Un gatto invisibile che scava buche nel deserto


Nord Africa, Medio Oriente, Asia Centrale. Quando la popolazione di una specie animale si aggira tra i 200 e i 300 esemplari, può essenzialmente andare in entrambi i modi. Nel giro di una decina d’anni, a seconda della sua capacità di adattamento, dallo stato ambientale dell’area presa in esame, dalle iniziative di conservazione messe in atto dalle associazioni naturalistiche, essa può riprendersi e tornare a prosperare. Oppure estinguersi nel giro di un paio di generazioni. E non puoi aiutare in alcun modo quello che non puoi trovare, giusto? Così ormai erano davvero in pochi, tra gli studiosi degli Emirati Arabi Uniti, a credere che l’antica popolazione locale del gatto delle sabbie (Felis margarita) fosse ancora attestata nel raggio di molte migliaia di miglia dai confini del paese. Finché la piccola e sfuggente creatura, del peso medio di appena due-tre chilogrammi, non è stata nuovamente avvistata l’anno scorso nei pressi di Abu Dhabi, per la prima volta dall’ormai remoto 2005. Tre esemplari, per essere più precisi, nella regione ad ovest della città, in un area di piccole dune ricoperte di vegetazione rada e cespugli nani, particolarmente adatta alle abitudini e lo stile di vita dell’unico gatto in grado di sopravvivere nel deserto. Di sicuro, non è stato facile: gli addetti dell’Al Ain Zoo hanno dovuto fare affidamento su una grande quantità di telecamere con sensore di movimento, disposte in un’area di circa 2 Km quadrati e rese più attraenti grazie al posizionamento di scatolette aperte di cibo per gatti domestici. Un’impegno ricompensato, tuttavia, dallo spuntare di quella testa stranamente triangolare, con le orecchie impossibilmente grandi nella stessa maniera dell’ancor più piccola volpe di Fennec, la doppia coppia di strisce nere sulle zampe anteriori e la striscia marrone che dai lati degli occhi, corre fin sui margini del volto come una sorta di trucco teatrale. Impossibilmente grazioso, con proporzioni tali da poter quasi restare, in determinati casi, un gattino per la maggior parte della sua vita. Eppure così dannatamente scaltro, tanto furbo e adattato a fare affidamento sulle sue sole, notevoli capacità di sopravvivenza…
Per tutti questi anni, in effetti, il gatto delle sabbie non se n’era andato da nessuna parte. Non aveva, neppure, cambiato le sue abitudini. Animale per lo più notturno, è tuttavia perfettamente in grado di avvolgersi di un alone di suprema segretezza anche durante le occasionali escursioni diurne, alla ricerca dei roditori, piccoli rettili ed insetti di cui si nutre. Grazie ad una serie di strumenti evolutivi dalla portata tutt’altro che trascurabile: intanto la colorazione del suo manto, di un beige chiaro che riprende per quanto possibile l’arida tonalità del suo areale. Ma anche il modo con cui è solito camminare, appiattito al suolo, evitando di stagliarsi sulla sommità di una duna, rivelando la sua sagoma ad un numero eccessivo di occhi indiscreti. Il F. Margarita, così chiamato in onore di Jean Auguste Margueritte, capo sul finire dell’800 di una spedizione nel deserto del Sahara, durante cui il gatto fu per la prima volta descritto scientificamente da Victor Loche, può inoltre fare affidamento su un’adattamento particolarmente originale, relativo ai polpastrelli delle sue quattro zampe. I quali sono coperti da un fitto strato di peluria, che ha il duplice scopo di proteggerli dal calore della sabbia cotta dal sole, ma anche di nascondere con straordinaria efficacia le sue impronte, trasformandolo nell’equivalente di un alito di vento fra il nulla. Persino nel profondo della notte, nel caso in cui qualcuno gli punti contro una torcia elettrica, il gatto gode di un riflesso automatico che lo porta a chiudere gli occhi, oppure a distogliere immediatamente lo sguardo. Evitando con la massima efficienza, quindi, che un baluginio possa tradire la sua presenza. A concludere la serie dei suoi metodi per scomparire, quello forse più sorprendente: il gatto delle sabbie scava buche nel terreno (oppure s’impadronisce di quelle di volpi o porcospini) curandosi che siano sufficientemente ampie e profonde per la sua intera cucciolata di tre-quattro piccoli, all’interno della cui casa, oltre che stare al fresco, resteranno protetti da qualsiasi tipo di predatore. La visione di queste adorabili creaturine che mettono la testa fuori per spiare l’ambiente circostante deve offrire uno spettacolo impossibile da dimenticare!

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L’era dei kayak flessibili nel mondo delle city car

Yegorov, che hai fatto? Dove sei finito? In mezzo agli alberi tra la foresta, nelle regioni montuose dell’Alto Karabakh, per un viaggio di scoperta e perfezionamento di alcune delle tue più formidabili idee? Scusa il senso di sorpresa. È che fa un certo effetto vedere un individuo in grado di esercitare con successo la professione della legge dentro a un’aula di tribunale (dopo tutto, il nome completo del tuo canale è “Advocat” Yegorov) intento ad impugnare una struttura lignea nella mano destra, con la prua puntata verso il cielo neanche fosse la spada di He-Man. Poi naturalmente, approfondendo, tutto inizia ad apparire più chiaro. Questo eclettico YouTuber, che molto evidentemente appartiene alla generazione dei maker per essendo anche un emulo del grande ed indimenticato MacGyver, possiede il dono ormai piuttosto raro dell’inventiva manuale, unito a un desiderio di spontanea condivisione benevola a vantaggio della collettività. Non c’è niente di commerciale o finanziario, esclusa una pur comprensibile richiesta di raccolta fondi per i suoi prossimi “viaggi”, nell’impresa qui documentata con pedissequa attenzione al benché minimo dettaglio. Eppure il video è anche molto chiaramente un tutorial, orientato a trasmettere ai visitatori una corposa parte del know-how necessario per farsi emuli di un tale co(r)po di genio. Che consiste, essenzialmente, nella soluzione più valida a un problema decisamente di vecchia data: come potrei mai riuscire a vivere più intensamente la natura, se la mia Smart, pardon, la Tata Lada, è troppo piccola per ospitare uno scafo intero? Come porto sulla scena del delitto, inteso in senso buono, un battello che possa permettermi di pagaiare, pagaiare fino al luogo pre-determinato per potermi mettere a pescare? La risposta che ci viene offerta, in questo caso, è particolarmente interessante e al tempo stesso, prettamente russa per definizione: ciò che serve, è appena il giusto grado d’ingegneria del senso pratico applicata. Che poi vorrebbe dire, costruirselo nell’ora del bisogno, spasibo tovarish.
Il che ironicamente, può diventare molto facile, se si dispone di un coltello, una tenda, capacità di falegnameria medio-avanzate, l’esperienza pregressa per creare un meccanismo totalmente innovativo per il blocco della stoffa, tale che in altri paesi al mondo, tra cui certamente gli Stati Uniti, l’inventore sarebbe subito corso a farselo brevettare. Ma che ci vuole, niente, è facilissimo. Davvero?! Yegorov, una volta giunto presso il suo campo base, che ricorda vagamente una versione più industrializzata di quello usato da un altro celebre autore di video-tutorial, l’australiano Primitive Technology con la sua schiera di mini-abitazioni fatte a mano, tira fuori dalla “cupola portatile” una perfetta struttura in legno, ricavata da rami semi-flessibili di pino, faticosamente attorcigliati e quindi uniti assieme con colla, incastri ed altri metodi ingegnosi. Ciò che ne risulta, essenzialmente, non è altro che uno scheletro del suo kayak finale, poco prima che si passi al secondo capitolo della vicenda. Ed è allora che le cose entrano nel vivo: perché la tipica imbarcazione degli Inuit, che in italiano viene spesso definita per antonomasia una “canoa” benché quest’ultima dovrebbe provenire dalla trazione canadese e presentare caratteristiche del tutto differenti, non fu generalmente costruita da pannelli solidi di legno, bensì fatta con pezzi di pelle della foca (povera foca!) cuciti assieme attorno alla struttura interna. Il tutto con un peso trascurabile, per facilitarne il trasporto. Il che, tradotto in termini moderni, diventa prendere un telo impermeabile e riuscire a metterlo in tensione, costituendo il bolide che possa sopravvivere alle onde, purché non troppo intense. Il nostro Avvocato si è persino premurato d’impiegare, come accennato poco sopra, un metodo di bloccaggio della stoffa di sua concezione, consistente essenzialmente in una serie di chiusure plastiche a scatto simili a dei tappi di barattolo, che offrano il vantaggio di non rovinare in alcun modo la stoffa. Affinché essa possa, giunta l’ora della tarda sera, riguadagnarsi l’uso progettuale originario: far da scudo alle intemperie. Il che porta al desiderio e alla questione intensa, che può essere tradotta nella domanda a seguire: non si potrebbe costruire un kayak smontabile come una tenda? Ebbene eccome, se si può…

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La tecnica suprema dei testicoli di ferro

Uomini che si colpiscono da soli, colpiscono gli altri ripetutamente, con calci, pugni e staffilate. Con massima concentrazione di forza ed apparente odio formale per la parte delicata della loro più profonda intimità: più e più volte, finché le loro grida di battaglia non diventino più acute ed intense, profondamente convinti nell’esercizio di auto-abnegazione che conduce con certezza all’immortalità in combattimento. Dovete considerare come nella disciplina delle scienze cinesi tradizionali, a differenza della visione usata in Occidente, il numero interpretativo per eccellenza non è il quattro, bensì quello che viene dopo. Vi sono cinque direzioni cardinali (nord, est, sud, ovest, centro) cinque elementi (legno, fuoco, terra, metallo, acqua) cinque note musicali, cinque agenti del cambiamento, cinque grandi filosofi, cinque momenti estemporanei nel semplice portare a termine un singolo respiro. E cinque punti preferibili per concentrarlo, di cui il più fondamentale il cuore. Ora, dal punto di vista dello studio finalizzato all’accrescimento del potenziale umano, il cuore può trovarsi in molti punti differenti. Persino nella mente. La teoria secondo cui gli esseri umani userebbero soltanto una minima parte del loro cervello, tuttavia, è stata più volte scientificamente smentita: tutto ciò che occorre è una scansione della calotta cranica, per osservare come basti la benché minima sollecitazione, affinché una grande varietà di neuroni, disseminati nei più remoti recessi di entrambi gli emisferi, producano la complessa combinazione di cariche elettriche che noi amiamo definire “pensiero”. Nell’opinione della maggior parte dei maestri d’arti marziali, dunque, il punto più importante del corpo umano è il dāntián 丹田 (o dantien) punto sito nell’addome e baricentro effettivo di ogni tipo di movimento del corpo umano. Luogo da cui trarrebbe l’origine il flusso del Qì 氣, lo spirito, per irrorare tutte le membra e arrecargli il dono del movimento vitale. Esiste tuttavia una scuola parallela, di cui si parla molto meno spesso, secondo cui la chiave per raggiungere uno stato superiore dell’esistenza sarebbe focalizzare la propria attenzione non su questo punto sopravvalutato della propria fisicità, bensì poco più in basso. In corrispondenza dei genitali.
Ciò ha una precisa ragione evolutiva, chiaramente comprensibile grazie all’uso della pura logica: cos’è per la natura dopo tutto un essere vivente, se non il veicolo per la propria stessa riproduzione? E nulla più, purtroppo… Nella maggior parte delle specie animali sottoposte all’osservazione degli etologi, la senescenza inizia a manifestarsi nel momento stesso in cui cessa la capacità di procreare. In nessun animale questo è più evidente che nel dramma dei salmoni, che periscono en masse pochi minuti dopo l’attimo della suprema frenesia. Mentre le grandi tartarughe di terra, vivendo a un ritmo rallentato, possono fare figli fino all’età di 80, 90, 100 anni. E proprio per questo, riescono a osservare con sguardo clinico anche svariate generazioni umane. Nel Kung Fu di Shaolin, quella poderosa collezione di tecniche ed idee che seppe trasformarsi, nei secoli, in un polo di riferimento su scala globale dei più alti picchi raggiunti (in tutti i sensi immaginabili) dalle discipline più o meno segrete delle arti marziali d’Oriente, l’imitazione delle qualità animali è uno dei fondamenti stessi della Verità. A tal proposito, vi siete mai chiesti perché mai una comunità di monaci buddhisti derivati dalla disciplina dell’eremita Bodhidarma, dediti per dogma all’importanza della non-violenza, abbia dedicato la propria stessa esistenza alla produzione di una classe guerriera letteralmente invincibile in battaglia, sia nel combattimento a mani nude che quello effettuato mediante l’uso di spietate armi? La risposta è che una simile potenza, per loro, non nacque da principio a seguito di una ricerca intenzionale. Essa derivò, semplicemente, dallo strumento filosofico della meditazione. Persino adesso, se voi stessi decideste di svuotare del tutto la mente, ed iniziaste a concentrarvi sul nulla (che poi altro non sarebbe, che il tutto) in breve tempo iniziereste a percepire il ritmo del vostro stesso respiro. Lentamente, gradualmente, iniziereste a controllarlo in modo conscio, ovvero, per usare un termine stereotipato, manuale. Ecco: è proprio questo che significa, utilizzare a pieno il potere della propria mente.
Fatelo per almeno due ore al giorno, da principio. Fatelo per otto, una volta acquisita sufficiente pratica, quindi 12 e ancor di più. Fatelo mentre poggiate i piedi in equilibrio sopra quattro uova di gallina,  senza romperle, grazie all’innata leggiadria riconquistata della vostra fisicità. Fatelo sotto lo scroscio di un’eterna cascata, che ricada con tutto il suo peso sulle vostre spalle, diventate rigide come la pietra. Quindi, una volta raggiunto il controllo della gemma segreta che è nascosta nel vostro corpo, dirigetene il potere nella punta delle vostre dita. Ecco, ora esse sono pure e limpide come il diamante. Esse distruggeranno il velo dell’illusione. Nessun avversario potrà mai riuscire a resistergli. purché egli non possegga lo strumento di una tecnica perfettamente contrapposta. Perché un calcio nelle palle, resta pur sempre un calcio nelle palle. A meno che…

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Perché in Ohio la gente ha paura dei palloncini?

I più terribili disastri possono accadere sull’onda delle migliori intenzioni e per quanto la natura, molto spesso, mostri caratteristiche di spietatezza che la rendono al di fuori della nostra convenzione, è talvolta la stessa morale umana, flessibile sulla base del bisogno, a porre le basi di un ulteriore stadio di tragedia. Distruzione ed apocalittica Rovina. Siete mai stati a Cleveland, con la sua torre simile a un coltello? The Mistake by the Lake, come la chiamano gli stessi residenti (l’Errore sul Lago) ovvero quello di Eyre, volendo essere specifici, il più meridionale ed il meno profondo dei cinque grandi del Nordamerica, attorno ai quali si trova una delle maggiori concentrazioni di popolazione dell’intera area geografica, sia dalla parte statunitense che canadese. Chicago, Detroit, Pittsburgh, Minneapolis, Toronto, Quebec City… Tutte metropoli rinomate nel mondo. Le ragioni per l’impiego di un termine peggiorativo soltanto in quel caso, per chi vuole ricercarle, possono trovarsi nella relativa piccolezza del centro abitato in questione, che non raggiunge neanche le 400.000 anime tra un simile mucchio di giganti, ma soprattutto nel suo essere uno di quei luoghi in cui, almeno secondo lo stereotipo comune, “non succede mai nulla.” Non fu sempre così. Giacché l’imprevisto, come si dice, proviene proprio dall’eccessiva monotonia. Che porta a distrarsi e prendere dannate decisioni. Come quella per cui, nel 1980, il rinomato uomo d’affari locale e proprietario della squadra di basket dell’NBA dei Cavalier, Ted Stepien, ebbe la geniale trovata di salire fin sopra quell’acuminato pugnale di 235 metri, l’edificio più alto dell’intera città, ed iniziare a gettare di sotto una lunga serie degli eponimi attrezzi per giocare a softball. La ragione: commemorare i cinquant’anni dall’inaugurazione della Terminal Tower, e nel contempo promuovere la sua nuova venture sportiva, la fondazione dei giovani ed entusiastici Competitors, dediti alla nobile arte della mazza e delle palline. Ora come forse saprete, nonostante il nome, la tipica sfera usata per questo sport molto simile al baseball non è propriamente morbidissima, risulta più grande dell’alternativa e pesa in media tra i 180 ed i 200 grammi. Il concetto era che il ricevitore del team prendesse al volo la sfera (dopo tutto, i 230 Km/h calcolati al momento dell’impatto non sarebbero stati tanto maggiori di quelli sviluppati da un lanciatore professionista) mentre una fetta significativa degli abitanti in zona e i passanti facevano il tifo, accompagnati dalle telecamere della Tv. Non tutto andò come sperato: la prima palla lanciata dal buon vecchio Ted, certamente animato dalle migliori intenzioni, cadde come una meteora sopra un’auto parcheggiata, frantumandone immediatamente il parabrezza. La seconda colpì alla spalla un cittadino, che per miracolo non riportò alcun tipo d’infortunio grave. Mentre così fortunata non fu la successiva vittima dell’episodio, una donna il cui polso risultò purtroppo fratturato dall’impatto del letterale macigno venuto dal cielo. A questo punto dovete pensare che all’epoca non c’erano i cellulari, e molto probabilmente nessuno si era preoccupato di dotare l’imprenditore di walkie talkie o attrezzi sulla stessa linea funzionale. Così, la grandine letale continuò, con palle che rimbalzavano fino all’altezza di 12 metri, e persone che correvano via da ogni parte, sperando di aver salva la vita.
Ora se pensate che l’amministrazione cittadina, dopo l’atroce esito di un simile stunt pubblicitario, avesse appreso l’infelice lezione, lasciate che vi dica che non fu così. A costituirne la testimonianza, il disastro verificatosi soltanto 6 anni dopo, destinato a rimanere negli annali come uno degli episodi più bizzarri, e sfortunati, dell’intera storia cittadina. Si sarebbe chiamato il Balloonfest. Nacque dall’idea della filiale locale della United Way of America, celebre organizzazione caritatevole, per una raccolta fondi basata su una finalità d’innegabile impatto: stabilire il nuovo record per il maggior numero di palloncini liberati allo stesso tempo. Proposito tutt’altro che semplice, quando si considera il traguardo raggiunto solamente l’anno prima ad Anaheim, per il 30° anniversario di Disneyland ed il 114° compleanno postumo del grande e compianto Walt: 1 milione di ellissoidi in lattice ricolmi d’elio, rossi, blu, gialli, azzurri… Che meraviglia, miei cari americani! Fu dunque chiamato, senza particolari esitazioni, l’organizzatore di quello stesso evento, Treb Heining della Balloonart, che si era occupato nel 1984, assieme al project manager Tom Holowach, della cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Los Angeles, durante la quale centinaia di palloncini vennero liberati a formare i cinque cerchi e l’amichevole scritta “Welcome” per gli atleti di tutto il mondo. Ma le proporzioni, e la portata dell’evento che doveva ancora giungere, sarebbero state del tutto nuove…

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