Il simbolo segreto che impedisce di fotocopiare le banconote

Eurion Constellation

Sotto il segno di una buona stella: così nasce un qualsivoglia tipo di valuta, nell’ottima speranza che lo Stato, e soprattutto il popolo che l’utilizza, possa renderla preziosa con la forza del buon lavoro, di un governo solido, la sua fiorente economia. Illuminata in primo luogo dalla forza di un simile splendore, se le cose vanno per il meglio, e invece in ogni caso da un’intera e differente serie di asterischi, piccoli ed opachi, ben nascosti nella filigrana. Si, consumatori: sto parlando di un disegno astrale, o in altri termini, la tipica costellazione. Cosiddetta nel presente caso, di EURione, per la somiglianza a quella del gigante cacciatore le cui scintillanti membra, nelle notti terse dalle nubi, fanno capolino per il tramite dell’atmosfera del pianeta. Ma la cui versione cartacea e monetaria restò estremamente poco nota al grande pubblico, almeno fino a quando lo scienziato informatico Markus Kuhn, alle soglie del 2002, si mise a fare esperimenti con la sua possente Xerox a colori. Scoprendo presto che qualsiasi tentativo di inserirvi delle banconote, per ottenerne una versione “fatta in casa” da impiegare a fini non del tutto chiari, portava soltanto alla fuoriuscita di un inutile foglio totalmente nero. Quando si dice, funzioni non documentate! Persiste ancora in determinati ambienti, in effetti, questa concezione del secolo scorso, per cui determinate funzioni di sicurezza incorporate nella vita di tutti i giorni dovrebbero essere ignote all’utente finale, che non deve sapere né preoccuparsi, ma soltanto trarne un beneficio sostanziale ed indiretto. Ma le banconote…Semplicemente non POSSONO essere così.
La stessa Banca Centrale Europea, negli ultimi anni, ha creato e gestisce un sito mirato a pubblicare una disanima dei suoi ultimi capolavori, tra cui l’avveniristico titolo di valuta dei 20 € della “Nuova Serie Europa” in circolo dal 2013, con stampa ad intaglio per creare effetti di rilievo, filo di sicurezza con incorporata denominazione, speciali inchiostri in grado di reagire all’infrarosso e una ricca quantità di filigrane. Mentre la stessa immagine di Europa la figura mitologica, madre del re Minosse di Creta, compare in trasparenza in una piccola finestra a lato della composizione, rigorosamente conforme allo stile Gotico del resto della scena (le nostre attuali banconote, se per caso non doveste averlo mai notato, sono ciascuna dedicata ad un specifica era dell’arte e dell’architettura). Eppure, nonostante tutto, nel portale citato non si accenna in alcun modo alla questione famosamente sollevata da Kuhn. Perché alcune macchine fotocopiatrici, per non parlare dei più famosi programmi di grafica, si rifiutano categoricamente di accettare l’immagine di tutte le principali banconote del mondo? O per meglio dire, come fanno a riconoscerle? La risposta è in un particolare pattern, che vi ricorre con costanza ineccepibile, per passare inosservato ai nostri occhi, e non invece a quello delle macchine, molto più attente. Nei nostri 20 € presi ad esempio, è una letterale serie di stelline, disseminate in corrispondenza della caratteristica curvatura sfumata che attraversa il numero più grande della banconota. Ma può presentarsi in molti altri modi: nei dollari è prefigurato negli zeri della denominazione ripetuta ad infinitum sul fondale, in prossimità del volto di questo o quel particolare padre fondatore della Nazione. Nei vecchi 10 € con la mappa, si trattava d’immaginarie e poco visibili isolette nascoste tra il Mediterraneo e il Mare del Nord. Nelle 5 sterline con la regina Elisabetta II da giovane, le stelle ricompaiono sospese come nel tuorlo di un uovo astratto a fianco del suo volto, oppure una giganteggiante impronta digitale.
Sono ovunque e noi non le notiamo, come del resto avviene con molte delle caratteristiche più avanzate della carta moneta, a meno che il nostro lavoro non ci porti a maneggiarla particolarmente spesso. Mentre di nascosto, i cinque tondini proteggono la sicurezza dei nostri SOLDI…

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La precisione della stampa ad acqua computazionale

Computational Hydrographics

Tirare fuori dalla vasca un gatto, normalmente, è un gesto che comporta unicamente la rimozione delle proprie stesse mani dalla schiena del felino, ove erano state apposte con fermezza per immergerlo nel presentarsi del periodico frangente del bagnetto. Alla cessazione di un tale stato di gentile costrizione, l’animale lancerà immancabilmente un forte grido, a metà tra il soffio di uno stantuffo e la nota stridula di uno stonato pianoforte, per poi dardeggiare verso l’alto con le unghie sguainate ma, si spera, ben lontano dalla faccia del suo amato padroncino. Molto problematico, preferibilmente da evitare. Eppure tristemente, pienamente necessario. A meno di avere a disposizione un micio artificiale, perfettamente in grado di restare immobile per tempi brevi, medi o pure lunghi, senza neanche un lieve muoversi della sua coda. Come quello, bianco quanto l’osso, che la studentessa Changxi Zheng ci ha presentato l’altro giorno presso il suo canale, assieme alla stupenda evoluzione di quello che era e resta un approccio molto antico alla colorazione degli oggetti, ovvero la sospensione degli inchiostri sulla superficie calma di una vasca ad immersione. All’interno della quale o di una similare, molto presto costruita sulla base del principio qui mostrato, saranno assai probabilmente trattati gli oggetti che di più si prestano all’applicazione di livree: caschi, borchie o cerchioni, calci dei fucili, carene delle moto, strumenti musicali, scocche esterne per computer… Chi più ne ha, ne inzuppi, come biscotti incommestibili ma assai preziosi, per l’accrescimento del valore intangibile della personalizzazione individuale, prima o poi. Perché non è ancora il tempo di bagnarsi le mani: siamo in fase prettamente sperimentale, ovvero durante l’annuale conferenza del SIGGRAPH, l’occasione di presentare al mondo le ultime o recenti evoluzioni nel campo estremamente vasto della grafica virtualizzata. O come in questo caso, l’applicazione inversa della stessa cosa, cioè un processo, totalmente innovativo, che prende il concetto digitale della texture (la resa di un’immagine per così dire “spalmata” su dei solidi a tre dimensioni) e lo trasla nel mondo reale, facendo interagire le due tecnologie della scansione volumetrica e la stampa idrografica, per l’applicazione precisa al millimetro d’immagini di ogni complessità. Bisogna vederlo, per crederci.
Il video si apre con la dimostrazione dell’approccio classico, che consiste nell’impiego largamente manuale di una pellicola galleggiante biodegradabile, contenente un pattern grafico ripetuto ad infinitum. Con il dissolvimento dello stesso nel fluido trasparente per eccellenza, si genera un sottile velo variopinto, pronto a legarsi indissolubilmente con il primo oggetto solido che dovesse passarci attraverso, vedi quelli già citati, oppure come nel presente caso, la sagoma della VW Beetle che il pioniere dell’informatica Ivan Sutherland misurò famosamente nel 1972, destinata a diventare una figura standard nel campo della grafica tridimensionale. Una volta completata l’immersione, tutto ciò che resta è disperdere la vernice con un rapido colpo di mano, affinché in fase d’estrazione non si verifichino indesiderate sovrapposizioni. E il gioco è fatto! Tale tecnica specifica, oggi fatta risalire ad un brevetto registrato nel 1982 ad opera di Motoyasu Nakanishi, presenta grossi lati positivi: è più veloce e semplice dell’applicazione di un vinile, può impiegare stampe di quasi qualsiasi complessità o risoluzione, può durare (previa l’applicazione successiva di uno strato di vernice protettiva trasparente) per l’intera vita del prodotto sottoposto al trattamento. Ma ha una singola, enorme limitazione: l’allineamento del prodotto va necessariamente effettuato a mano, vista la fluidifica natura del medium di sospensione. Ciò significa che, essenzialmente, può essere impiegata solo nella realizzazione di figure senza dei confini definiti, come un succedersi di macchie in stile militare o l’approssimazione di un particolare materiale, vedi ad esempio le venature del legno, il marmo, oppure la spazzolatura del metallo. In campo automobilistico, l’idrografica è impiegata spesso per simulare nel veicolo degli accenti in carbonio, metallo estremamente leggero e resistente, spesso usato nei veicoli sportivi di fascia alta. Ma pensate per un attimo, adesso, di potervi approcciare a tale soluzione da un lato precedentemente inesplorato: quello dell’automazione a controllo numerico. Allora si potrebbe immergere nell’acqua una figura dalla forma anche complessa, allineandovi alla perfezione occhi, naso e bocca. Addirittura una coda serpeggiante di felino, a questo punto, potrebbe ricevere l’estetica fedele del leopardo. Anzi, perché immaginare, quando basta…

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Stampare su legno dal PC di casa

Inkjet wood printing

Purché la stampante sia del tipo inkjet, ovvero a getto d’inchiostro. Non è chiaro quando sia successo, che le parti si scambiassero tra loro. Stando ai superstiti dei vecchi tempi, siano questi libri o autentiche persone, il verde si è ridotto col procedere degli anni. C’erano una volta le foreste, qualche rigogliosa giungla, selve, macchie, boschi e schiere di conifere ammassate; talmente tanti arbusti c’erano, che persino dopo l’invenzione della carta, ne restavano diversi. E quelli lì, abbattuti e fatti a lastre incise, si usavano per dare corpo ai lumi ed ai pensieri. L’equilibro del mondo dell’arte si reggeva sugli opposti: polpa da una parte, cellulosa in quella opposta. Poi di nuovo insieme in un romantico racconto visuale, attentamente tramandato. Era, quella, l’epoca della xilografia. L’inchiostro scorreva libero nei fiumi, non ancora intrappolato nelle pratiche cartucce di un qualsiasi centro commerciale.
Di carrelli, nella stampa d’oggi, ce ne sono due: il secondo è quello che rincorre il foglio sotto lo sportello in plastica, dell’apparecchio digitale collegato in USB. Come cambiano le cose! Ormai non si dipinge, non si intaglia attentamente, non si usano le presse con la vite senza fine. Ciò vuol dire: niente legno. Solo un tasto, il gesto e la parola. La prassi è pure troppo chiara. Si trae l’immagine da un sistema rigido che non ammette cambiamenti: dallo spazio digitale ci si sposta sulla carta, senza intermediari. A meno che qualcuno non ci metta….L’intenzione. Steve Ramsey è il video-falegname che, in questo particolare frangente, ci dimostra una particolare proprietà delle moderne macchine da stampa che teniamo in ogni casa. Stiamo parlando delle Epson e Hp entry-level da qualche decina d’euro, meno care dell’inchiostro stesso. Apparecchi accessibili, eppure più versatili di quanto si possa pensare. Cosa sta facendo, questo hacker dalle mani multiformi? Ha preso un foglio di etichette per i pacchi, li ha staccati tutti quanti. Ah, che spreco di adesivi!
E ad ogni modo, resta il retro. Quella carta liscia, floscia e maneggevole, di un insignificante color crema. Un residuo che la prassi porterebbe a gettar via. Ma la prassi, ebbene, non è il campo degli artisti.

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Come stampare sui cerchioni della macchina

HGArtsINC

Da questa vasca, simile ad un fonte battesimale prodigioso, rinascono le vecchie borchie, carene, cruscotti, caschi e parafanghi; immersi cautamente, l’uno dopo l’altro, ne fuoriescono cambiati nell’aspetto, in un tripudio di fibre di carbonio, camuffamenti militari o infinite copie di Hello Kitty e di Sponge Bob… L’unico limite è la voglia di sfidare il comune senso (automobilistico) del pudore. Siamo a Barcellona, presso gli stabilimenti della HGArts, compagnia tra le principali promotrici di una tecnica decorativa davvero versatile, seppur non particolarmente nota: l’hydrographic coating, o stampa cubica ad immersione. Tutto il materiale necessario è disponibile per l’acquisto presso la loro piattaforma di e-commerce. Si effettuano anche corsi su prenotazione, per chi non avesse chiara l’astrusa procedura. Parrebbe, del resto, frutto di una certa misura di magia.
Si sceglie il pezzo da ricolorare, pulendolo dalle varie impurità. Vi si passa sopra un sottile strato di vernice semi-lucida preparatoria, avendo premura di non far sparire i piccoli dettagli della superficie come, ad esempio, eventuali numeri di serie o loghi a rilievo. Quindi, si riempie d’acqua un grosso recipiente e ci si pone l’emblematica domanda: “Vorrei guidare una Citroen degna di far follie tra le conchiglie di Bikini Bottom? Oppure, piuttosto, la mia Smart, ce la vedrei bene con le ruote in pelle di leopardo?” Qui ci sono pellicole per tutti i gusti, come già poteva dirsi nel campo degli adesivi con colla vinilica per le carrozzerie. La differenza, naturalmente, la fa tutta il metodo. Piuttosto che per applicare il proprio pattern su di una superficie liscia e regolare, infatti, la stampa ad immersione trova l’impiego ideale per le forme complesse o sfaccettate. Il foglio con l’immagine, messo a galleggiare dentro l’acqua, in seguito all’aggiunta di un attivatore chimico, perde la sua tenue solidità. Diventa puro liquido, gioiosamente colorato. Tenendo la parte della propria macchina dai bordi, e non importa che questa sia di plastica o di ferro, si ottiene l’immediata imprimitura. L’alchimia si compie in un momento! Neanche il più meticoloso dei pennelli poteva fare tanto. Ogni area vuota, ciascun pertugio di griglie, prese d’aria, buco e forellino riceve la sua patina di novità. Trasmogrificato in mirabile sostanza, il cerchione della ruota diventa suggestione d’automobili da sogno, prototipi degni di un circuito d’elezione. E insieme ad esso, altre strane, guerreggianti cose;

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