L’animale domestico più longevo di Tokyo

Bo-chan the Tortoise

Se Parigi è la città delle luci, e Roma quella eterna, è mai possibile che tutti gli altri luoghi debbano soltanto essere comparati a loro? Non c’è un solo agglomerato urbano, tra Oriente ed Occidente, in cui il concetto di eleganza ed opulenza vengano espressi in miglior modo dalle antiche mura, dai luoghi si svago e d’incontro e dallo stesso sguardo della gente, i cui occhi si soffermano soltanto per pochi attimi su meraviglie senza limiti né tempo. O almeno, così dicono i turisti, americani, russi, cinesi e giapponesi, che dai nostri luoghi tornano con un ricordo straordinario e significativo, la guida turistica piena di segnalibri ed in genere, almeno un souvenir o due. Ciò detto; anche la grande capitale da cui s’irradiano le mode e le tendenze dell’intero arcipelago nipponico, nel mezzo dell’isola dello Honshu, ha il suo fascino immanente e duraturo, creato dalla mescolanza tra il moderno e la tradizione, ovvero quello spazio condiviso tra gli antichi templi e i centri commerciali, le automobili e le geisha, le katana ed i kimono. Così perfettamente esemplificato, per antonomasia condivisa in forza dei diffusi preconcetti, da quel patinato e irrinunciabile quartiere, la zona commerciale che prende il nome di Ginza… Di fronte al quale, un tempo, c’era il mare. E invece adesso scorre un semplice canale. Oltre le cui acque, fin dal remoto 1894, sorge una gran zolla in terra reclamata, fatta sorgere artificialmente per proteggere l’approdo della imbarcazioni. La chiamano Tsukishima, ovvero letteralmente: l’Isola della Luna. Su quest’isola vive un vecchio signore. Con la sua splendida e imponente tartaruga.
C’era del resto, pure la leggenda. Un racconto così insito nella natura umana, che lo ritroviamo in molte forme e versioni attraverso tutto il territorio del paese, e addirittura, totalmente ricreato altrove, con personaggi diversi ma lo stesso identico messaggio. Mukashi mukashi (tanto tempo fa) si narra che un pescatore molto povero di nome Urashima Tarō viveva nel villaggio di Midzunoe (dove?!) Egli amava lanciarsi in lunghe esplorazioni con la sua barchetta, e se soltanto avesse avuto le risorse finanziarie, già da tempo avrebbe scelto di partire per una grande avventura. Ma le giornate procedevano monotone, e sempre uguali tra di loro. Finché un giorno, all’improvviso, non si ritrovò al cospetto di un piccolo rettile col carapace, che di certo aveva trascorso tempi migliori. Secondo alcune tradizioni, la tartaruga stava subendo le angherie di un gruppo di bambini, che doverosamente Tarō scacciò via. In altre invece, fu lui a pescarla per errore, decidendo subito di liberarla per accumulare un karma positivo. Fatto sta che l’animale venne rigettato in acqua, e subito sparì. Il giorno dopo quindi, mentre il pescatore si preparava per la sua uscita mattutina, una gigantesca tartaruga giunse fino a riva, aprì la bocca e parlò: “Oh. Abitante della terra ferma. Sappi che colei che tu hai aiutato ieri, non era un semplice abitante dell’Oceano. Ma la figlia stessa di Ryūjin, il Dio Drago che comanda tutte le acque del mondo. Egli vorrebbe, dunque ringraziarti di persona. Vuoi tu, seguirmi fino al suo palazzo?”
Ora naturalmente, le creature di cui parla questa fiaba non erano testuggini della terraferma, come la Geochelone sulcata di provenienza africana che il sessantaduenne proprietario di un’impresa di pompe funebri Hisao Mitani porta tutti i giorni a passeggiare, per un tempo di circa due e ore e mezza, lungo un itinerario che li porta da Tsukishima a Ginza, e poi di nuovo fino a casa. Ma terra e mare, quale mai è la differenza? Di certo, non ci avrebbe fatto caso il pescatore. Né tanto meno l’inventore della storia. O i bambini…

Bo-chan the Tortoise 2
La tartaruga di Tsukishima è famosa per i suoi vestitini, con diverse fantasie o colori, usati nei mesi invernali per tenerla al caldo. In natura questi animali, che vivono ai confini del deserto del Sahara, sopportano condizioni climatiche tanto estreme da dover andare in letargo l’estate, per non rischiare di morire a causa della disidratazione.

La testuggine, sarà a questo punto il caso di dirlo, ha il nome breve e facile da ricordare di Bo-chan. Con il suffisso tipico che indica una cosa “carina” generalmente riferito a persone o creature di sesso femminile. Nonostante ciò, si tratta di un esemplare maschio, visto come il proprietario Hisao si riferisca al suo beniamino in una delle diverse interviste rilasciate per il popolo di Internet, in cui lo definisce l’altro uomo di casa, in contrapposizione alla moglie, che invece non compare mai. I due, ad ogni modo, non hanno figli, e la lunga durata della vita delle Geochelone, che possono vivere fino a 150 e si ritiene, anche di più, ha già iniziato a suscitare in loro un vago senso di preoccupazione. Il problema di simili animali, è che in genere vengono adottati nella case quando sono ancora cuccioli, perché più piccoli graziosi. Così al momento Bo-chan ha ancora solamente una ventina d’anni, trovandosi in effetti nel bel mezzo della propria adolescenza rettiliana. E prima o poi, è inevitabile, dovrà riuscirgli di trovare un nuovo nucleo familiare. Mentre nel frattempo, la vita (altrui) è breve, meglio correre ed andare a divertirsi! Hisao e Bo-chan sono, ovviamente, due piccole celebrità locali. Tutti li conoscono ed è essenzialmente, completamente inutile tentare di distogliere lo sguardo. Il distinto signore, con le mani dietro la schiena che stringono una busta con la spesa (oltre al probabile raccogli-escrementi) e procede assorto per la sua strada. Mentre il suo e nostro amico corazzato, senza alcuna necessità di un guinzaglio, si industria nel seguirlo molto da vicino. Senza alcuna propensione ad affrettarsi. Le interruzioni, nel frattempo, sono molteplici, con orde di curiosi che pretendono di fare la foto a Bo, cani che lo annusano da ogni lato, e l’occasionale bambino che chiede, ed ottiene, il permesso di salire a cavalcioni sul letterale simbolo di lunga vita, un vero e proprio portafortuna ambulante. Del resto la Geochelone, dal peso considerevole di 70 Kg, non sembra curarsi troppo dello sforzo, e semplicemente procede placida per la sua strada.

Harlem's Tortoise
Un’altra nota testuggine africana che vive in città è Henry del quartiere newyorkese di Harlem, a Manhattan, la cui proprietaria Amanda cercò famosamente un turtle-sitter su Internet soltanto qualche mese fa. Questi animali hanno infatti bisogno di lunghe camminate per mantenersi in salute, ma non tutti dispongono del tempo, e della pazienza, per seguirli nelle loro lunghe peregrinazioni.

Le Geochelone sulcata, o testuggini con gli speroni, sono notoriamente animali dal temperamento amichevole con gli umani, benché tendenzialmente territoriali e rissose tra di loro. Nonostante questo, e pur vigendo per loro lo status di specie vulnerabile (poco più che “lievemente minacciata” nella scala della IUCN) essa viene occasionalmente prelevata dal suo habitat naturale nel Ciad, in Etiopia, Mauritania, Mali, Sudan, Niger e Senegal, per iniziare una nuova vita come animale domestico, condizione per la quale sembrerebbe naturalmente portata. Ma non fate l’errore comune di considerare una simile adozione alla stregua di quella di un come cane o gatto: si tratta pur sempre di un animale che richiede attenzioni particolari nonché una dieta attentamente calibrata, pena il sopraggiungere di condizioni salutari potenzialmente deleterie. Inoltre, come dicevamo, c’è il piccolo problema della sua durata di vita, superiore persino a quella di un chiassoso pappagallo cacatua.
Come scoprì, suo malgrado, il povero Urashima Tarō. Che dando sfogo alla sua passione per la scoperta, scelse di seguire la grande tartaruga degli abissi fin laggiù, nel palazzo sommerso del Ryūgū-jō, dove ebbe l’opportunità di conoscere personalmente il Dio Drago. Assieme a sua figlia che aveva salvato, la quale aveva tuttavia ripreso una forma pseudo-umana, quella della splendida principessa Otohime. Che lieta di ricompensare il suo benefattore, l’accompagnò per tre giorni e tre notti nei magnifici recessi di questo reame sommerso, in cui ciascuna delle quattro ale dell’edificio corrispondeva a una diversa stagione, e tutte le ricchezze della natura erano disponibili a chiunque avesse avuto voglia di afferrarle con le proprie stesse mani. I due conversarono amabilmente, si scambiarono racconti, ed infine salutarono con molta buona grazia. Occasione in cui lei disse a Tarō: “Vedi questo scrigno di carta tamatebako? Esso è il mio regalo per te. Tuttavia, ricorda! Tu non dovrai mai aprirlo: custodiscilo come se fosse il tesoro della tua vita.” Quindi il pescatore si accomiatò, ritornando grazie all’aiuto della grande tartaruga fino alla distante riva dell’isola che gli aveva dato i natali, ove credeva di trovare il suo amato villaggio di Midzunoe. Se non che, presto fece l’imprevista scoperta… Che di esso non v’era più traccia… Nessuno sembrava conoscerlo e le persone per le strade erano abbigliate in modo strano, mentre lo stesso paesaggio appariva differente in molti significativi aspetti. Confrontandosi quindi con la gente, egli scoprì all’improvviso che qualcuno ricordava vagamente il suo nome, come quello di un uomo che si era perso in mare TRECENTO ANNI PRIMA. Tanto tempo era in realtà trascorso, da quando Urashima Tarō aveva varcato per la prima volta le porte del divino Ryūgū-jō.
In alcune versioni del racconto, l’uomo ebbe quindi modo di rifarsi una vita, nonostante l’incredibile esperienza. Ma in quella più diffusa e tragica, le cose finirono per andare molto, molto peggio di così: perché il povero pescatore, colto dallo sconforto, fece la follia di aprire il dono misterioso della principessa dei mari. Ora il tamatebako, come forse alcuni di voi sapranno, è un particolare origami di una forma cubica, che una volta aperto, non può più essere richiuso. O almeno così dice l’usanza. E quando l’uomo sventurato aprì il suo, da esso fuoriuscì una fine nebbiolina, che lo avvolse da ogni lato, togliendogli le forze, la vista e la sua stessa energia vitale. Perché ciò che si trovava all’interno della scatola, orrore degli orrori… Era la sua stessa vecchiaia, magicamente intrappolata dai poteri degli Dei! Il tempo di un’intera, lunghissima vita umana trascorsa con la sua beneamata Otohime, eppure nient’altro che un alito di fiato per colei che possedeva la forma, e la longevità delle tartarughe.
E noi non dovremmo, forse, riverirle e tenerle il più possibile vicine a noi? Non si può mai sapere quando una simile amicizia possa ritornare utile. Il cosmodromo di Krang, dopo tutto, potrebbe pur sempre irrompere dal suolo delle fogne di New York. E di topi, fin troppo saggi, lì ce n’è davvero in abbondanza…

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