Come allungare una trivella

Drilling Rig

Quella problematica realizzazione che anche se il telecomando, posto sopra il tavolino del salotto, è tanto vicino da poter leggere i numeri che contrassegnano i pulsanti, non c’è modo di raggiungerlo senza lasciare la comodità del mio divano. Che ha portato la persona ad inventare un tipo nuovo di strumento: come una sorta di tubo telescopico, con la pinza sull’estremità, controllato da un sistema di tiranti collegati ad una leva. Sono molte, le diverse situazioni che richiedono l’impiego di quello che si definisce in gergo un lungo-arnese: raccogliere lattine vuote dal selciato. Grattarsi la schiena verso l’ora del risveglio. Rubare le monete dai distributori delle merendine. Scavare quasi due chilometri giù nel profondo della crosta del pianeta, fin quasi ai margini di un ricco giacimento di gas o petrolio, soltanto per scoprire che non è possibile scendere oltre. Totalmente impraticabile, non importa quanto sia potente il meccanismo di cui disponiamo: semplicemente, si è esaurita la lunghezza della somma tra il nostro string (la lunga  colonna che collega l’asta di trivellazione al suo motore, ovvero il rotary table) ed il bottom hole assembly (il macchinario che traduce il movimento rotatorio in un effettivo gesto di perforazione). A questo punto, fin dai primi timidi pozzi scavati durante la dinastia cinese dei Song in cerca del prezioso minerale del sale, esistono due strade contrapposte: 1 – Decidere che si è fatto abbastanza, accontentarsi del guadagno già ottenuto, estrarre il meccanismo e muoversi per ricercare la fortuna altrove. 2 – Allungare la trivella. È inutile specificare come quasi tutti, quando possibile, scelgano la via numero 2.
Il concetto era evidente già nell’aspetto esteriore del meccanismo in questione: ecco una struttura, di quelle che abbondano sui punti d’estrazione controllati dalle grandi potenze nazionali, fatta in travatura reticolare di acciaio e visibilmente rastremata verso la sua sommità. Quest’ultima caratteristica in effetti, pensata per massimizzare la sua stabilità, più che per costruire l’aggraziata approssimazione di una piccola e isolata Tour Eiffel. Con sotto di essa un buco verticale, stretto e scuro, di molte volte più profondo dell’altezza contrapposta del dispositivo. Si chiama derrick, questo edificio tanto insufficiente in linea di principio. Non è naturale che il sistema sia fondato su una serie di prolungamenti? Si, naturalmente ci avevamo già pensato, il petrolio è ben nascosto dagli strati di terra, pietra ed altri materiali che si sono accumulati nei millenni. Ma non è che l’effettiva procedura d’innesto e allungamento, in effetti, possa dirsi particolarmente nota, soprattutto fuori dal settore degli operatori rilevanti.
A meno che non si continuino a divulgare, responsabilmente ed in preparazione di un’eventuale apocalisse energetica omicomprensiva, video come questo di CalculatedRiskFilms. Un canale specializzato in contenuti adrenalinici e spregiudicati, che qui s’impegna a dimostrarci come occorra un bel coraggio, oltre ad un’ottima coordinazione di squadra, per giungere infine a quel succo che sostiene la cittadinanza e i suoi veicoli, fa funzionare in larga parte i nostri “irrinunciabili” dispositivi. Per il resto, tutto ok.

Si inizia con un gesto preparatorio che qui non viene in effetti mostrato: lo scavo di un secondo foro parallelo a quello principale, all’interno del quale viene disposto fin da principio, ben protetto da sgradite sollecitazioni, sempre almeno un tubo di riserva. Quest’ultimo, fatto in acciaio temperato, è il singolo componente più importante dell’industria petrolifera, ciò che non solo dovrà portare in profondità maggiori l’acqua e l’aria utili per pompare fuori la risorsa faticosamente raggiunta, ma in effetti sostiene, lubrifica ed attiva la trivella stessa. Ogni segmento viene sempre recuperato e usato fino al suo completo usuramento. Così piantato, come Excalibur nella sua roccia, non aspetta altro che l’occasione di congiungersi ai suoi fratelli, già penetrati maggiormente in mezzo ai sedimenti del distante sottosuolo. Quindi, a quelli che nel titolo del video vengono identificati come gli eroici roughnecks (diciamo “teste dure” oppure “gente che non ha paura di sporcarsi le mani”) non resta che procedere ad accontentare tali aspettative: si estrae per l’elevazione massima consentita lo string e si applica il sistema meccanico detto power slip, un freno idraulico che impedisca alla parte inferiore del tubo, una volta scollegato, di precipitare dentro il foro già scavato. Si abbrancano i due segmenti ben distinti da un punto di raccordo con altrettante pinze adatte a fare leva, talmente grosse e pesanti da dover essere sostenute con dei cavi appesi al derrick della torre, poi si fa forza per svitare. Nel momento successivo, meraviglia ed orrore: un fluido nerastro e assai probabilmente maleodorante, il fango di trivellazione, sgorga copioso dall’estremità del tubo soprastante. Non per niente, prima di ripetere i gesti all’inverso per bloccare il nuovo segmento al kelly, ovvero l’asta di raccordo poligonale che parte dal motore, uno degli operai getta nel tubo sospeso un’intera barretta di sapone, probabilmente con l’obiettivo di scongiurare eventuali intasamenti, le cui conseguenze potrebbero facilmente rivelarsi deleterie.

DTH Drilling
Vecchia ma chiara dimostrazione in CG del metodo di trivellazione a rotazione idraulica con le tre punte di tungsteno. Verso la fine del video, l’inclinazione del foro vira a 90°, presupponendo l’impiego di un qualche tipo di motore posto in prossimità della trivella. Simili sistemi vengono sempre guardati con sospetto dai proprietari dei giacimenti, che temono il furto di petrolio da parte dei loro vicini.

Nei momenti successivi, lo string così allungato viene ritratto verso l’alto, poi avvitato in quello sottostante. Quasi ad aumentare il fascino brutale dell’operazione, l’effettivo stringimento viene effettuato con delle catene, che l’addetto maneggia come fossero dei Lazos delle Pampas, rischiando a più riprese di schiacciarsi un dito. È inutile specificare il fatto che la percentuale d’incidenti sia piuttosto alta in un settore come questo, dove non si getta via mai nulla e i materiali impiegati per raggiungere la meta, l’amato combustibile, sono buoni finché scavano, e finché sono buoni, vanno usati. Con la ruggine, la corrosione e tutto il resto. Va pure detto che la paga è buona. E un livello di esperienza davvero elevato, come quello che traspare da una simile sequenza, può far molto per ridurre i rischi.
Viste le circostanze, in definitiva, non ci viene dato di sapere quale fosse il metodo di trivellazione effettivamente usato dalla torre in questione, visto come la maggior parte di essi, fin dalla loro invenzione, sia basato essenzialmente su di un moto rotatorio affine a quello dimostrato. Inclusi i due più diffusi: a spinta o a percussione. Nel primo approccio, all’estremità del tubo ci sarà stato un roller con tre coni di un metallo estremamente resistente (in genere tungsteno) e un foro in mezzo. Girando, quest’ultimo sminuzza la roccia e il suolo mentre un flusso costante d’acqua, gettato giù nell’annulus (lo spazio tra il buco e l’asta di trivellazione) favorisce una pressione di risalita dei detriti all’interno del tubo centrale. In alternativa, il sistema idraulico all’estremità poteva essere del tipo a rotary blast, ovvero in grado di tradurre la rotazione in una serie di colpi ben ritmati, sufficienti a far la polvere persino dai macigni più pesanti, spinti fuori lungo l’annulus con metodi del tutto similari. Va anche considerato il fatto che quest’ultimo, in genere, viene reso più efficiente tramite una pratica colata di cemento. Esiste poi un terza ipotesi, usata soprattutto per profondità superiori ai due chilometri: l’impiego di una vera e propria carotatrice diamantata, ovvero una punta di trapano di forma circolare, che con l’ausilio di un sofisticato meccanismo di recupero del materiale taglia letteralmente via la roccia e se la porta via. Si tratterebbe tuttavia di un sistema estremamente avanzato, improbabile nel contesto relativamente modesto della scena registrata.

Pneumatic Drill Head
Affinché il sistema pneumatico perfori al ritmo della sua maggiore efficienza, occorre impiegare la giusta velocità di rotazione. Eccola dimostrata con un semplice gessetto.

L’opera continua dell’estrazione del petrolio o del gas naturale, per quanto largamente malvista in quanto considerata anti-ecologica e/o conduttiva verso i pericolosi estremi dello sfruttamento incontrollato (vedi fracking) ha il merito indiscusso di averci condotto all’attuale grado del progresso della collettività. Senza aver sfruttato le risorse del pianeta, non soltanto saremmo privi di automobili, elettricità ed e-mail, ma non potremmo neanche aspirare all’esplorazione dello spazio, produrre molti medicinali, conoscere i segreti della natura e girare documentari sugli animali, verso i quali vale pur sempre la pena di cambiar canale. Adesso, se soltanto mi riuscisse di raggiungere quel lungo-arnese…

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