Visioni dal Pacifico: l’ascensore di corallo che si srotola nel nulla

Il sogno e il desiderio irrealizzabile del volo è un sentimento che, tra gli esseri viventi della superficie, appartiene unicamente agli umani, poiché nessun essere animale può affermare di aver sperimentato tale ebbrezza grazie all’uso di strumenti artificiali, per poi ritornare, come niente fosse, ad essere condizionati dalle solide catene della gravità. Basta tuttavia spostare tale analisi al di sotto della superficie salmastra dell’Oceano, per scoprire un universo di creature che attraverso le diverse fasi della crescita, nascono attaccate a quei fondali, poi si spostano nella corrente, come foglie di un autunno senza fine. Ed una volta che raggiungono l’età della ragione, tendono a dimenticare quell’ebbrezza, trasformandosi nel singolo mattone di un’inamovibile edificio. Polipi, non polpi, ovvero piccoli Cnidaria, che invece di accontentarsi dell’esistenza lieve ed incorporea di traslucide meduse fino all’ora della propria fine, hanno scelto di costruire un palazzo, con solide pareti in carbonato di calcio finalizzate a difenderli dai predatori. Certo, non c’è tartaruga di mare che possa facilmente risucchiare tali assembramenti, specie quando abbarbicati tra le rocce di un basso fondale. Ma che dire di quelli che vivono, piuttosto, nelle più oscure e sabbiosa profondità del Pacifico, ove la roccia più vicina è situata a centinaia, se non migliaia di chilometri di distanza? Forse anche loro, dovrebbero dimenticare il richiamo distante della dimensione cosmica verticale?
La scena registrata questa volta presso il Monumento Marino delle Isole del Pacifico Centrale (in acronimo, PRIMM) situato a nord-ovest dell’arcipelago delle Hawaii, è di quelle certamente degne di entrare a far parte della ricca selezione offerta dal canale Internet dell’E/V Nautilus, nave oceanografica statunitense di proprietà del Dr. Robert Ballard, famoso per aver trovato i relitti del Titanic e della corazzata tedesca della seconda guerra mondiale Bismarck. Poco prima di trovarsi a finanziare, assieme all’ente americano NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) la prima di una nuova tipologia di spedizioni scientifiche, caratterizzate da una componente divulgativa decisamente al passo coi tempi e lo stile comunicativo tipico delle ultime generazioni. Il che significava, sostanzialmente, pubblicare online tutte le reazioni non filtrate dei più giovani partecipanti all’impresa, catturate proprio mentre osservano sugli schermi in remoto le ultime favolose scoperte del ROV Hercules, sottomarino telecomandato capace di raggiungere i 4.000 metri di profondità. Qui impegnato, nello specifico, alla significativa frazione di 1.660, giusto quando all’orizzonte pare profilarsi una struttura ragionevolmente aliena: come un lungo stelo candido, attorcigliato una, due, sei volte, con in cima l’equivalente biologico di un rastrello o testa di piumino. “Che magnifico condominio in mezzo al nulla” Esclama con il consueto tono allegro una delle voci fuoricampo, membro a pieno titolo del team di ricercatori a bordo. Mentre sarà soltanto la didascalia a spiegarci ciò stiamo effettivamente vedendo, un tipo di creatura raramente osservata in (situazioni tanto estreme della…) Natura!

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Le molte missioni di un drone militare sottomarino

Su una spiaggia in prossimità del confine, quattro uomini in tenuta da infiltrazione lasciano la presa sulle loro armi d’assalto all’unisono, lasciandole ricadere sulla cinghia che passa al di sopra della spalla destra. Con un movimento fluido, i militari si spostano attorno al contenitore anonimo consegnato tramite il paracadute, protetto da un codice di chiusura segreto. Il capo del gruppo si china sul tastierino e inserisce una serie di numeri all’esaurirsi dei quali, con un lieve sbuffo d’aria causato dall’equalizzazione atmosferica, il coperchio si solleva e scivola di lato. Per mostrare, all’interno, quella che potrebbe sembrare a pieno titolo una semplice imbarcazione giocattolo. Se non fosse del tipico color nero opaco anti-radar, nonché aerodinamica e “cattiva” in ogni aspetto tranne la bulbosa macchina da presa meccanizzata che spicca sulla parte superiore dello scafo, dotata di un doppio obiettivo per catturare un feed da inviare al pilota e illuminare con il laser, allo stesso tempo, potenziali bersagli per il satellite o l’artiglieria. Un addetto alle manovre il quale, si capisce più o meno subito, dovrà necessariamente trovarsi “altrove” o per essere maggiormente specifici, al sicuro all’interno di una base protetta in territorio amico. Perché in quale assurdo altro modo, una persona e in carne ed ossa potrebbe mai trovare posto a bordo di un natante che misura appena 1,10 metri di lunghezza, incluso lo spazio per i motori, i sistemi, l’informatica di bordo e la batteria? Veicolo che in questo preciso momento sta per essere sollevato di peso dalle quattro nerborute teste di cuoio, prima di venire accompagnato di peso oltre i quattordici passi che lo separano dal bagnasciuga e lanciato in maniera corrispondente a quella di un grosso cucciolo di tartaruga.
Questa inusuale caratteristica, della compattezza e un peso assai contenuto (appena 6 Kg) costituisce in effetti il punto cardine delle classi più piccole di Mantas, l’UUV (Unmanned Underwater Vehicle) progettato e prodotto dall’azienda MARTAC – Maritime Tactical Systems di Satellite Beach, Florida, benché la versione più grande e dotata della maggiore autonomia, denominata T-12, giunga a misurare i 3,6 metri per una massa complessiva di ben 95 Kg. Pur sempre un ingombro accettabile, quando si considera cosa possa effettivamente fare, ed a quale esigenze possa rispondere, un rappresentante a pieno titolo di questa innovativa tecnologia.
Potrebbe sembrare probabilmente assai singolare, per non dire del tutto inaspettato, che l’applicazione militare di questo concetto delle operazioni con controllo remoto, ormai largamente accettata per quanto concerne i mezzi d’aria con armamento più o meno pesante, stia trovando un applicazione all’interno dei think tanks dell’Esercito Americano soltanto nell’ultima decade, attraverso una serie di appalti e concessioni nei confronti dei fornitori storici, o piccole ed agili compagnie come la produttrice di quanto mostrato nel video di apertura. Un sommergibile controllato tramite l’impiego di onde radio, capace a seconda delle necessità di effettuare rilevamenti di natanti o strutture sommerse, sorvegliare le coste, consegnare dei materiali, condurre operazioni di sminamento o offrire supporto di vario tipo alle truppe rimaste bloccate dietro le linee nemiche. E benché ciò non abbia ancora trovato un’applicazione pratica nel mondo reale, sarebbe difficile fare a meno d’intravedere nell’immediato futuro degli UUV un qualche tipo d’armamento, potenzialmente utile a sbloccare situazioni di stallo nei conflitti di tipo acquatico tra compagini operative avverse. Il che non potrebbe far altro che avvicinare ulteriormente i dispositivi, con la loro linea idrodinamica e la forma affusolata, allo squalo famelico che li ha ispirati…

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Gruppo di scienziati avvista l’anguilla ingoiatrice

Sotto un’incommensurabile massa d’acqua, equivalente grosso modo alla metà del monte Olimpo in Grecia, all’interno dell’area definita il monumento nazionale hawaiano Papahānaumokuākea, qualcosa si aggira non visto e non conosciuto dagli occhi di chicchessia. Qualcosa di nero. Qualcosa di strano. Qualcosa di minaccioso. Creatura rigonfia benché longilinea, la cui coda simile a una frusta termina con una serie di tentacoli, tra i quali lampeggiano occasionalmente piccoli bagliori di luce rossa. E la cui testa, simile a un palloncino… Ma è davvero una testa, quella? In assenza di una terminologia chiara a cui si possa fare riferimento, tutto quello che abbiamo a donarci residue certezze è il commento della voce fuori campo, possibilmente appartenente ad una delle maggiori esperte globali in materia. Parole profonde e altrettanto cariche di significato: “Sembra arrabbiato… Non trovate anche voi che assomigli a un muppet?”
È un fatto ormai noto su Internet che, per chi apprezza sentir tornare momentaneamente bambini dei validi professionisti con lunghe carriere scientifiche alle spalle, conferme accademiche e pubblicazioni di conclamata importanza, nessun canale YouTube risulta essere migliore di quello della nave oceanografica EV (Exploration Vehicle) Nautilus, riconvertita a scopi scientifici in California dopo essere stata a lungo usata per effettuare rilevamenti presso i relitti della corazzata Bismarck e il celebre Titanic. Risorsa costituita da una raccolta delle trasmissioni inviate via satellite all’Università del Rhode Island attraverso cui, molto spesso, l’incredibile materiale viene ripubblicato in diretta online. Il risultato è un repertorio apparentemente inesauribile di segmenti ripresi in alta definizione dal sommergibile telecomandato Hercules facente parte della dotazione di bordo, attraverso cui il grande pubblico viene invitato conoscere l’aspetto e il comportamento di alcune delle più rare o strane creature di tutto il mare. Avviene tuttavia, con frequenza relativamente elevata, che determinate scoperte siano semplicemente troppo buffe, divertenti e al tempo stesso significative, perché possano restare esclusivo appannaggio delle personalità più curiose del web. Ed è allora, immancabilmente, che i video in questione finiscono per essere ripresi dalle principali testate giornalistiche, come contenuti di spicco per le loro sezioni dedicate a scienza o curiosità naturali.
Un catalogo, questo, a cui certamente non poteva mancare l’avvistamento dell’altro ieri di una rara e misteriosa Eurypharynx pelecanoides, comunemente detta anguilla ingoiatrice o pellicano per la presenza di un’ampia sacca in corrispondenza della mandibola, inerentemente snodata come quella di un serpente. Ciò detto, trattandosi di un pesce che vive tra i 1.500 e i 3.000 metri di profondità, tutto quello che potevamo affermare di saperne fino ad ora era dedotto per inferenza, dalla sua rara cattura accidentale all’interno delle reti dei pescatori. Capite dunque, in effetti, ciò di cui stiamo parlando? È il primo avvistamento registrato di questo animale dal vivo, nel suo ambiente naturale nei recessi oceanici più remoti di questa Terra. Anche se in molti, presumo, sarebbero pronti a giurare che una simile creatura possa esistere soltanto nei mari segreti di Marte, Venere o Europa, il satellite ghiacciato di Giove.

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Il sottomarino svedese che seppe affrontare la flotta americana

Il raggiungimento di un’effettiva prontezza tattica e strategica non può prescindere dalla presa di coscienza dei propri punti deboli, importanti quanto la preparazione di un impianto tecnologico adeguato. Poiché il raggiungimento di un’operatività bellica in tutto e per tutto perfetta, allo stato attuale, è sostanzialmente impossibile, viste le limitazioni imprescindibili imposte dalla dottrina, la storia e le nozioni acquisite attraverso il percorso di un determinato paese. E la realizzazione di un concetto, per quanto ideale, spesso mostrerà almeno un punto vulnerabile. Poiché non è possibile scrutare innanzi, ed allo stesso tempo indietro, con la stessa identica attenzione. Nel marzo del 2015 la Marina Statunitense, con uno storico accordo nei confronti degli svedesi (formalmente, poco più di un gentleman’s agreement) concluse l’accordo per un leasing, inteso come trasferta completa dell’intero equipaggio a scopo di un ciclo di addestramento, del sommergibile HSwMS Gotland, primo rappresentante di una nuova classe d’imbarcazioni nordeuropee, prodotte nei cantieri svedesi della Kockums AB. Richiesta che ottenne una pronta risposta positiva, non soltanto per l’intenzione di assecondare i desideri di un’importante alleato. Doveva pur esistere, a qualche livello della catena di comando da questo lato dell’oceano, la cognizione che il “piccolo” sub avrebbe saputo farsi onore, dimostrando l’appropriatezza tecnologica di certe soluzioni tecnologiche, la precisione dell’addestramento e in definitiva, la sua validità nel riconsiderare quali siano gli effettivi rapporti di potere nei grandi oceani della Terra. Trasportato quindi fino al Porto di San Diego tramite l’impiego della semi-sommergibile norvegese Eide Transporter, l’avanzato mezzo bellico ha trascorso un paio di settimane per acclimatarsi al nuovo teatro operativo, quindi prese parte alle operazioni per l’addestramento in mare assieme al gruppo di fuoco dell’avveniristica portaerei USS Reagan, finalizzate alla rappresentazione di una serie di possibili scenari futuri. Ed è stato nel corso di uno di questi, in una maniera che soltanto in pochi avevano realmente temuto, che l’equipaggio del sommergibile riuscì a compiere la più straordinaria delle imprese.
Benché le specifiche procedure di queste battaglie simulate non siano mai pienamente note al pubblico, conosciamo alcuni dei concetti di base. Tra cui quello dello snapshot, ovvero letteralmente “scattare una foto” (spesso in senso metaforico) di un obiettivo simulato, da una posizione in cui sarebbe stato possibile fare fuoco, sganciare le bombe, lanciare i siluri… Ebbene a quanto è stato dichiarato al pubblico, una volta definita la suddivisione delle forze ed improntato un piano d’azione, il Gotland s’immerse scomparendo letteralmente dalla cognizione dei comandanti americani. Soltanto per ricomparire, svariati giorni dopo, inviando un messaggio formale ma visibilmente soddisfatto. Sul tavolo dell’ammiraglio, uno dopo l’altro, comparvero i numerosi scatti che il sottomarino aveva realizzato della superportaerei americana, dimostrandosi capace, almeno in linea teorica, di affondarla e farla persino franca. Un trionfo, questo, che merita di essere messo in prospettiva: considerate che il costo unitario di uno di questi battelli, punta di diamante della produzione marittima Kockums, ha un costo di circa 100 milioni di dollari. In pratica l’equivalente di un singolo aereo F-35 dei fino a 90 facenti parte dell’intero corredo di una classe Nimitz, la più formidabile nave da guerra mai concepita dall’uomo. Non soltanto Davide aveva dunque battuto, ancora una volta, il suo eterno avversario Golia, ma aveva dimostrato la necessità per quest’ultimo di modificare pesantemente i suoi preconcetti, riconsiderando i meriti di approcci da lui considerati ormai desueti. C’è stata in effetti un’epoca, ormai lontana più di tre decadi, in cui le due grandi superpotenze contrapposte si contendevano il predominio possibile in caso di guerra termonucleare globale, con maestose piattaforme di guerra nascoste sotto la superficie del mare, ciascuna in grado di rovesciare alcuni dei missili balistici più rapidi e difficili da intercettare, proprio perché diretti sull’obiettivo da una distanza geograficamente vicina. Simili battelli, dotati di sistemi di propulsione nucleari, erano in grado di rimanere sott’acqua per settimane, o persino mesi, spostandosi a velocità relativamente elevate. Ma avevano, ed hanno tutt’ora, un significativo punto debole: tendono a fare rumore. Non moltissimo, principalmente quello causato dalle pompe di raffreddamento del generatore, eppure abbastanza perché le orecchie tecnologicamente migliorate di un operativo sonar possano affrontarli con successo in battaglia. Qualcosa di molto, molto più difficile quando si sta parlando della classe Gotland o dispositivi similari…

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