prevalentemente peri-urbano. In luoghi che permettano, a tutti gli effetti, di sfruttare a pieno l’eccezionale portabilità del caso. Anche degno di nota, in conclusione, resta essere il prezzo durante la campagna Kickstarter di appena 529 euro, sensibilmente inferiore a quello della concorrenza.
Perché piegare al proprio desiderio la plastica (rigorosamente riciclabile) delle transienti circostanze, ricavando un metodo di spostamento niente affatto innato negli umani, è senz’altro un notevole gioco di prestigio dei nostri tempi. E non è sempre possibile, di fronte a tali tentazioni ricreative, volgere lo sguardo e l’attenzione all’altro capo dei più remoti lidi…

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