Una salamandra che può uccidere col suo sudore

California Newt

C’è una leggenda metropolitana, diffusa in una buona parte del mondo occidentale, secondo cui tra i ristoranti di Tokyo dovrebbe vigere una strana regola non scritta. Che imporrebbe agli chef, nel caso in cui qualcuno sia tanto coraggioso da chiederlo, di servire senza un attimo di esitazione uno dei piatti più pericolosi al mondo: il fegato crudo del pesce fugu, un organo all’interno del quale alberga la terribile tetrodotossina. Un veleno letale e per il quale non esiste antidoto a questo mondo. Ora, se i responsabili dell’istituzione gastronomica dovessero rifiutarsi, perché privi del know-how necessario a tagliare via la parte mortifera dell’amarissimo boccone, oppure per il semplice fatto che magari, qualcuno il fegato se l’era già mangiato quella sera e non ne rimaneva più, l’onore degli antenati avrebbe imposto loro di chiudere seduta stante, commettendo una sorta di suicidio professionale che in qualche maniera si richiama a quello degli antichi ninja e samurai. Si, certo, come no! Se così fosse, basterebbe la figura un professionista del pericolo e del coltello da sushi per far sparire la concorrenza culinaria da un intero quartiere, sfidando i ristoranti rivali a destra e a manca… *Ottima idea per un manga! Questo tipo di storie, da un lato all’altro dei continenti, è sempre così: illogico e parzialmente legato dal mondo reale, semplicemente perché governato dall’universale legge della rule of cool (ciò che è incredibile, attira sempre maggiormente l’attenzione!) Ma ne sono di ogni tipo. Ed alcune, in modo alquanto improbabile, corrispondono persino a verità. Così.
È una di quelle notizie che Internet riporta senza data, nomi e contesto geografico preciso. Senza citare le fonti, la casistica, l’analisi scientifica dell’incidente. Viene indicato unicamente lo stato, la California. In un punto imprecisato della quale, quel fatidico giorno, si trovavano tre cacciatori intenti a battere l’oscuro sottobosco. Finché, dopo un’intera nottata trascorsa in tenda vicino ad un ruscello, svegliato dal canto degli uccelli mattutini, uno di loro non si alzò per andare al centro dell’accampamento ed accendere il fornello a gas. Con lo scopo di… Riscaldare il caffè, ovviamente. La bevanda perfetta per dare il via ad un’ottima giornata di escursioni, anche se la Moka latita, ovviamente. Del resto, siamo negli Stati Uniti. Ma c’è piuttosto una specie di teiera in pirex, il cui coperchio, guarda caso, qualcuno aveva lasciato semi-aperto. Poco male. Passano i minuti. Lui che mette il recipiente sopra il fuoco. E i due amici che si svegliano per il gradito aroma, già pregustando l’anatra, il tacchino, il cervo che avrebbero colpito con i loro pallettoni, si spera, prima di del momento di tornare a casa. Si parla del più. Si parla del meno. Si versa un po’ della scura sostanza per ciascuna singola tazzina, rigorosamente senza svuotare del tutto le riserve, perché un’altra pausa, verso la metà del pomeriggio, chissà! Ci può anche stare. Così i tre uomini bevono. Rivingoriti, si alzano dalla radura. E poco prima di aver fatto due o tre passi, senza un solo gemito, cadono rovinosamente a terra. Costoro sono già morti.
Soltanto dopo qualche giorno, denunciata la scomparsa dai rispettivi familiari, la polizia sopraggiunge sulla scena e li ritrova ancora lì, senza una ragione chiara della sopraggiunta dipartita. Iniziano le indagini. Non ci sono segni di conflitto, né una ragione logica per quello che deve essere per forza stato un avvelenamento. Se non fosse impossibile, esclama qualcuno, penserei al monossido di carbonio! Si analizza il cibo. Si stila un elenco dei vegetali locali potenzialmente nocivi. Tra le altre cose, si preleva ovviamente il caffé, con lo scopo di sottoporlo ad un’analisi più approfondita. Ma non appena l’agente versa il contenuto del thermos in un barattolo più appropriato per il trasporto, sotto i suoi occhi si palesa la più strana verità: perché lì dentro, semi-nascosta dal fluido nerastro, era rannicchiata una lucertola dormiente. Anzi, più che una lucertola, una salamandra. O per meglio dire, un tritone. Che una volta messo sopra il fuoco, suo malgrado, si era cotto a puntino. Ma non prima di aver fatto la sua COSA…
Bestie di palude, creature leggendarie, dalla capacità d’imprimersi nella memoria generando incubi nei cuori e nelle menti pavide delle persone. Come un mostro famelico, per una metà batrace e per l’altra bovino, che in qualche maniera sopravvive imponendo sullo stagno il suo crudele regno di terrore. La temuta rana toro. Chi sfiderà questa creatura? Quale coraggioso abitante tenterà d’imporre la giustizia sul tiranno dalla pelle umida e bitorzoluta? È una storia ricca di spunti e implicazioni, questa, che trascende in qualche modo la semplice occorrenza degli eventi. E unisce con un filo lungo ma ben solido, il pesce giapponese, ed il tritone californiano, la cui specie (Taricha torosa) è nota per la stretta comunione simbiotica che vive con una particolare classe di batteri. Sostentati dal suo stesso organismo, e che in cambio secernono a richiesta dalla loro pelle una quantità copiosa di quella stessa mortifera sostanza, una tossina in grado di assalire i nervi stessi di qualunque essere vivente. Tetrodotossina: molte centinaia di volte più letale del cianuro. Chi l’avrebbe mai detto, di trovarla nella stessa frase di una bestia tanto piccola e graziosa…

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Insetti ed armi chimiche, un pericoloso videogame

Enthomology Animated Bombardier Beetle

Ci sarebbe da spezzare una lancia, tutto considerato, a favore del libero possesso della ghiandola pigidiale. Se il governo degli artropodi Uniti dovesse oggi promuovere una legge per vietarla, contrariamente al desiderio dei nostri bruchi fondatori, allora come potremmo mai difenderci dalle formiche del prato accanto? Che pessima idea! Privati della possibilità di spruzzare liquido appiccicoso ed ustionante in caso d’emergenza, ci ritroveremmo a che fare con situazioni totalmente impossibili: perché gli scarabei di terra criminali, mutati dalle radiazioni, ancora disporrebbero dell’arma di cui la natura li ha forniti. Mentre noi civili, rispettosi cittadini della grande quercia, senza ghiandole a disposizione, non potremmo che farli passare fino a dentro il nostro territorio. Piegando le due zampe anteriori e le alte antenne, di fronte ai loro occhi sfaccettati e carichi di foschi pensieri. Una ghiandola pigidiale, per quanto potenzialmente pericolosa, non è di per se malvagia. Sono gli insetti che uccidono altri insetti, non i loro più preziosi tesori! Anche la pallina di sterco dello scarabeo sacro, paragonata dagli antichi al disco del dio Sole, potrebbe facilmente schiacciare una coccinella o una cimice della corteccia. Ma non li sentiresti mai, quegli altri del partito, a chiacchierare contro quella cosa tanto amata da grandi e piccini. È sempre il carabide, coleottero di terra, a doversi assumere la colpa dei sensi di colpa della collettività. Eppure, quando c’è da divertirsi, ecco! Tutti si ricordano di lui. Frrr..
È una terribile battaglia. È la scena culminante di un film thriller sui mostri preistorici. È un twin-stick-shooter, nello stile di Geometry Wars, Helldivers o Hero Siege. È l’ultimo video di Eric Keller, rinomato artista dell’animazione digitale (sede operativa: Los Angeles) che ha ultimamente reso pubblica la sua passione trasversale meno prevedibile: quella per il mondo piccolo degli animali ricoperti di esoscheletri vibranti. Insetti ed entomologia, un argomento tra i migliori. Perché non c’è nulla di più facile, e al contempo straordinariamente soddisfacente, da realizzare tramite la versione informatizzata del primordiale modellismo, che creature tanto differenti da noi, che ben conosciamo senza averle mai davvero, guardate nei dettagli. Eh, ce ne vorrebbe di pazienza! Per riuscire a farlo, con lente d’ingrandimento o microscopio, strumenti fotografici dalle alte prestazioni, così via. Già mi sembra molto meglio, invece, sottoscrivere questo canale, in attesa del probabile terzo episodio, che arriverà probabilmente, domani? O dopodomani? Difficile aspettare. Qui c’è il marchio meritevole che aleggia, quello sempre più raro dei contenuti scientifici di qualità. Non per niente, stando alla rivista Popular Science, lo stesso rinomato entomologo Edward Osborne Wilson, visto il primo video della serie, lo ha elogiato ed ha voluto incoraggiarne la continuazione. Che puntualmente è giunta, con questa epopea di spruzzi e zampettante perdizione. Scarabeo bombardiere è il nome comune attribuito, soprattutto in lingua inglese, al gruppo delle circa 500 specie appartenenti alla famiglia dei Carabidi, sottordine Adephaga, ordine Coleoptera, degli insetti carnivori che hanno in comune, come principale tratto distintivo, un particolare sistema per spruzzare a distanza una secrezione repellente, terribilmente efficace nel respingere una vasta gamma di potenziali predatori. O prede. La ghiandola si trova, come per l’appunto dicevamo, sul retro del pygidium, la parte posteriore dell’addome, ovvero in prossimità dell’ano, ed ha un funzionamento assai più complesso di quanto si potrebbe pensare. Nella fedele ricostruzione tridimensionale che ne mostra l’autore, addirittura, pare un componente di un motore a scoppio, con tanto di candele di iniezione. Ed è difficile non entusiasmarsi, alla descrizione offerta del suo funzionamento: ci sono due lobi simmetrici, nella parte superiore, simili a cavità o veri e propri organi, tramite i quali l’insetto riesce a secernere una serie di sostanze estremamente diverse tra di loro. Ovvero acqua, principalmente, ma anche idroquinone (una sostanza tossica e maleodorante) e udite udite, perossido di idrogeno (H2O2) lo stesso componente chimico che ritroviamo, addirittura, nel carburante dei nostri razzi spaziali. Naturalmente, le quantità sono diverse. Ma il concetto resta tale e quale: i due pericolosi reagenti, per la maggior parte del tempo, restano inerti nell’addome dello scarabeo. Finché egli non decide che sia giunto il momento di farsi largo tutto attorno, attivandone il tremendo potenziale; allora, speciali muscoli aprono delle intercapedini dotata di valvole, attraverso cui la miscela precipita, per effetto della forza di gravità, nelle cavità di attivazione; dove speciali enzimi, prodotti dall’organismo della creaturina, agiscono sull’insieme, causandone la rapida trasformazione; il risultato, può essere riassunto con…

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Come maneggiare l’animale più pericoloso al mondo

Cubomeduse

E così… Non hai ascoltato il cartello. Eppure non poteva essere più chiaro, Bagnante dello stato australiano settentrionale del Queensland, che tra novembre ed aprile si è trovato in un’insenatura ad U, tra scogli troppo scivolosi da scalare. Trovando sulla strada dell’uscita, con l’accidentale funzione di sbarrargli la strada…proprio lei. Tempo di confronti, tra le sagome. Possibile che fosse questa, l’oggetto dell’avviso in spiaggia? Un quadrato obliquo giallo sopra un palo, simbolo internazionale di pericolo. Con all’interno del perimetro, una figura umana con la testa fra le onde (si, sei te quello) e le gambe avvolte dalle propaggini ulteriori di una strana bestia, lunga pressoché 30 cm, se si conta solamente il corpo principale. “Che potrà mai farmi, un animale tanto piccolo!” Avrai pensato, oppure: “Non è mica una CA-RA-VEL-LA POR-TO-GHE-SE. Male che vada, basterà prestare la dovuta attenzione. Farò il bagno con gli occhiali da immersione, per vedere più lontano.” Che ottima idea! E probabilmente è stato proprio questo, a salvarti. Quando, tra una bracciata e l’altra, ti è parso di scorgere una testa trasparente sopra i flutti, quasi avessero decapitato il corpo di un fantasma. Un residuo ectoplasmico. Un teschio di cristallo. Il potenziale segno della fine che… Ottimo! No, dico, perfetto. Perché già soltanto il fatto di poterlo descrivere, ti ha posto nel 15% circa delle potenziali vittime più fortunate. È terribilmente difficile, sia chiaro, scorgere tra le acque la figura della Chironex fleckeri, (molto) amichevolmente detta “grande medusa a scatola” o “vespa di mare” perché è semi-trasparente, e tende a dare seguito alla naturale rifrazione della luce. Il fatto stesso di paragonare una di queste bestie all’insetto a strisce più aggressivo e potenzialmente fastidioso dell’ambiente terrigeno, in effetti, è come dire che un candelotto di dinamite è una piccola bomba atomica, o una pistola giocattolo, di quelle che sparano la gommapiuma, equivale a un carro armato della seconda guerra mondiale.
D’un tratto, mentre galleggi nello stretto spazio della tua escursione, con l’ammasso gelatinoso a separarti dalla libertà, ti ritorna in mente come una visione il mini-documentario visto su Internet, appena l’altro giorno E poi dimenticato, chissà poi perché. Che descriveva, molto dettagliatamente, la sensazione di essere colpiti da uno di questi animali. Evocata nel seguente modo: “Immaginate la lama bollente di un coltello riscaldato sul fuoco fino al calor rosso, che vi viene appoggiata sulla pelle. Ora moltiplicate il dolore per 10 volte, e prolungatelo per una ventina di minuti. Quindi fatelo seguire da almeno sei giorni della stessa sensazione, progressivamente meno forte, mentre l’organismo si riprende dallo shock.” Questo, chiaramente, se siete davvero molto fortunati. Perché a seguito di un contatto sufficientemente prolungato ed esteso con questa particolare specie di cubomedusa, può immediatamente sopraggiungere la morte. Non è un modo di dire: la maggior parte delle volte, il malcapitato lascia questo mondo, nel giro di…Un paio di minuti. Il mamba nero, per intenderci, che viene considerato il serpente più letale del pianeta, ti uccide mediamente nel giro di 7-15 ore. Mentre l’avvelenamento prodotto da una simile sostanza oceanica (o per meglio dire, un composto di)  è talmente virulento, in effetti, che non lascia neanche il tempo d’impiegare il siero antiveleno. Che comunque, per fortuna, esiste. Grazie all’opera convinta di persone come il protagonista del nostro video di oggi, il professor Jamie Seymour della James Cook University di Cairns, che tutti gli anni, giorno dopo giorno, sceglie avventurarsi nel marasma di simili atroci mostriciattoli. Solamente per raccogliere, con le proprie stesse mani, dei campioni delle cellule velenifere della medusa, con il fine di comprenderne il terribile funzionamento. Un mestiere complicato, che non può prescindere da qualche puntura occasionale. Ciascuna resa incancellabile, tra l’altro, dalle vistose cicatrici che tendono a rimanere a seguito della puntura subìta. Ma diamine, umida vittima designata dal destino, che a causa delle rocce in avanzato stato d’erosione non può scavalcare, né aggirare la vespa di mare: non tutto è perduto. C’è ancora un metodo rischioso per salvarti…

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L’infernale puntura dell’ortica australiana gigante

Gympie Gympie

Come una vela che si protende orgogliosa verso le propaggini della Nuova Guinea. La regione del Queensland, nell’estremo Nord-est della principale terra emersa d’Oceania, è un tripudio verdeggiante di sorprese. Ove prosperano, grazie al clima accogliente e la frequenza della pioggia che nutre la vita, numerose specie d’animali endemiche, nonché vegetali, senza pari sulla Terra. Il motivo di una tale diversificazione, assai probabilmente, va in parte ricercato nell’occasionale ciclo di totale annientamento, quasi una sorta di diluvio universale ricreato, alla stagione rilevante, dal soffiare senza posa degli oceani sconfinati. Così è la distruzione vivificatrice. Questa zona è tanto esposta all’aria salmastra del Pacifico da essersi trovata nel 2011, ad esempio, sul passaggio del ciclone Yasi, un evento atmosferico epocale in grado di ingoiare l’intero sistema ecologico della regione. A me gli alberi, coi loro nidi, trascinati dalla furia incessante e il soffio di quei venti. A me le tane dei pademelon, simili a piccoli canguri, ormai ricoperti dai detriti. Un turbinare di ferocia incontenibile, alla fine rischiarata da un timido ritorno della luce del Sole. E dopo? solamente la radura e il volo raro degli uccelli, o almeno di coloro, tra gli appartenenti a tale classe d’animale, che hanno avuto la furbizia e la prontezza di migrare. Il che si scopre, è sufficiente. Da un singolo seme, può tornare tutto quanto? Più o meno e gradualmente. Già sciami di gazze, pappagalli e corvi, nettarinidi e verdelli, ritornano dall’entroterra. Portando, nelle loro feci, un carico prezioso di rinnovamento. Ma la foresta non ricresce tutta allo stesso ritmo, né con comparabile entusiasmo. Ci sono erbe ed alberi ad alto fusto che richiedono generazioni. Ed altri, invece, rapidi e infestanti. Per mesi, settimane o addirittura anni, qui getteranno l’ombra sopratutto e solamente loro, gli alberi pungenti. Isolati in mezzo al nulla, perfettamente ben visibili da gran distanza. Il che davvero, è una fortuna.
They call me.. Gympie-gympie.” Toccami e dovrai pentirtene davvero amaramente. Forse non al primo istante, magari nel giro di un secondo oppure due, ma per un tempo lungo. Settimane, mesi ed anni durante i quali, te lo garantisco, ti ricorderai di me. E forse pure dopo, in eterno… La vicenda evolutiva di questa famiglia vegetale, denominata con il termine scientifico Dendrocnide dal nome della sua tossina, si svolge per la sua interezza nelle foreste pluviali sub-tropicali dell’emisfero meridionale, in particolare australiane, ma anche delle Molucche e d’Indonesia. E non è chiaro come si sia giunti a questo punto di crudeltà per l’immisurabile passare degli eoni, ma il gruppo vegetale in questione si è trasformato, suo e nostro malgrado, in un ricettacolo di sofferenza senza eguali. Come se uno scienziato sociopatico, o un torturatore medievale, ricevuto il compito di concepire lo strumento più efficace sulla mente umana, avesse infuso l’erba di un supremo senso di malignità, l’intento di uccidere, se non il corpo umano, per lo meno la mente. Di un qualche malcapitato. Il che, si scopre, non è affatto raro.
Lo stato di grazia iniziale, dell’ordinato tavoliere con alberi e cespugli attentamente definiti, dura molto poco. Ben presto, fra le dozzine di specie vegetali che competono tra loro nell’ambiente ricreato della foresta, le innocenti foglioline penderanno giù da quella volta ombrosa, quasi impossibili da discernere nel Maelstrom verde oliva. Finché, per sbaglio…

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