Registrata l’ultima frontiera della manta della Nuova Caledonia

Cosa fa di un pesce, quello che è? Le lunghe pinne cefaliche, simili a corna demoniache coadiuvate da una coppia d’ali grandi e triangolari. La bocca dalla forma ovale, quasi sempre spalancata per assimilare il plankton che viene trasportato dai grandi flussi del mare. La coda con l’aculeo in fondo, in grado di causare intense sofferenze per il veleno contenuto al suo interno. Di certo questo è un animale inusuale. Eppure tutti riconoscono, in maniera semplice nonché sommaria, la forma estremamente iconica delle grandi appartenenti al super-ordine dei Batoidea. Esseri che volano, metaforicamente o materialmente, soprattutto nel caso degli esemplari più piccoli che saltano sopra le onde, durante la loro migrazione che li porta fin dentro il golfo sul Pacifico del Mare di Cortez. Ma di esseri simili, come spesso succede per il funzionamento tassonomico degli ambienti marini, ve ne sono di simili a ogni possibile distanza planetaria, ivi inclusa l’area agli antipodi dei territori un tempo colonizzati dai francesi ad est del continente australiano. Nuova Caledonia (l’isola) intorno alla quale, come parte molto significativa di un vasto aerale, prospera la Mobula alfredi, manta della barriera corallina o seconda appartenente per le dimensioni a questa vasta aggregazione d’esseri, tanto simili e così distanti da ogni altra forma di vita dei loro ambienti. Essere recentemente ri-classificato con il suo nome direttamente prelevato da quello del figlio della regina Vittoria, assieme alla cugina maggiore Mobula birostris, all’interno della stessa famiglia delle ben più piccole M. Monkiana e Japonica del succitato ambiente californiano , dopo aver preso coscienza dell’effettiva somiglianza di particolari caratteristiche anatomiche e abitudini comportamentali. Fatto sta che il nostro svolazzante amico, con un’apertura alare di fino 5 metri ma un peso in grado di superare appena i 7-8 Kg, sembra preferire ai tentativi di spiccare letteralmente il volo presumibilmente impiegati dai suoi simili come parte di un complesso rituale d’accoppiamento, un diverso tipo di approccio esplorativo delle circostanze, finalizzato a un obiettivo totalmente differente: sopravvivere, nonostante i presupposti meno favorevoli di un tempo.
Prima di addentrarci ulteriormente nella questione, dunque, sarà opportuno osservare come questa specifica popolazione di mante appartenenti al Pacifico meridionale presenti un comportamento e caratteristiche diversi anche da quello della stessa specie in altre regioni geografiche, tra cui l’abitudine a formare gruppi di appena 10-12 individui, contro le letterali centinaia, se non migliaia d’individui normalmente facenti parte di un singolo gruppo di aggregazione e protezione reciproca dei predatori. Il che assieme ad altri tratti distintivi ha sempre lasciato perplessi gli scienziati, almeno fino all’ultimo studio pubblicato da Hugo Lassauce e colleghi entro il catalogo della Public Library of Science lo scorso marzo, frutto di un lungo lavoro di tracciamento portato a termine mediante l’impiego di dispositivi elettronici attaccati ai singoli esemplari. Il che ha permesso di scoprire, non senza legittimo stupore, le ripetute immersioni notturne di queste creature fino alla profondità di 672 metri, dove almeno in linea di principio, si pensava non potessero neppure aspirare ad arrivare. Il tutto non per un bisogno di scoperta ed avventura. Bensì le assolute ragioni, del tutto imprescindibili, della biologica necessità…

Pur non spiccando i grandi balzi delle Mobula più piccole, causa il loro peso e dimensioni maggiori, le mante della scogliera corallina si esibiscono comunque in distintive danze dimostrative, coinvolgenti spesso un numero dispari di potenziali partner in cerca di combattivi presupposti d’accoppiamento.

L’impiego di targhette geolocalizzate per lo studio dei pesci cartilaginei (Chondrichthyes) non è certo un approccio nuovo, benché in determinati casi, possa ancora condurre verso nuove strade di accesso alla conoscenza. Così che l’applicazione delle semplici norme della logica ha permesso, una volta raccolti e catalogati i dati raccolti attraverso molti mesi d’osservazione, l’acquisizione di un dato fondamentale all’implementazione di misure protettive per questa specie, già da tempo considerata a rischio rilevante di estinzione futura. Nel territorio oceanico della Nuova Caledonia, in modo particolare, il processo di eutrofizzazione dovuto alla liberazione accidentale di nitrati e altri fertilizzanti assieme al flusso di materia inquinante dovuta alle attività umane ha causato un aumento esponenziale del Phytoplankton di cui si nutrono i microrganismi i quali a loro volta costituiscono la fonte principale di cibo per tutte le mobule, ivi inclusa la più distintiva specie locale. Il che ha portato, progressivamente, allo spostamento di questo Zooplankton verso regioni ad esso maggiormente favorevoli e profonde, proprio perché inerentemente meno soggette all’assalto implacabile dei predatori. Ecco dunque svelate le ragioni dell’insolito comportamento: queste grandi e nobili creature, normalmente abituate a sopravvivere in regioni dai fondali relativamente bassi come quelle usate come habitat e fondamenta dagli operosi polipi del corallo, che si abituano a diventare creature del mare profondo come le più imponenti bicornis, benché l’evoluzione, allo stato attuale delle cose, non le abbia dotate degli stessi strumenti fisiologici e altri adattamenti necessari ad operare con validi gradi d’efficienza. Ecco spiegato, dunque, perché le alfredi preferiscano immergersi a grandi profondità soltanto di notte, al fine d’impiegare una quantità di energie minori per riportare la propria temperatura al livello idoneo per tale parte della propria avventurosa giornata. Piuttosto che la densità d’ossigeno, o la pressione, il limite di tali scorribande risulta essere proprio il freddo degli abissi mai raggiunti dal sole, prima di avventurarsi al di sotto dei quali la manta effettua una serie di evoluzioni necessarie ad aumentare la propria temperatura, attività che costa una notevole quantità di sforzi ed energia all’animale.
L’utile conclusione tratta dallo studio di Lassauce, dunque, è che al fine di proteggere in futuro la continuativa sopravvivenza di questa notevole creatura, è in effetti altamente auspicabile mettere in atto un programma di protezione che tenga in considerazione anche le profondità più remote degli abissi marini, precedentemente considerati irrilevanti per questo particolare intento di preservazione ecologica della biodiversità terrestre. Il problema fondamentale di entrambe le due specie fin qui nominate, del resto, è proprio la loro longevità accompagnata da un tardo raggiungimento dell’età riproduttiva non prima degli 8 anni di età, a fronte di una prospettiva di sopravvivenza, nei casi più fortunati, in grado di raggiungere agevolmente i 60. Ovviamente a patto che un’orca o squalo riesca a ghermirne l’esistenza benché ciò risulti capitare piuttosto raramente, data la capacità di questi esseri di nuotare con fino a 24 Km/h di velocità, salvandosi in maniera rapida ed efficace. Presupposto usato largamente anche durante le lunghe migrazioni giornaliere di fino a 70 Km, durante le quali il rischio maggiore resta quello di restare impigliate nelle reti umane poste, accidentalmente o intenzionalmente, sul loro cammino. Le preminenze interne alla bocca su cui trovano posto le branchie di questo pesce, del resto, vengono considerate un’importante ingrediente all’interno del vasto e antiquato corpo di conoscenze non scientifiche note come medicina cinese, in quanto apparentemente capaci di agire in qualità di panacea da varie tipologie di mali.

Esteriormente piuttosto simile alla Mobula bicornis, la alfredi viene generalmente riconosciuta dalle dimensioni lievemente minori (benché ciò non si applichi nel caso degli esemplari in età giovanile) e il particolare disegno bianco e nero della sua livrea dorsale.

Il fatto che un pesce possa assomigliare, per alcune delle sue caratteristiche inerenti, a un vero e proprio abitante piumato della troposfera appare già abbastanza stupefacente, senza neppure prendere in considerazione come la forma piatta e larga, le proporzioni e le movenze della manta (o mobula, volendo usare la definizione più corretta) riesca effettivamente a ricordare una vera e propria astronave, fuori e dentro la barriera corallina.
In marcia con la stessa enfasi, verso le distinte destinazioni di cielo, acqua e sabbia del fondale. Poiché del tutto irrinunciabile, risulta essere, l’equilibrio di tre simili obiettivi, egualmente degni di essere inseguiti per il bene della svolazzante collettività. Affinché un giorno, guardando indietro, si possa giungere ad affermare: “Eccoti di nuovo. Sono lieto di trovarti in ottima salute! Non perdiamoci di vista, alata amica delle mie immersioni. Tra gli spazi meno visitati dal brulicante ammasso dei viventi…”

Nota: lo studio scientifico Diving behavior of the reef manta ray (Mobula alfredi) in New Caledonia: More frequent and deeper night-time diving to 672 meters è consultabile online a questo indirizzo

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